di Massimo Mortarino.
Da sempre sei convinto che la non violenza rappresenti la strada giusta, l’unica percorribile per difendere i propri diritti e quelli dei tuoi simili, per combattere i soprusi, gli atti contrari al benessere sociale, compiuti al solo scopo di portare denaro e potere a chi ne ha già troppo, ben al di là dei loro effettivi meriti. Sei un qualunquista, troppo impegnato nel tuo lavoro per prendere parte attivamente a iniziative organiche volte ad affrontare i mali della società ma ancora abbastanza attento a ciò che ti accade intorno …
Comunque conscio che le notizie vanno cercate (sulla Rete, soprattutto) senza accontentarsi di quanto ti propinano i media, sempre più condizionati dal potere costituito.
Sai bene che il tuo habitat è gravemente a rischio, che la coscienza ambientale della massa è ancora troppo scarsa per ritenere possibile quegli stop ormai non più rinviabili per salvare la nostra vita e quella dei nostri posteri. Ma speri ancora, certo, e vuoi essere al corrente di cosa accade e di chi vuole danneggiare il tuo mondo, calpestare il bene comune.
E cominci, pian piano, a convincerti che la non violenza oggigiorno possa portare poco lontano, visto l’atteggiamento di assoluta onnipotenza di chi governa le sorti del mondo, del tuo Paese.
Politici e amministratori pubblici che, per la maggior parte, sono di una mediocrità sconcertante: tesi soltanto a fornire (con estrema arroganza) un’immagine del loro operato totalmente diversa da quella reale.
Governo e opposizione, eletti per fare gli interessi di chi li ha votati ma impegnati a tutelare i propri e quelli dei loro “veri” padroni.
In questo contesto ti trovi a un convegno che parla di consumi sfrenati di territorio, di una situazione sull’orlo del collasso ambientale, di grattacieli “sostenibili” che prevedono asili per i bambini dei dipendenti ma ubicati nei sotterranei, di sistemi di riscaldamento e raffrescamento basati sul pompaggio di acque dalle falde, con il rischio di tracimazione nei vicini passanti ferroviari, di assalti continui al “paesaggio bene comune”…
La denuncia arriva da ogni parte: da urbanisti e comuni cittadini, da organizzazioni ambientaliste e comitati spontanei di cittadini, da politici e apolitici, da ex politici totalmente immersi in quel pessimismo che ha provocato il loro declino, da fuori di testa che vedono il baratro ma non sanno descriverlo, da intellettuali capaci di analizzare le parole al microscopio ed estrarne il reale pieno significato ma incapaci di tradurlo in proposte pratiche.
Belle persone, pulite, impegnate, che tuttavia ti appaiono completamente avulse da possibili azioni concrete per tentare di correggere gli “status” così brillantemente analizzati in tutta la loro gravità.
Solo alcuni di loro, una piccola minoranza, preso atto delle analisi propongono azioni correttive. Sei stupefatto perché, conoscendo improvvisamente la realtà dei fatti, la rabbia ti sgorga dentro come un fiume in piena e vorresti fare qualcosa, subito, prima che sia troppo tardi …
Ti assale prepotentemente il timore che non ci sia più tempo, che tutto sia inutile, che occorra un’azione di forza. Già, ma sei non violento, da sempre …
E allora?
Di questi tempi gli unici ad aver ottenuto qualcosa sono quelli che si sono fatti alcuni giorni e notti sui tetti, adottando un metodo di protesta non violento ma estremo, eclatante.
Bene, facciamolo anche noi per fermare il consumo sfrenato e autodistruttivo di territorio ! Anche se i tetti non ci sono, presidiamo i terreni ancora verdi non appena approvata la loro nuova destinazione a cemento, installiamoci nelle aree picchettate, prima ancora che inizino gli scavi !
E facciamo “casino”, chiamiamo tutti a raccolta, non solo TV e giornali. Il numero di persone necessario per meritare attenzione e obbligare chi ci amministra a ragionare con noi non è così enorme: bastano alcune decine per attirare l’interesse dell’opinione pubblica e imporre a chi ha il potere di darci ascolto e motivare pubblicamente le proprie scelte.
“STOP AL CONSUMO DI TERRITORIO”: un movimento dagli obiettivi chiari, a prova di qualsiasi equivoco.
La parola “STOP” è evidente, lampante: fermiamo la cementificazione, non la vogliamo più ! Pochi altri movimenti hanno obiettivi chiari come questo, già nel loro nome.
D’accordo, i “ricercatori” sono importanti e insostituibili ma senza il supporto di persone capaci di tradurre le ricerche in risultati pratici il loro lavoro si riduce in un mero esercizio intellettuale.
E’ fondamentale che qualcuno analizzi minuziosamente il testo dell’articolo 9 della Costituzione, ma una volta accertati i diritti che ne discendono ai cittadini è indispensabile farli rispettare, soprattutto se chi non lo fa è proprio chi abbiamo delegato a governare.
La risposta più spontanea e viscerale sarebbe “rivoluzione”; ma, dato che siamo non violenti, saliamo sui tetti, anzi stazioniamo sui prati da difendere !
Credo che lo “STOP” debba prendere atto di questa situazione e si proponga come “manovalanza” al fianco dei “ricercatori”, dei “denuncianti” e intervenga per far prendere atto alle autorità competenti che una certa azione non può essere effettuata, corredando la protesta con l’evidenza dei fatti, con una denuncia “forte”. E’ finito il tempo delle marce pacifiche, quelle a cui partecipano centinaia di migliaia o milioni di persone (a detta degli organizzatori, mentre per le forze dell’ordine sono un decimo…): tanto chi governa continuerà a fare ciò che vuole (è stato votato per questo, no…?) e chi si oppone plaudirà alla manifestazione, senza far seguire azioni concrete …
Penso a uno “STOP” come “bandiera” della difesa del territorio bene comune, quale riferimento ideale di un rivolo di altre realtà, territoriali e non, che così parcellizzate possono avere una insufficiente cassa di risonanza.
Uno “STOP” che ha le caratteristiche giuste (oltre al nome, l’apoliticità, l’assenza di cariche, di una cassa, ecc.) per fare da capofila alla protesta sullo scippo in atto al territorio, il nostro fondamentale bene comune.