Un ragionamento che sta tra il logico e il matematico: se i nostri vini di fama (dal Chianti al Barolo ...) conoscono momenti difficili tanto quanto i cugini meno "nobili", significa che il loro "valore aggiunto" si è perduto. E bisogna farlo tornare a galla: è una questione di onore e di onori.
Così Paolo Socci della Fattoria di Lamole, un caratteristico borgo a pochi chilometri da Greve in Chianti (cuore di una terra da secoli votata alla produzione di vino), decide di fermarsi a riflettere.
Da anni, da quando assunse le redini della conduzione dell'azienda agricola di famiglia (una famiglia che per tradizione si era da sempre dedicata alle produzioni vitivinicole), aveva seguito la moda del "si deve fare così" e quella moda gli aveva consigliato di "piallare" le colline e ridisegnare i filari "a rittochino" in formazione geometrica sulle verticali delle colline, per favorire un metodo di agricoltura di tipo industriale: comodo per il lavoro con i trattori e per tutte le automazioni del caso.
Siamo nel pieno degli anni sessanta e progressivamente tutto il "Chiantishare" abbandona gli abituali terrazzamenti. Per accorgersi - ora - che, oltre ad aver stravolto un assetto di paesaggio che durava da secoli, quel nuovo sistema di agricoltura industriale riduce i costi, è vero, ma produce anche un vino decisamente non all'altezza del prodotto di un tempo.
Socci si mise, allora, a studiare le tecniche tradizionali e giunse alla "sua" risposta: il paesaggio del Chianti è non solo un paesaggio storico ma culturale, nel senso che questi luoghi hanno, tutto sommato, poco di naturale ma sono il frutto di una serie di adattamenti selezionati nel tempo e di regole produttive tutte orientate a ottenere un vino "buono".
Per dirla con Emilio Sereni, il paesaggio è la costruzione cosciente di una comunità e ogni comunità ha il paesaggio che si merita ...
E così Socci invertì la rotta e iniziò a restaurare le terrazze, segnalate qui fin dal Settecento, o a costruirle ex novo con tecniche antiche e recuperando un geniale sistema di drenaggio. Le terrazze, infatti, evitano il dilavamento del terreno causato dalle piogge, che invece è favorito dal "rittochino" e dai trattori che salgono e scendono dalle colline.
L’erosione, oltre ad agevolare il dissesto in caso di grandi piogge, fa scivolare verso il basso la sabbia, che è essenziale per le viti ad alberello e che le terrazze, invece, custodiscono. L’erosione, inoltre, diminuisce la fertilità del terreno e impone i concimi chimici.
E non è tutto: le pietre dei muraglioni sono una specie di radiatore capace di trattenere il calore del sole e rilasciarlo lentamente, favorendo una giusta maturazione dell’uva.
Maturazione che le terrazze agevolano anche perché i filari sono orientati da Nord a Sud e, quindi, incamerano più sole rispetto al "rittochino".
Una scelta, dunque, che unisce le esigenze colturali con quelle culturali: un prodotto ha più forza sui mercati se è riconducibile a una storia e a un luogo e se è il frutto di tecniche specifiche.
Il vino e qualunque frutto dell'agricoltura o dell'artigianato manuale non sono semplici prodotti, ma "storie". Un prodotto industriale ha ben poca storia da raccontare ...
Questo accade in Toscana. Siamo certi che accadrà anche tra Monferrato, Langhe e Roero; luoghi in cui paesaggio e cultura hanno antiche storie da raccontare.
E nuove sfide (culturali ...) da rilanciare !