di Andrea Griseri.
Domenica 2 maggio si è svolta una camminata fra Castellinaldo e Castagnito (tra Langa e Roero) organizzata dal Movimento Stop al Consumo di Territorio e dal Movimentolento. Abbiamo accompagnato per un tratto di strada le persone che stanno percorrendo 650 chilometri a piedi nell’ex triangolo industriale (GeMiTo) alla ricerca “della bellezza e di uno stile di vita più lento, più profondo, più dolce” ...
E’ sempre bello incontrare tante persone che condividono i nostri valori in un’occasione al tempo stesso conviviale e di lotta. I sentieri si snodavano attraverso i vigneti; dopo una tappa presso un bellissimo santuario cinquecentesco abbiamo potuto rimirare i capannoni di cemento che punteggiano il fondovalle langarolo e non hanno il tetto di eternit soltanto perché tale materiale è stato messo fuorilegge in seguito alle note vicende; parallelepipedi impersonali che non si curano di ostentare la loro bruttezza, refrattari a qualsiasi preoccupazione estetica; estranei alla mistica del brutto: semplicemente esistono, piantati al suolo precariamente ( qualcuno del resto anche a Torino aveva cominciato a teorizzare la città Lego), testimoni di vuoto interiore.
La cura del territorio getta un ponte ideale fra la memoria del passato e un futuro laborioso e prospero: la sua distruzione fa giustizia dell’uno e dell’altro, appiattisce la società su un presente avido di guadagni immediati. Il consumo dissennato di territorio non è solo privazione di futuro e sottrazione di ricchezza collettiva: è segno di uno smarrimento più profondo dell’uomo contemporaneo.
Si intrecciavano i dialoghi fra noi camminatori; e sono sbocciati taluni cattivi pensieri, politicamente molto scorretti di cui vi fornisco un breve resoconto.
Si parlava di rumeni. In terra di Langa esiste una robusta presenza rumena. Il livello di integrazione è soddisfacente: il langarolo medio magari vota convinto Lega Nord ma assume una graziosa rumena per badare alla nonna, un robusto rumeno per stare dietro alla campagna e la domenica pomeriggio ci gioca a bocce insieme.
“Dorin racconta spesso della vita prima della caduta di Ceausescu . C’era una rete di informatori capillare. Tutti assoldati dalla Securitate. Non potevi fidarti di nessuno. Gente denunciata da amici, cugini, fratelli…”
“Non come da noi. Qui siamo liberi!”
“Nessuno si accorge di niente”
“Davvero. In tutti i sensi..”
“ Meno male!”
“Però…..”
“Anche se….”
“Pensa ai rifiuti tossici…”
“Ehi! Guarda questo capannone! Sei mesi fa non c’era!”
“ E’ enorme!”
“ Orribile!”
“ Chi gli avrà dato il permesso!”
“ Bisognava fare ricorso”
“ Averlo saputo!”
E di lì il passo è stato breve.
Avremmo bisogno anche noi di una rete spionistica.
Occhi che scrutino attentamente ovunque per denunciare o prevenire le malefatte contro la vita di tutti; non per intromettersi nelle vite degli altri. Una securitate verde diffusa sul territorio con una struttura leggera di pronto intervento.
“ Ciama l to amis rumeno!” ( trad. : chiama il tuo amico rumeno)
“ Perché ?”
“ Chiedigli se conosce qualche pentito della securitate: lo assoldiamo!”.
E questo era il primo cattivo pensiero.
Il secondo aveva ugualmente un respiro storico dilatato sino a comprendere i secoli trascorsi. Si ragionava di assolutismo e di quel XVII secolo in cui il Piemonte fu governato da una sfilza di Carli Emanueli che precedettero il grande Vittorio Amedeo II ( in seguito la qualità dei sovrani subì un deperimento e il Piemonte mancò l’appuntamento con la stagione illuminista). Il sovrano assoluto percepiva lo spazio esterno, la città e il territorio come una virtuale estensione della propria dimora. Il signore medievale rinchiuso nella cinta muraria del castello, rischiando, si apriva finalmente al mondo circostante, così che anche gli spazi fisici venivano incorporati nella sfera della sovranità. L’urbanistica, l’organizzazione della città materiale e immateriale, l’attenzione alla bellezza, l’”arredamento” del territorio curato alla stessa stregua delle decorazioni interne al palazzo accompagnarono la nascita dello stato moderno. Nessuna distinzione vera fra il dentro e il fuori palazzo: lo spazio aveva un eguale rilevanza pubblica e i soggetti privati dovevano prendere parte a questa gara per la bellezza ( i nobili abbellendo in competizione con il sovrano i propri palazzi, la Chiesa arredando l’interno dei templi, luoghi pubblici ed egualitari per eccellenza, con lo sfarzo tipico delle dimore patrizie). Forse gli autori dei capannoni anziché ricevere facili concessioni da spensierati geometri comunali sarebbero stati puniti esemplarmente. E allora non scherzavano.
Un pensiero molto ma molto cattivo, vi pare?
Però attenzione. La democrazia del capannone (o della discarica abusiva, o dei megaparchi divertimenti o delle speculazioni selvagge…) è solo la pallida caricatura della vera Democrazia che avevano in mente i nostri padri Costituenti.
La nostalgia assolutista o totalitaria resti un utile paradosso.
C’è una democrazia che dobbiamo tutti insieme (ri)costruire.
Tratto da “Obiettivo Ambiente”, Giugno 2010.