Una giovane e brava attrice di una telenovela molto popolare, Beatriz Drumond, ogni volta che i suoi progetti falliscono, usa questa espressione: "è buio pesto" ... Non mi viene in mente un' espressione migliore nell' assistere al melanconico fallimento della COP 15 sui cambiamenti climatici a Copenaghen: è buio pesto!
Sì, l'umanità è entrata in una zona di tenebre e orrore. Ci stiamo incamminando verso il disastro. Anni di preparazione, dieci giorni di discussioni, la presenza dei principali leader politici del mondo non sono stati sufficienti per fendere le tenebre mediante un accordo condiviso di riduzione dei gas di effetto serra che impedisse di arrivare ai due gradi Celsius. Superato questo livello e avvicinandosi ai tre gradi, il clima non sarebbe più controllabile e saremmo in mano alla logica del caos distruttivo, con minacce alla biodiversità e con decimazione di milioni e milioni di persone.
Lula, il presidente del Brasile, nel suo intervento del 18 dicembre, giornata di chiusura, è stato l'unico a dire la verità: Ci è mancata l' intelligenza, perché i potenti hanno preferito contrattare vantaggi piuttosto che salvare la vita della Terra e gli essere umani.
Dal fallimento di Copenaghen possiamo trarre due lezioni: la prima è la consapevolezza collettiva che il riscaldamento è un fatto irreversibile, del quale siamo tutti responsabili, ma in primo luogo i paesi ricchi. E che ora siamo pure responsabili, ciascuno nella sua misura, del controllo stesso del riscaldamento affinché non sia catastrofico per la natura e per l'umanità. La coscienza dell'umanità non potrà essere più la stessa dopo Copenaghen. Se è emersa questa consapevolezza collettiva, perché non si è giunti a nessun accordo sulle misure da prendere per il controllo delle trasformazioni climatiche?
Ecco la seconda lezione che bisogna trarre dalla COP 15 di Copenaghen: "il cattivo" è il sistema del capitale con la sua relativa cultura consumistica. Finché manterremo un sistema capitalistico articolato in tutto il mondo, sarà impossibile un consenso che ponga al centro la vita, l'umanità e la Terra e adottare misure per la loro salvaguardia. Il suo interesse primario è il guadagno, l'accumulazione privata e il potenziamento della forza di competizione. E' da molto tempo che ha snaturato l'economia: da tecnica e arte di produzione di beni necessari alla vita è diventata una brutale tecnica di produzione di ricchezza per se stessa, senza altre considerazioni. Addirittura questa ricchezza non è prodotta per essere usufruita, ma per produrre ulteriore ricchezza, in una logica ossessiva e sfrenata.
E' per questo che ecologia e capitalismo si negano reciprocamente. Non esiste un accordo possibile. La cultura ecologica cerca l'equilibrio di tutti i fattori, la sinergia con la natura e lo spirito di cooperazione. Il capitalismo infrange questo equilibrio sovrapponendosi alla natura, stabilisce una competizione feroce tra tutti e mira a sfruttare al massimo la Terra, fino a non permetterle più di riprodurre le proprie risorse. Se il capitalismo assume il discorso ecologico è per guadagnarci sopra.
E ancora: il capitalismo è incompatibile con la vita. La vita chiede amorevole attenzione e cooperazione. Il capitalismo sacrifica vite,genera lavoratori che sono veri schiavi pro tempore e sfrutta lavoro minorile in vari paesi.
I negoziatori e i leader politici a Copenaghen sono rimasti schiavi di questo sistema che mercanteggia, vuole avere guadagni, non esita nel mettere a rischio il futuro della vita. Ha una tendenza suicida. Che accordo potrà nascere tra il lupo e l'agnello, cioè, tra la natura che grida per ottenere rispetto e coloro che la devastano senza pietà?
E' per questo motivo che chi conosce la logica del capitalismo non si sorprende dell'insuccesso della COP 15 di Copenaghen. L'unico che ha alzato la voce, solitaria, come un "pazzo" in un complesso di "saggi" è stato il presidente Evo Morales: "O superiamo il capitalismo o questo distruggerà la Madre Terra".
Piaccia o no, questa è la pura verità. Copenaghen ha fatto cadere la maschera del capitalismo, incapace di trovare accordi perché non dà importanza alla vita e alla Terra, ma piuttosto al lucro e ai vantaggi materiali.