Volendo commentare la decisione di demolire l’edificio “Maternità” ritengo doveroso riportare, in premessa, uno stralcio della pubblicazione del dott. Aris D’ Anelli “UN OSPEDALE UNA CITTA’” Ed. Il Platano (1996): “Nel 1937 Carlo Currado elaborò un progetto molto ambizioso, quello di creare un istituto che si occupasse dei problemi della maternità e dell’infanzia. In collaborazione con la Provincia di Asti e le autorità comunali e con il contributo di benefattori astigiani (soprattutto il senatore Giovanni Penna che si distinse per le molte opere pubbliche da lui finanziate e l’altrettanto generosa Cassa di Risparmio di Asti) fu istituita una Fondazione intitolata alla madre del Maresciallo Pietro Badoglio “Fondazione Antonietta Pittarelli Badoglio” e fu costruito, in via Duca d’ Aosta, un elegante edificio chiamato “La casa della madre e del fanciullo” in cui avrebbero dovuto trovare ospitalità la Maternità, la Divisione pediatrica e il Brefotrofio provinciale per illegittimi …
Prima del 1935, orfani e trovatelli erano raccolti in un moderno e funzionale edificio della città di Alessandria: Asti infatti apparteneva alla provincia di Alessandria. Nel 1935, divenuta Asti capoluogo di provincia, i trovatelli furono trasferiti al Buon Pastore di Asti ove erano state tenute, fino dal 1861, giovani donne in procinto di diventare ragazza madri e le fanciulle che “correvano tale pericolo”: le une e le altre attendevano che il “ Buon pastore” indicasse loro la giusta via.
Più avanti in tale sede, denominata “Casa di recezione dell’infanzia abbandonata”, furono accolti i bambini illegittimi o abbandonati, ospitati in locali malsani, poco accoglienti e insufficienti. Tale ente era amministrato dal Comune con fondi dello Stato e con le rendite di poderi e terreni agricoli.
Con la “casa della madre e del fanciullo” si sarebbe realizzata una struttura di assistenza, profilassi e cura materno-infantile veramente nuova, moderna, quasi avveniristica secondo un concetto che è divenuto attuale e si è realizzato solo dopo gli anni ’70.
Nel 1940, appena terminata la sua costruzione, l’istituto fu requisito dall’ esercito che ne fece
un ospedale militare. Solo nel 1946, ad un anno dalla fine della guerra, dopo importanti lavori di restauro e riattamento per le pessime condizioni in cui fu lasciato, fu restituito alla sua funzione istituzionale: con l’intervento finanziario e normativo dell’OMNI, Opera Nazionale Maternità ed Infanzia, venne trasferita in quell’ edificio la Maternità e trovarono accoglienza il Brefotrofio ed un reparto molto recettivo per ragazzi orfani, abbandonati o comunque bisognosi di assistenza.
Circa vent’ anni dopo la Maternità fu trasformata in Divisione di Ostetricia e Ginecologia e, più recentemente, vi giunse anche la divisione di Pediatria con il suo reparto neonatologia e una sala per immaturi”.
A spingermi a scrivere, affinché la “Maternità” venga salvata dal piccone demolitore, non è solo il fatto che io sono la nuora (avendone sposato il figlio Lillo) del mitico e indimenticabile prof. Carlo Currado, pioniere della neonatologia e pediatria, maestro e innovatore della medicina astigiana, ma perché la “Maternità”, come tutti i monumenti di un passato recente o lontano, che hanno rappresentato e costituiscono ora testimonianza di innovazione e di sviluppo sociale per la comunità di riferimento, meritano di essere conservati e tramandati.
La “Maternità”, oltre a essere una bellissima e solida costrizione, testimonianza di un passato in cui gli edifici pubblici dovevano rappresentare di per se stessi la solidità dello Stato, costituisce, per la collettività astigiana, come ha ben descritto il dott. Aris D’ Anelli nella sua pubblicazione “UN OSPEDALE UNA CITTA” (Ed. Il Platano, 1996), un momento di importante crescita sociale, con specifico riferimento all’assistenza delle donne e dei bambini, edificio perno di tutta una serie di attività che in quel periodo ebbe in Asti un centro di eccellenza.
Non è certo il simbolo di un periodo politico, ma la testimonianza di come, quando alla professionalità e alla capacità di dirigenti pubblici di chiara fama: il prof Carlo Currado era il Primario della Divisione di pediatria dell’Ospedale di Asti, il prof. Debenedetti il Direttore sanitario, si unisce la generosità di benefattori e di finanziatori, nel caso in oggetto il senatore Penna e la ancora presente e munifica Cassa di Risparmio di Asti, i risultati e i benefici ricadono su tutta la collettività.
