di Alessandro Valfrè.
Le disposizioni ministeriali che, conseguentemente all'ormai noto ritrovamento di una serie di carcasse di cinghiali colpiti da peste suina africana a inizio gennaio, vietano ogni attività outdoor in una estesa area a cavallo delle province di Genova, Alessandria e Savona aprono uno scenario estremamente complesso, che solleva tutta una serie di problematiche di enorme portata, e personalmente sono estremamente sorpreso che questa situazione non abbia avuto adeguata risonanza sui media nazionali, essendo spesso relegata a notizia di secondaria importanza o con valenza locale...
Ritengo che la possibilità di praticare attività outdoor in un contesto naturale, così come quella di spostarsi liberamente, siano diritti costituzionali di ogni libero cittadino. Ora, é ragionevole che, a fronte di una situazione emergenziale di chiara e comprovata criticità, questi diritti possano essere ridimensionati, per un tempo si spera il più breve possibile, nell'ottica di un bene comune superiore (ahimè, il Covid tristemente insegna). Il cittadino dovrebbe però, essere debitamente e compiutamente informato della situazione, per capire le ragioni delle restrizioni e poterle accettare. Ritengo che, nel contesto "peste suina", l'informazione data alla cittadinanza sia stata enormemente carente
Da libero pensatore in possesso di una laurea scientifica mi pongo alcune domande che ritengo logiche e meritevoli di attenzione e alle quali gli organi competenti dovrebbero dare risposte esaustive. Il divieto delle attività outdoor deriva dal fatto che il virus della peste suina (lo ricordiamo, non trasmissibile all'uomo) può sopravvivere per lungo tempo nell'ambiente; un escursionista potrebbe "raccoglierlo" su scarpe o indumenti e successivamente, indossandoli altrove, diffondere il virus in altre aree. Bene, ciò premesso, mi domando:
1) in Sardegna il virus della peste suina é presente almeno dal 1979. Non mi risulta sia mai stato vietato il trekking. Eppure, cosa cambia? Un vacanziere avrebbe potuto indossare le stesse scarpe in un trekking insulare e poi, nel volgere di pochi giorni, rientrato a casa, in una qualunque altra area della penisola. Perché questa diversità di trattamento? Non mi risulta che aerei o traghetti abbiano un potere disinfettante su indumenti o calzature (tra l'altro, in più di quarant'anni questa possibilità di contagio non si è mai verificata: il virus trovato sull'Appennino Ligure é di un ceppo diverso da quello sardo).
2) analogamente, il virus della peste suina é presente in tutta l'Europa centro orientale, tra cui la Germania. Un escursionista tedesco avrebbe tranquillamente potuto andar per boschi dalle sue parti e poi il giorno dopo passeggiare nel parcheggio di un prosciuttificio modenese. Con le stesse scarpe. Ancora una volta: cosa cambia?
Tutto ciò fermo restando che la trasmissione mediata da un ipotetico escursionista resta una eventualità remota, che la via principale di contagio é per contatto diretto tra animali, che i provvedimenti presi non possono avere evidentemente alcun effetto sulla fauna selvatica, che il come la peste suina sia arrivata nell'ovadese resta tutto da capire. Insomma, il cittadino si sacrifica, l'escursionista anche, chi sul territorio vive di turismo sostenibile pure, a che pro?
La domanda in definitiva é: cosa giustifica l'adozione di provvedimenti così pesanti, che limitano così tanto le libertà individuali? Cosa c'è di così diverso rispetto a prima? Come si può impattare così pesantemente sulla vita quotidiana di intere comunità senza un minimo di confronto con queste ultime?
Le disposizioni governative lasciano intendere come obiettivo finale dell'azione in atto una ipotetica eradicazione della patologia. Per la carità, sperare non costa nulla, è quello che ci augureremmo tutti, ma lo scenario più plausibile é invece tutt'altro, ossia l'ampliarsi della zona infetta con la patologia che diventerà progressivamente endemica: é quello che è successo in tutte le altre zone dove la peste suina é presente, perché qui dovrebbe essere diverso? E quando l'areale della peste suina si amplierà, la linea governativa resterà la stessa? Tornano alla mente le due ansiogene domande: fino a dove? Fino a quando?
Da astigiano e padre di tre bambini vivo questa situazione con grande timore e con una sorta di opprimente senso di claustrofobia. La possibilità di fare escursioni e attività immersive nella natura é stata una importantissima valvola di sfogo per me e la mia famiglia in questi anni di pandemia. Ricerche scientifiche dimostrano quello che non sarebbe nemmeno necessario dimostrare, perché ognuno lo avverte in prima persona, ossia che l'attività fisica all'aria aperta giova all'umore, al benessere psicofisico in generale, riduce i fattori di stress. Fare escursioni su sentieri è un diritto inalienabile di tutti e, se sussistono motivi giustificati per privarcene, qualcuno me li spieghi, perché, allo stato attuale delle cose, perdonatemi, ma io non li capisco.
La provincia astigiana confina con la zona rossa. É altamente probabile che presto diventerà zona rossa a sua volta. Forse molti non si sono ancora resi davvero conto di cosa questo comporterebbe: per esempio, che non si potrebbe più fare un pic nic in un prato questa primavera. O che i centri estivi frequentati dai bambini d'estate, come l'oasi WWF di Villa Paolina, solo per citarne uno, vedrebbero ridursi di molto la possibilità di offrire svago e attività formative. E questi sono solo due esempi. Ancora una volta: la situazione giustifica tutto ciò? Quale è il vero bene comune? Quale la vera priorità?
La filiera suinicola é estremamente importante a livello economico per l'Italia. Si temono gravi ricadute sul settore, soprattutto sull'export. Non si intende minimamente sminuire tali problematiche. Ma non è forse il caso di prevedere come convivere con la peste suina anziché pensare a una improbabile eradicazione? Come hanno fatto all'estero (dove le attività outdoor non sono mai state vietate in toto ma si sono adottati provvedimenti mirati)? Rigorose pratiche igienico sanitarie in ingresso e uscita dagli allevamenti, disinfezione delle calzature e quant'altro necessario per isolare e proteggere gli animali allevati sono misure così difficili o costose da attuare?
Viviamo tempi di grandi e veloci cambiamenti, i problemi a livello mondiale sono tanti e complessi. La questione peste suina, in Italia, solleva, a mio avviso, questioni non solo economiche o veterinarie, ma anche direttamente legate alla "cosa pubblica" e al vivere democratico. Spero, nel prossimo futuro, in una risposta adeguata a queste tematiche da parte delle autorità competenti.
In chiusura, mi si consenta una battuta, e tutti i lavoratori coinvolti dalla filiera suinicola non me ne vogliano. Ripeto, è una battuta. Ebbene, personalmente, piuttosto di rinunciare ad andar per boschi, anziché mangiare salame di suino mangio ben volentieri salame d'oca. O non mangio salame affatto.
Concludo con link relativo a petizione per chiedere la modifica delle recenti disposizioni governative, da firmare e divulgare per chi ne condivide motivi ispiratori e finalità: https://chng.it/C55GgLCt