Lettera del Forum “Salviamo il Paesaggio” al Presidente del Consiglio, Mario Draghi, sulla necessità di delineare ora e subito le sfide presenti e del dopo emergenza e suggerire una visione per collegare economia, occupazione, benessere sociale e tutela ambientale...
Illustre Presidente,
abbiamo apprezzato la Sua disponibilità ad ascoltare alcune Associazioni ambientaliste, le quali, pur essendo Associazioni importanti e rappresentative, non esprimono la completa visione dell’impegno nel settore strategico per la salvaguardia del paesaggio e della risorsa suolo.
Abbiamo deciso di scriverLe per farLe conoscere una realtà, il Forum Nazionale “Salviamo il Paesaggio – Difendiamo i Territori”, una Rete civica nazionale formata da oltre mille tra Associazioni e Comitati e da decine di migliaia di singoli aderenti. Un’aggregazione di Associazioni e cittadini di tutta Italia, che, mantenendo le peculiarità di ciascun soggetto, intende perseguire un preciso obiettivo: tutelare il paesaggio e il territorio italiano, arrestare il consumo di suolo, dare un nuovo e diverso impulso al settore dell’edilizia, in cui non debbano prevalere gli interessi economici a discapito della qualità urbana nelle pratiche di progettazione, nelle politiche urbanistiche e nella cura del territorio.
Il Forum desidera augurarLe, innanzitutto, buon lavoro per l’incarico ricevuto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per l’azione di un nuovo Governo, le cui azioni prioritarie saranno inevitabilmente condizionate dalla necessità di affrontare la situazione di grande emergenza sanitaria ed economica che sta attraversando il nostro Paese.
Il nostro auspicio, in riferimento alla Sua dichiarazione: “Saremo un Governo per l’Ambiente”, è che il Suo Governo sappia operare per il Bene Comune e declinando le proprie scelte secondo quanto previsto dal New Deal della Strategia europea.
Per sostenere tale strategia, il Parlamento Europeo il 9 febbraio u.s. ha approvato il nuovo regolamento che pone gli obiettivi, le modalità di finanziamento e le regole da rispettare per il Recovery Fund, la parte più consistente e corposa del piano di ripresa “Next Generation EU”.
I provvedimenti che si dovranno adottare per semplificare il nostro sistema, la nostra Pubblica Amministrazione, la nostra burocrazia, per dare impulso a investimenti pubblici e privati dovranno garantire un Sistema Paese sempre più preparato a sostenere situazioni di emergenza.
Se questi saranno gli obiettivi del Suo Governo, il Forum non potrà che condividerli e sostenerli.
Riteniamo, inoltre, fondamentale la necessità che le linee di azione vengano attuate subito, onde evitare che il “dopo emergenza” si trasformi in un non pianificato progetto strategico in cui capitali e interessi soggettivi più o meno legittimi, rischino di prevalere su ciò di cui oggi dobbiamo tenere in primaria considerazione: il Bene Comune.
Crediamo che la grande sfida rappresentata dalla pandemia e dalla falsata relazione tra uomini e Ambiente imponga il coraggio di mettere in discussione il nostro modello di sviluppo per attivare, sin d’ora, strumenti di rilancio economico basato sulle opere pubbliche realmente necessarie al nostro Paese (messa in sicurezza dell’esistente e rivitalizzazione delle aree abbandonate, interventi di rigenerazione e riqualificazione dei territori), un New Deal che rispecchi i veri bisogni della collettività.
Dopo questa crisi epocale, non potremo più continuare a seguire dinamiche economiche voraci, spietate, distruttive, ma piuttosto abbracciare una visione etica, l’unica che – suggeriscono grandi economisti come il Premio Nobel Amartya Sen – potrebbe davvero garantirci un futuro dignitoso e pacifico. E riteniamo che ogni forma di sburocratizzazione degli iter di spesa debba sempre tener conto del contrasto alla corruzione, della sicurezza dei lavoratori, della loro dignità, dell’applicazione dei CCNL, di una lotta serrata al caporalato e al lavoro nero.
Per questo riteniamo che la Sua azione debba essere improntata a superare le rigidità strutturali che hanno impedito di dispiegare tutto il potenziale del Paese, che nei settori dell’edilizia e delle opere pubbliche debba tradursi nell’indirizzo di arrestare il consumo di suolo e orientare tutto il comparto edile verso il riuso dei suoli urbanizzati e il recupero dell’enorme stock edilizio esistente ma inutilizzato, l’unica chance possibile per collegare economia, occupazione, benessere sociale e tutela ambientale.
Per valutare l’urgenza improcrastinabile di tale indirizzo basti considerare che:
sul versante italiano, in Senato le Commissioni congiunte Agricoltura e Ambiente hanno inopinatamente da tempo sospeso la trattazione di una necessaria definizione normativa formulata dal Forum mediante una Proposta di Legge per l’arresto del consumo di suolo, di cui vorrà trovare i punti salienti sintetizzati in calce alla presente lettera, il cui testo integrale è al seguente link;
sul versante europeo, la proposta di Direttiva per la protezione dei suoli è stata ufficialmente ritirata dalla Commissione nel maggio 2014 dopo ben otto anni di infruttuose negoziazioni. Poche settimane or sono l’EEA, l’Agenzia Europea dell’Ambiente (European Environment Agency), ha presentato il suo nuovo briefing “Growth without economic growth” definendo con assoluta chiarezza la vera sfida che la nostra Società dovrà affrontare: una “Crescita senza crescita economica” così riassunto nell’incipit: «La crescita economica è strettamente collegata all’aumento della produzione, del consumo e dell’uso delle risorse e ha effetti dannosi sull’ambiente naturale e sulla salute umana. È improbabile che un lungo disaccoppiamento duraturo e assoluto della crescita economica dalle pressioni e dagli impatti ambientali possa essere raggiunto su scala globale; pertanto, le società devono ripensare a cosa si intende per crescita e progresso e il loro significato per la sostenibilità globale».