Cosa stupisce, nel caso in oggetto, è la scontata banalità con cui si pensa di abbattere un edificio dal valore storico documentario di questo livello (a tal proposito sarebbe utile verificare se un edificio, sempre stato di proprietà pubblica, con più di cinquanta anni, non sia già vincolato ex lege 1089/39), simbolo, nella prima metà del ‘900, di una nuova concezione della condizione femminile, riverbero locale di tutte le lotte che si stavano portando avanti nel mondo per l’ emancipazione del ruolo della donna e del suo rapporto con il proprio bambino, già dal momento della nascita.
Contestualmente ritengo utile ribadire come la reiterata idea di demolire l’ala sud del vecchio Ospedale, per far “trasmigrare” le volumetrie in altra parte della città, parte già densissima e consolidata, sia a mio parere da abbandonare, principalmente per due considerazioni.
La prima: l’edificio stesso costituisce ormai parte integrante del tessuto della città, cortina edilizia di raccordo tra Viale alla Vittoria e il risvolto sud di Piazza Alfieri. E’ chiaro che la facciata è modesta, ma in proposito basta andare a Barcellona o in altre parti del mondo per ammirare i miracoli architettonici che si ottengono con banali operazioni di riqualificazione urbana.
La seconda: il valore immobiliare di un edificio posizionato di fronte ai giardini pubblici, nel cuore della città, è notevolmente più alto rispetto ad analogo edificio posizionato nella periferia sud-est (in periodo di crisi e di mancanza di fondi per le pubbliche Amministrazioni, anche queste valutazioni vanno prese nella dovuta considerazione); inoltre non sono da sottovalutare tutti i costi, per la demolizione di un corpo edificato di quelle dimensioni, nonchè lo sgombero e l’eventuale bonifica dell’area.
Se veramente Giorgio Galvagno vuole fare di Asti un centro di eccellenza mondiale per il prodotto “vino”, idea bellissima e che mi auguro possa velocemente decollare, ritengo che per il successo del suo progetto giochi un ruolo determinante la qualità urbana, il mantenimento delle architetture di valore storico-documentario, tutto il patrimonio di storia e di cultura, ivi compreso l’edificio della “Maternità”, che fanno di questa città e di questo territorio un bene unico e irripetibile.
A tal fine, a mio sommesso parere, caro Sindaco dovrebbe ringraziare:
- i suoi predecessori che hanno acquisito e realizzato aree verdi in abbondanza ( nel caso specifico delle aree verdi, è stato proprio Lei, giovane assessore, a realizzare negli anni ‘70, con Giorgio Platone, Laurana Laiolo e il Sindaco Vigna, una città ricca di servizi e di verde, grazie alle previsioni del nuovo PRG approvato nel 1974, a seguito di una revisione generale, assessore avv. Cirio, che aveva applicato per la prima volta in Italia i dettami del DM 2/4/1968, imponendo il rispetto degli standard di legge, premiando prioritariamente il verde) e che Lei ha ora l’obbligo istituzionale e morale di tramandare alle generazioni che verranno;
- i suoi concittadini dei tempi passati che hanno costruito una città storica tra le più belle del Piemonte (il centro Storico di Asti è il più importante dopo quello di Torino) e quelli che ora, con le unghie e con i denti, cercano di conservarla;
- tutte le persone scomode e idealiste, con la ferma certezza che ci sarà un futuro solo per quelle città e comunità che hanno saputo investire e investiranno nell’eccellenza, nella qualità, prima fra tutti la qualità urbana e nelle attività compatibili che arricchiscono e non depauperano il proprio territorio (quale, ad esempio, Enolandia).
Alla luce di quanto sopra, mi rivolgo a Lei, in qualità di Sindaco e di primo cittadino, votato dalla comunità astigiana che lo ha conosciuto come amante delle aree verdi, dell’identità e del decoro urbano, affinché voglia fermare tutte le scelte amministrative che impoveriscono e depauperano in modo irreversibile la qualità e l’identità della Città, Città di cui Lei si è assunto
l’onere e l’onore di governare per cinque anni.
Purtroppo, o per fortuna, la vita di una città è molto più lunga della vita degli Amministratori che la governano, ma le decisioni di demolire edifici di valore storico o di cementificare aree verdi sono atti irreversibili e definitivi, atti che non consentono ripensamenti o ritorni …