Circa 30 milioni di ettari di terre coltivate perdute ogni anno, l'equivalente della superficie dell'intera Italia: è questo l'impressionante dato che emerge da un Rapporto dell'Onu presentato lo scorso 21 di Ottobre. Le cause di questo inarrestabile "esproprio" sono la degradazione progressiva dell'ambiente naturale, l'industrializzazione e l'urbanizzazione, come ha sottolineato Olivier De Schutter, Relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all'alimentazione, nella presentazione del suo rapporto ...
"Questa tendenza ha conseguenze drammatiche per centinaia di milioni di agricoltori, di pescatori, di popoli indigeni", ha sottolineato De Schutter.
"Oggi, 500 milioni di piccoli agricoltori soffrono la fame perché il loro diritto alla terra è impedito ed aggredito. Mentre le popolazioni rurali aumentano, la concorrenza con le grandi realtà industriali si fa sempre più serrata e le briciole coltivate dai piccoli coltivatori diminuiscono anno dopo anno. Gli agricoltori sono spinti, spesso, verso suoli aridi, montagnosi o privi di possibilità di irrigazione".
Il rapporto De Schutter sottolinea che la combinazione tra le degradazioni dell'ambiente naturale, l'urbanizzazione e le acquisizioni di grandi superfici da parte degli investitori stranieri costituisce "un cocktail esplosivo".
"Circa 5/10 milioni di ettari di terreni agricoli vengono perduti ogni anno a causa di una degradazione severa dell'ambiente naturale e oltre 19,5 milioni di ettari sono vengono perduti a causa dell'industrializzazione e dell'urbanizzazione", ha spiegato De Schutter.
La pressione costante dei grandi operatori agricoli ha accentuato questo fenomeno.
"Ogni anno, molti investitori internazionali esprimono il loro interesse nell'acquisizione di milioni di ettari di terre fertili. Questi sviluppi hanno un impatto enorme sui piccoli gestori, i popoli indigeni, i pastori ed i pescatori: esseri umani che dipendono dall'accesso alla terra ed all'acqua per la loro esistenza".
Nel 2009 erano stati acquisiti 8 milioni di ettari, ma nel 2010 il “bottino” è balzato a 45 milioni di ettari.
Come ci segnala Andrea Manciani (del circolo Legambiente di Manciano), “anche Il rapporto del Fondo Monetario Internazionale - recentemente pubblicato - segnala che il “Land grabbing” (letteralmente “scippo di terre”), ossia l'acquisizione a vari titoli (proprietà, concessione pluridecennale o secolare) di terre coltivabili ad opera di multinazionali e Fondi d'investimento internazionali, ai danni soprattutto dell'Africa, sta decollando a livelli epocali.
Si tratta di una nuova forma di colonialismo di stampo settecentesco.
Vengono acquisite, con la complicità di governi corrotti, porzioni di territorio grandi come intere nazioni, con tutto quello che contengono, incluse le popolazioni inconsapevoli che le abitano dalla notte dei tempi, ponendo le basi per uno sfratto massivo di indigeni dalle loro terre o, peggio, per l'instaurazione di una moderna servitù della gleba”.
Molti governi sono interessati ad impadronirsi delle terre principalmente per proteggere la propria sicurezza alimentare, assicurandosi all'estero l'approvvigionamento di beni fondamentali (riso, grano, ecc.) e riducendo la dipendenza eccessiva dalle importazioni.
A dare il via al Land Grabbing è stata l’Araba Saudita, preoccupata di possedere "solo" petrolio e miliardi di dollari ma non terra fertile. Fu allora che decise di usare i petrodollari per acquistare migliaia di ettari di terreno in Etiopia, dove coltivare riso e cereali a buon prezzo per le proprie esigenze interne. Successivamente, cercò di comprare altri terreni e non riuscendoci ripiegò sulla locazione, prendendo in affitto immensi appezzamenti di terreno in Zambia e in Tanzania.
La Cina, attivissima nella pratica del Land Grabbing, ha fatto incetta di terreni in Congo e nelle Filippine tramite imprese di proprietà statale, come comprovato dalle analisi dell'International Food Policy Research Institute. 80.400 ettari di terra acquistati in Russia, 43.000 in Australia, 70.000 in Laos, 7.000 in Kazakhstan, 5.000 a Cuba, 1.050 in Messico. Ma il boom Pechino lo ha fatto in Africa: 2.800.000 ettari in Congo, 2.000.000 di ettari in Zambia, 10.000 in Camerun, 4.046 in Uganda e solo 300 ettari (ma siamo all’inizio) in Tanzania. Dove Pechino non può acquistare … affitta. Migliaia di ettari in Algeria, in Mauritania, in Angola e in Botswana. Il bello è che i terreni non vengono solo coltivati ma forniscono anche immense risorse minerarie che, chiaramente, Pechino sfrutta a man bassa senza alcun ritorno per le popolazioni locali.
L’India, invece, ha iniziato a comprare terreni a destra e a manca. 50.000 ettari in Laos, 69.000 in Indonesia, 10.000 in Paraguay, 10.000 anche in Uruguay. Ma il grosso degli affari gli indiani li hanno fatti in Argentina dove hanno acquistato 614.000 ettari di terreno, in Etiopia (370.000 ettari), in Madagascar (232.000 ettari) e in Malesia (289.000 ettari).
La Corea del Sud (attraverso le multinazionali Daewoo e Hyundai) sta comprando terreni in tutta l’Africa.
La Libia ha barattato un contratto di fornitura di gas all’Ucraina in cambio di 247.000 ettari di terreno.
Quanto sta succedendo in Italia con l'impiego della terra agricola per la produzione di energia elettrica – continua Manciani – ripropone in scala ridotta lo stesso fenomeno e le stesse dinamiche.
Una popolazione minoritaria e marginalizzata di “indigeni”, i contadini, si vede piombare addosso un agguerrito sistema economico predatorio d'origine urbana, che in forza del divario economico che anni di malgoverno hanno scavato tra i due sistemi, e con la frequente complicità di governi locali, dediti ormai soprattutto al malaffare e all'arricchimento personale, acquisisce terreni con varie metodologie (si sono registrati persino casi di espropri) per impiantare una forma di sfruttamento del suolo completamente denaturata, basata sulla rendita parassitaria di sussidi pubblici e sull'espulsione della forza lavoro agricola: il Fotovoltaico industriale.
Come evidenziato proprio dal saccheggio di suoli coltivabili in atto nel mondo, il nostro paese avrà presto bisogno di ogni metro quadro di terreno agricolo ed il cibo rivelerà la sua arcaica natura di primo carburante nelle priorità energetiche per la sopravvivenza della nostra civiltà”.