Cronache dai mondi di collina distrutti dal cambiamento climatico.
di Franco Correggia.
Stiamo andando a fuoco. Siamo in un forno a microonde. L’ambiente intorno a noi si sta letteralmente trasformando in uno sterile deserto rovente. Il motivo lo conosciamo, la comunità scientifica internazionale ce lo ricorda da decenni, con tanto di numeri, statistiche ed evidenze incontestabili...
La questione, in fondo, è semplice. L’utilizzazione dei combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale) a scopo energetico, associata con la distruzione su larga scala delle foreste (riduzione della biomassa fotosintetica) e con i cambiamenti nell’uso dei suoli (agricoltura industriale, allevamenti intensivi, ecc.), ha prodotto un sensibile aumento delle emissioni e dell’accumulo in atmosfera di anidride carbonica e di altri gas serra. La concentrazione della CO2 atmosferica è passata dalle 280 parti per milione del 1850 alle 419 parti per milione di oggi (il valore più elevato degli ultimi 800.000 anni e probabilmente degli ultimi 20 milioni di anni), con un incremento di circa il 50% rispetto all’epoca preindustriale. Dall’inizio della rivoluzione industriale a oggi, il combinato disposto della combustione delle fonti fossili (formatesi nel Paleozoico e stoccate nel sottosuolo) e della deforestazione ha immesso in atmosfera circa 545 miliardi di tonnellate metriche di carbonio. Attualmente, a causa delle attività umane, si realizza ogni anno un accumulo netto in atmosfera di circa 9 gigatonnellate di carbonio (scarto derivante dalla combinazione tra aumento dell’immissione e diminuzione del riassorbimento), una quantità che cresce su base annua di circa il 6%. Questo processo comporta due effetti nefasti per l’intera biosfera.
Il primo è il riscaldamento globale. I gas serra, non essendo trasparenti alla radiazione infrarossa riflessa dalla superficie terrestre (caratterizzata da una lunghezza d’onda maggiore di quella della radiazione solare incidente), assorbono parte dell’energia irraggiata, che altrimenti sfuggirebbe nello spazio cosmico. La modificazione dell’equilibrio dell’energia radiante conseguente all’aumento della loro concentrazione atmosferica produce effetti di intrappolamento del calore, e l’accumulo di energia termica conduce a un riscaldamento della superficie terrestre e della bassa atmosfera (greenhouse effect). L’incremento dell’evaporazione dell’acqua oceanica, indotto dall’aumento di temperatura della superficie planetaria, accresce il contenuto atmosferico di vapore acqueo, a sua volta potente gas serra; ciò innesca un feedback positivo che accentua ulteriormente lo spostamento del punto di equilibrio termico-radiativo tra radiazione elettromagnetica solare in arrivo (a onda corta) e radiazione infrarossa in uscita (a onda lunga). A causa di queste dinamiche, nell’ultimo secolo la temperatura media globale superficiale del pianeta è aumentata di poco più di un grado. Entro il 2100, quando la CO2 atmosferica supererà in base alle stime attuali la concentrazione di 800-900 ppm, la temperatura media terrestre subirà un innalzamento di 2-5 gradi °C.
La rapida intossicazione da CO2 ha innescato una profonda riconfigurazione degli assetti macroclimatici planetari, con stravolgimento della circolazione generale dell’atmosfera, variazione della posizione media dei grandi centri ciclonici e anticiclonici, modificazione della direzione delle correnti oceaniche. Ciò è alla base di fenomeni ormai ben noti, che sono davanti ai nostri occhi. Tra questi lo scioglimento dei ghiacciai continentali, delle calotte polari e del permafrost, la perturbazione della circolazione termoalina globale, la modificazione del ciclo idrologico e delle teleconnessioni atmosferiche, la tropicalizzazione delle fasce temperate, l’alterazione della distribuzione e dell’intensità delle precipitazioni, la rimodulazione del regime dei venti e dei cicli di piena dei fiumi. Ma anche l’accentuazione dei disequilibri stagionali, la dilatazione dei processi di desertificazione, l’erosione e l’inaridimento dei suoli fertili, l’aumento della frequenza e della severità degli eventi meteorologici estremi (mareggiate, uragani, cicloni tropicali, alluvioni, flash flood, nubifragi, tempeste di vento, tormente, ondate di calore, periodi di siccità severa, episodi marcati di El Niño, ecc.). E ancora il diffondersi degli incendi negli entroterra continentali, l’aggravamento dei fenomeni di eutrofizzazione delle acque interne, la riduzione della produttività del fitoplancton marino, la distruzione di reti alimentari oceaniche cruciali, l’innalzamento del livello dei mari (con conseguente erosione delle spiagge, sommersione delle isole basse, inondazione delle aree costiere e restringimento delle terre emerse).
