di Alessandro Mortarino.
La terza Sezione Penale della Corte d’Appello di Torino ha posto la parola fine alla querelle legale intentata nel 2016 dai soci della "Monferrato srl" contro cinque persone che, su Facebook, avevano espresso opinioni critiche al progetto che intendeva trasformare i boschi di Valle Randolo in una pista da motocross. La denuncia per diffamazione aveva visto in primo grado la condanna dei cinque con sanzione di 500 euro ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali e a un risarcimento danni di 1.000 euro in solido alle parti civili, a fronte di una richiesta che l’accusa aveva quantificato in 60.000 euro totali. I giudici torinesi hanno assolto tutti gli imputati con formula piena “perché il fatto non sussiste”...
Pur trattandosi di un reato già caduto in prescrizione, la Corte d'Appello ha inteso comunque esprimersi nel merito, accogliendo le tesi dei difensori che sostenevano che i toni usati da ognuno dei cinque imputati (Fiammetta Mussio, Ketty Increta, Gianluca Morino, Carmine Salimbene, Gianpaolo Squassino) sulle pagine del social network, non avessero mai oltrepassato il confine della libertà d'espressione. Dissenso e critica, sì. Diffamazione, no.
Le frasi contestate non possiamo certamente considerarle come "sussurrate", nel senso che esprimevano in maniera molto netta e chiara il dissenso di ciascuno dei cinque al progetto, considerato particolarmente dannoso per un'area ancora non antropizzata e per un territorio a forte vocazione vitivinicola e turistica. La reazione immediata della società proponente il progetto era stata subito considerata come una sorta di avvertimento a non sollevare obiezioni, ovvero di sedare sul nascere qualunque opinione critica, anche con l'uso del deterrente legale: tu mi attacchi, io ti querelo.
Un atto, purtroppo, che da molti (troppi) anni viene brandito come una clava nei confronti del dissenso manifestato da comitati spontanei, associazioni ambientaliste, singoli cittadini, giornalisti: "colpirne uno per educarne cento", si sarebbe detto una volta.
La sentenza ora fa chiarezza e restituisce la dimensione di uno strumento fondamentale della democrazia. «In un Paese in cui si sta restringendo il diritto di critica da parte dei cittadini, è sicuramente un bel segnale» ha commentato l’avvocato Alberto Pasta, uno dei legali del collegio difensivo.
E' utile ricordare che nei giorni scorsi il Parlamento (cioè il Legislatore) sta portando avanti un'iniziativa normativa per introdurre un nuovo articolo del Codice Penale che punisce chi contesta, in particolare chi minaccia di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura "strategica". Una situazione davvero grottesca che prevede, per chi protesta, una pena tripla rispetto alla corruzione o alla rapina.
L'iniziativa è a firma dell'onorevole Iezzi (Lega), che ha presentato un emendamento al DDL sicurezza in cui si prevede addirittura il carcere da 4 a 20 anni anche per chi, con immagini o atti simbolici, possa minacciare il blocco di opere infrastrutturali.
Realizzare o diffondere un volantino potrebbe dunque essere perseguibile per legge?...