E, più in generale, il crollo della biodiversità, la riorganizzazione lungo flussi orizzontali (distalmente all’equatore) e verticali (a quote superiori sul livello del mare) della distribuzione spaziale di specie ed ecosistemi, il degrado dei grandi biomi strategici e delle ecoregioni vitali della biosfera (foreste boreali, tundre artiche, torbiere ghiacciate, foreste temperate decidue, foreste pluviali tropicali, foreste equatoriali xeriche, formazioni a mangrovie, savane, praterie, zone umide, lagune salmastre, ecosistemi dunali, ambienti mediterranei, coral reef). O addirittura la perturbazione profonda di processi eco-etologici fondamentali come le migrazioni animali, la fioritura delle piante, i cicli vitali degli insetti e le relazioni preda-predatore. Inoltre il global warming sta mandando alla deriva molti agroecosistemi caratterizzati da basse stabilità di resistenza e di resilienza (già di per sé fragili, deregolati, iporeattivi, vulnerabili, rigidi, anelastici e meno adattabili per la perdita di naturalità, di complessità, di struttura e di diversità genetica), con riduzione della produttività agricola mondiale (e di quella cerealicola in particolare) e conseguente estensione dell’insicurezza alimentare.
Il secondo tragico effetto dell’incremento della CO2 atmosferica, ancora peggiore del primo, è l’acidificazione degli oceani. Il pH delle acque marine, a causa dell’aumento dell’acido carbonico disciolto, è già sceso in poco più di cent’anni da 8,25 a 8,14 e si sta ulteriormente abbassando. Quando verso fine secolo raggiungerà il valore di 7,8, gli oceani saranno 150 volte più acidi di quanto non fossero in età preindustriale. Le conseguenze di questa progressiva dealcalinizzazione comporta conseguenze devastanti su tutto lo spettro delle forme di vita fondate sui processi di biocalcificazione. Si pensi ai molluschi con guscio calciocarbonatico, al plancton calcareo, ai crostacei con esoscheletro calcificato, agli echinodermi, alle alghe pluricellulari e soprattutto alle barriere coralline (bioarchitettura portante degli ecosistemi oceanici e formidabile attrattore di biodiversità che rappresenta l’habitat vitale di oltre un quarto delle specie talassiche). Non solo; più in generale, l’abbassamento del pH delle acque oceaniche implica il collasso dell’intera gamma di forme viventi che abita il biota marino, in quanto interferisce con il metabolismo complessivo degli organismi, con le attività enzimatiche intracellulari, con la biodisponibilità dei nutrienti e con la fotosintesi.
Ma tutto questo, per molte persone, è solo un coacervo fumoso e respingente di concetti e dati scientifici, difficile da decifrare e da non prendere fino ad oggi troppo sul serio. Il punto però è che adesso il quadro è cambiato. Per acquisire consapevolezza dello sconvolgimento climatico e bioecologico che sconquassa il pianeta non è più necessario credere agli esperti, leggere libri e riviste di settore, guardare documentari in televisione, navigare in rete o frequentare i social media. Basta uno sguardo fuori dalla finestra. E sì, perché gli effetti del cambiamento climatico ci sono esplosi in faccia. Prendiamo per esempio le nostre familiari colline astigiane. La situazione è tecnicamente catastrofica. In tutta la mia vita non ho mai visto nulla di simile. Da quasi un anno non abbiamo più avuto piogge significative. La neve in inverno è una barzelletta. In questo torrido e arido luglio, le nostre campagne sono allo stremo, disseccate da una siccità implacabile. La sofferenza dell’intera tessitura ecosistemica dell’area è lancinante e rasenta il punto di rottura. Le falde acquifere sono esaurite o sprofondate. Tutti gli ambienti umidi sono in ginocchio. Gran parte del reticolo idrografico locale è completamente asciutto; rii, ruscelli e torrenti non hanno una goccia d’acqua, le sorgenti sono in secca. I corsi d’acqua maggiori sono ridotti a una successione di lanche morte stagnanti e maleodoranti, dove si raccoglie un velo di acque eutrofiche e schiumose colme di alghe agonizzanti. I loro contenuti di biodiversità (fauna ittica, macroinvertebrati bentonici e nectonici, protozoi, rotiferi, macrofite acquatiche, ecc.) sono inesorabilmente distrutti. Anche gli ambienti lentici (stagni, pozze, acquitrini, paludi) sono del tutto inariditi e le loro biocenosi sono annientate. Le formazioni forestali sono vicine al collasso, i prati e gli erbosi sono bruciati. Gli alberi di boschi e siepi ingialliscono e perdono precocemente le foglie; molti (tra cui svariate farnie imponenti) sono già morti in piedi. Innumerevoli specie vegetali non sono arrivate all’antesi e tanto meno, di conseguenza, alla fruttificazione. Muschi ed epatiche sono ridotti a feltri rinsecchiti e avvizziti, i funghi macroscopici sono quasi scomparsi. Negli strati superficiali del suolo non ci sono più lombrichi e altri anellidi ipogei. I molluschi (acquatici e terrestri) sono spariti. Le popolazioni di gran parte degli insetti sono una misera frazione rispetto a quelle degli anni scorsi (decimati i grandi coleotteri, le lucciole, le libellule, le farfalle, gli eterotteri acquatici, i tricotteri, ecc.). Gli anfibi sono pressoché solo un ricordo. Molte specie di uccelli sono alle corde e svariati mammiferi sono in profonda crisi. Le colture agrarie (seminativi, vigne, frutteti, orti) hanno un aspetto morente e desolato, che rende lunare e penoso il paesaggio. Il tessuto vivente che permeava e innervava fino a ieri i nostri territori si sta inaridendo e dissolvendo. Intorno a noi sta morendo tutto.
In questo scenario apocalittico da girone infernale, la gran parte delle persone, pur avendo la percezione intuitiva che qualcosa di cupo aleggia nell’aria, continua a comportarsi come niente fosse. Nonostante l’abisso sia ormai a un passo, l’inerzia del pensiero e l’automatismo dei gesti sono blindati e inscalfibili. Finché l’acqua uscirà dai rubinetti, finché i supermercati saranno forniti, finché la temperatura non raggiungerà i 50 gradi soffocando il respiro, finché tutti gli alberi non saranno ridotti a spettrali scheletri disseccati, finché si potrà delirare quotidianamente di idiozie gratuite sui social network e finché sugli schermi televisivi e sui display degli smartphone scorreranno partite di calcio, talk show demenziali e reality per imbecilli, potremmo andare avanti come sempre, senza modificare i nostri stili di vita e il nostro rapporto con la natura vivente. Fino all’ultimo secondo, la logica dominante e indiscussa sarà quella cinica, autolesionista e nichilista del Business as usual. Che riconosce come baricentro e stella polare solo il profitto, la convenienza economica immediata, l’antropocentrismo e l’egocentrismo assoluti. Poi, quando l’accelerazione esponenziale e autocatalitica dei processi antropici di degrado dell’omeostasi ecologica e degli equilibri dinamici planetari condurrà a una transizione di fase caotica e all’implosione repentina del sistema, allora tutti entreranno nel panico e impazziranno completamente. Magari nel giro di 48 ore…
L’esempio più emblematico e la testimonianza più eloquente di come siamo ridotti vengono però, come sempre, dall’alta politica, da coloro che hanno accesso alla stanza dei bottoni, dai burattinai che muovono i fili della commedia umana, dalle oligarchie che custodiscono gli arcana imperii, dai potenti della Terra. A questo proposito, consideriamo in termini oggettivi e un po’ da lontano (come fossimo osservatori di un altro sistema stellare) la nostra attuale situazione. Ci svegliamo ogni mattina sulla superficie di un pianeta alle corde, in cui uno straziante urlo di dolore si alza dall’intera trama vivente ecosferica. Le attività antropiche esercitano un livello di pressione che supera largamente la capacità di carico degli ambienti naturali. Un’overdose di stress che, attraverso l’induzione di oscillazioni caotiche e risonanze pericolose nei biomeccanismi delle trame viventi, è a un passo dal provocare il collasso dei sistemi ecologici portanti di sostegno, autoregolazione, adattamento, stabilizzazione e rigenerazione della biosfera. Le patologie esiziali interconnesse che squassano il mondo, perturbando in profondità e alterando su larga scala i fondamentali elementi strutturali e regolatori che ne controllano gli assetti bioclimatici e geofisiologici e ne modulano il framework di funzioni, reti metaboliche, vettori, flussi, cicli, autorganizzazione e proprietà emergenti, hanno nomi ben noti. Perdita verticale di biodiversità, sovrappopolazione, inquinamento chimico-fisico, cambiamenti climatici, assottigliamento dello strato di ozono stratosferico, piogge acide, deforestazione, distruzione di ecosistemi vitali, frammentazione e insularizzazione degli habitat. E ancora: cementificazione metastatica, urbanizzazione invasiva, erosione e impermeabilizzazione del suolo, desertificazione, espansione delle monocolture agroindustriali intensive, salinizzazione dei terreni fertili, annientamento dei mari, overfishing, eutrofizzazione delle acque ferme e correnti, carenza idrica globale. Ma anche: pressione venatoria eccessiva, commercio internazionale di specie selvatiche, introduzione di specie esotiche invasive, sovrasfruttamento generalizzato delle biorisorse naturali (overharvesting e overexploitation)…
Inoltre, come se non bastasse, negli ultimi tre anni le nostre società complesse e ipertecnologiche sono state messe letteralmente in ginocchio dalla pandemia virale originata dal betacoronavirus Sars-CoV-2, l’agente eziologico della patologia infettiva a prevalenza respiratoria nota come Covid-19. Un microscopico virus a RNA con un genoma di 30.000 nucleotidi, con un diametro di appena 100-150 nanometri e formato da sole quattro “banali” proteine strutturali, in pochi mesi, ha prodotto un’ecatombe sanitaria impressionante, ha fatto collassare il sistema economico-produttivo planetario, ha distrutto la tessitura di relazioni e reti sociali che caratterizzava fino a ieri il nostro mondo smart e iperconnesso. E con il suo mutevole florilegio di varianti genomiche e sierotipi ha trasformato tutto ciò che è sempre stato considerato universalmente il bene (l’empatia, la vicinanza, il contatto, il legame, lo scambio) nel male assoluto, nel sinistro vettore del contagio e nel rischio mortale, generando un’apnea emotiva e un’anestesia affettiva dalle devastanti conseguenze psicologiche. Una malattia umana ubiquitaria che si profila come un feedback veloce di retroazione e controllo a scala globale e ad azione rapida, in grado di giocare un ruolo regolatorio nelle dinamiche non lineari dei fattori sistemici aventi effetti di destabilizzazione e perturbazione sugli equilibri omeostatici della biosfera.
Ebbene, in questo drammatico contesto, coloro che stringono tra le mani il destino del mondo, le élites raffinate e le spocchiose caste politico-economiche che reggono le sorti delle nostre vite, quale tipo di formidabile, lungimirante, efficace e assennata risposta hanno elaborato e messo in campo per affrontare in modo deciso e con successo le tragiche crisi sistemiche che attanagliano e strangolano il pianeta? Qualcosa di davvero geniale: la terza guerra mondiale, con possibile annesso olocausto termonucleare come potenziale esito finale. Armi a iosa, iperbolica escalation delle spese militari, distruzioni, sofferenze, disintegrazione sociale, conflitti, ulteriore degrado ambientale, stop ai già timidi e insinceri tentativi di riconversione ecologica, rinvio sine die delle politiche di decarbonizzazione e delle strategie di mitigazione delle emissioni climalteranti. Questo è ciò che sono stati in grado di secernere i neuroni, i circuiti sinaptici cablati e le reti biochimiche cognitive contenute nelle scatole craniche dei massimi esponenti del gotha che governa la rutilante e biocibernetica società high tech del turbocapitalismo avanzato, fondata sui ferrei dogmi e sugli algidi paradigmi del consumo compulsivo e della mercificazione totale. Tra gli applausi fragorosi e monocordi dei mezzi di comunicazione di massa e la fanatica propaganda bellicista in stile orwelliano delle agenzie d’informazione mainstream, le talentuose classi dirigenti di un pianeta malato e morente ci trascinano dritti all’inferno. Una vera perla di rara intelligenza e commovente responsabilità.
Tutto ciò autorizza in modo oggettivo e desolato a pensare che la nostra mirabile ed egemone specie, nella sua attuale versione tecnomorfa e biocida, sia finita nel labirinto oscuro di un’incontrollabile deriva psicotica, antibiologica, necrofila e suicida. Nonostante il nostro pirotecnico e versatile encefalo dalle qualità straordinarie, nonostante la nostra sbalorditiva autocoscienza, nonostante lo scintillante e variegato introcosmo di psyché che si annida dentro di noi, nonostante la massa di informazione e conoscenza di cui disponiamo, nonostante l’unilaterale decisione di proclamarci demiurghi, architetti e dominatori assoluti della nostra fulminea era (che non a caso abbiamo chiamato Antropocene), non possiamo più allontanare ed eludere un dubbio inquietante. Quello di essere un semplice errore evolutivo, un esperimento biologico fallito, che sta lavorando alacremente ventiquattr’ore al giorno per costruire i presupposti della sua imminente e irreversibile estinzione.
A partire dalla transizione da Homo sapiens a Homo technoeconomicus (trasformazione genetica innescata dalla rivoluzione industriale e completata dalla rivoluzione digitale), abbiamo riconfigurato in un lampo e in modo radicale le intelaiature portanti e strutturali della biosfera. Abbiamo sfiancato e corroso il firmamento interconnesso e simbiotico di relazioni intrecciate della natura vivente. Abbiamo modificato il clima, cambiato la composizione gassosa dell’atmosfera, perturbato i cicli biogeochimici fondamentali, alterato il ciclo dell’acqua e causato l’ecatombe della biodiversità. Abbiamo avvelenato la terra, acidificato gli oceani, dilatato i deserti, cancellato le foreste, inquinato e impoverito i suoli, deviato i fiumi, svuotato i mari e stravolto l’aspetto dei continenti. Abbiamo espanso a dismisura la nostra impronta ecologica. Abbiamo scatenato la nostra tendenza bulimica e ossessivo-compulsiva ad aumentare di continuo e con andamenti esponenziali l’input di energia, materie prime, risorse minerarie, acqua, territori, foreste, mari, specie viventi e sistemi naturali nei processi economico-produttivi. Abbiamo violato e sfondato senza ritegno i planetary boundaries che definiscono i margini intrinseci di sicurezza relativi alla nostra collocazione nella biosfera. Abbiamo fatto tabula rasa dei pattern complessi della varietà bioecologica e ground zero sulla grande costruzione reticolare della vita. Ci comportiamo simultaneamente da predatore apicale di successo, da specie infestante cosmopolita, da agente virale parassitario e da clone neoplastico metastatico. Siamo l’empio agente della transizione biotica nota come sesta estinzione di massa. Nessun altro fattore è stato in grado di produrre impatti altrettanto profondi sulla sfera verdazzurra a cui siamo aggrappati. È chiaro che c’è qualcosa che non va. Qualcosa di grave.
Nella noosfera biodigitale e nel multiverso computazionale costruiti intorno al nostro poliedrico sistema nervoso centrale consentiamo quotidianamente che techné, sempre più ipertrofica e guidata in maniera proterva e famelica da hýbris, venga lasciata libera di martirizzare e sfigurare physis. Nella speranza ingenua e arrogante che nel futuro non vi sia nèmesis in attesa. La brutta notizia è che nèmesis, la vendetta, è arrivata. La mia domanda è ingenua, semplice e lineare. Quale altra linea rossa deve essere superata per decidere che bisogna uscire subito, costi quello che costi, dalla psicosi mortifera e contra naturam in cui siamo intrappolati?
Insomma, oggi queste nostre distopiche campagne riarse e desertificate, che nel luglio 2022 più che all’immagine sognante, al locus amoenus e ai reincanti delle tradizionali verdi colline astigiano-monferrine rimandano al locus horridus dell’Armageddon o alla tetra e livida terra di Mordor, ci interrogano sulla nostra volontà di fare la cosa giusta e di invertire immediatamente la rotta. Cambiando adesso i nostri valori, i nostri riferimenti, i nostri paradigmi e i nostri stili di vita, mettendoci in gioco in prima persona e agendo in concreto fin da subito con coerenza, senza se e senza ma, in termini personali, quotidiani, politici e culturali. Combattere per sopravvivere. Nella chiara consapevolezza che, ammesso che il punto di non ritorno non sia già stato fatalmente oltrepassato, questa è certamente l’ultima occasione che abbiamo. Il tempo è finito.
Se invece decideremo di continuare a vivere come zombie teleguidati che hanno reciso ogni legame empatico e biofilico con la natura vivente, il destino è segnato. La marea montante delle prossime crisi sistemiche subentranti, semplicemente, ci spazzerà via.