Queste considerazioni chiariscono l’urgenza di voler portare alla Sua attenzione la necessità che le future deliberazioni nel settore dell’edilizia e delle opere pubbliche siano improntate ad alcuni prioritari obiettivi:
- la messa in sicurezza e riqualificazione energetica degli edifici degli anni Cinquanta e Sessanta (e oltre);
- la progettazione e l’avvio di un Piano per il recupero delle migliaia di borghi e centri storici in via di abbandono (o già deserti);
- la sostituzione delle tante reti idriche “colabrodo” in un ambito strettamente pubblico della gestione dell’acqua;
- la messa in sicurezza di ampie aree soggette a rischio idrogeologico, comprese demolizioni ove necessarie;
- la bonifica delle migliaia di aree inquinate, trasformandole in boschi urbani;
- la messa in sicurezza di strade, ponti e gallerie della rete principale e non;
- l’attuazione di un grande Piano di cablaggio dei territori pedemontani e montani;
- il sostegno all’agricoltura ecocompatibile.
Per quanto concerne le grandi opere in programma appare evidente la necessità di istituire una Commissione di tecnici per la valutazione costi-benefici di ogni nuova opera e che ci si debba attenere alle sue valutazioni. Del resto, tale esperienza ha un precedente nel primo Governo Conte. Non si comprenderebbe se non venisse ripresa in un clima in cui si deve attentamente valutare come e dove spendere i soldi pubblici, anche di provenienza UE. Nel caso di valutazione positiva, comunque, le opere non dovranno essere sottratte alla conformità con la strumentazione urbanistica, i Piani paesaggistici e al confronto con le comunità locali, per valutare proposte alternative meno impattanti e anche meno costose.
Le chiediamo, inoltre, che il Governo non proceda ad alcuna semplificazione che veda nella Valutazione Ambientale Strategica e in quella di Impatto Ambientale dei meri ostacoli burocratici. Questi strumenti rappresentano indagini fondamentali dalle quali nessun intervento può essere escluso.
Siamo consapevoli che, passata l’emergenza, vivremo mesi e anni impegnativi: un tempo che dovremo, tutti assieme, definire attraverso una visione di lungo termine, capace di individuare le migliori strategie per coniugare progresso e benessere ambientale, sociale e economico; strategie nuove e sostenibili che guardino alla realtà odierna con lo sguardo dell’oggi non più legato ad un passato di errori ed inadempienze. Il nostro Paese è di nuovo chiamato a fare da “apripista”, mostrando con coraggio la capacità di visione per far sì che questa dolorosa esperienza, oltre i lutti e i danni economici, rechi frutti di nuovo benessere e coesione sociale a tutti i nostri connazionali, di oggi e di domani.
Le auguriamo buon lavoro, illustre Presidente, perché i difficili impegni di Governo possano essere portati avanti con forza, massima chiarezza e con la coerenza di quanto dichiarato.
Le saremo, infine, grati se vorrà disporre una audizione del Forum.
Con considerazione e viva cordialità.
A nome dell’intero Forum Nazionale Salviamo il Paesaggio
Cristiana Mancinelli Scotti e Marino Trizio
NOTE:
Il suolo è da intendersi come lo strato superficiale della Terra, la pelle viva del pianeta Terra.
Una pellicola fragile. Nel suolo vivono miliardi di creature viventi, un quarto della biodiversità di tutto il pianeta. Il suolo è una risorsa finita non rinnovabile e per questo preziosa almeno al pari dell’acqua, dell’aria e del sole.
Per riportare un terreno compromesso (asportando il cemento o asfalto che lo ricopre per l’intervento dell’uomo) alla sua “naturalità” occorrono non anni, ma secoli: per formare 1 cm di suolo occorrono infatti dai 300 ai 400 anni e per raggiungere uno spessore utile ai fini agricoli occorrono 3 mila anni.
Secondo l’ISPRA-Istituto Superiore di Protezione Ambientale il consumo di suolo in Italia non conosce soste, pur segnando un importante rallentamento negli ultimi anni. Dopo aver toccato anche gli 8 metri quadrati al secondo negli anni 2000 (tra i 6 ed i 7 metri quadrati al secondo è la media degli ultimi 50 anni), il rallentamento iniziato nel periodo 2008-2013 a causa della crisi economica si è consolidato negli ultimi due anni con una velocità ridotta di consumo di suolo, che continua però, sistematicamente e ininterrottamente, a ricoprire aree naturali e agricole con asfalto e cemento, fabbricati residenziali e produttivi, centri commerciali, servizi e strade.
Il suolo consumato è passato dal 2,7% degli anni ’50 al 7,6% stimato per il 2017. In termini assoluti, il consumo di suolo si stima abbia intaccato ormai oltre 23.000 chilometri quadrati del nostro territorio: una superficie pari all’Emilia Romagna.
ISPRA evidenzia, inoltre, i costi generati dal consumo di suolo in termini di perdita di servizi ecosistemici (l’approvvigionamento di acqua, cibo e materiali, la regolazione dei cicli naturali, la capacità di resistenza a eventi estremi e variazioni climatiche, il sequestro del carbonio – valutato in rapporto non solo ai costi sociali ma anche al valore di mercato dei permessi di emissione – e i servizi culturali e ricreativi), solitamente non contabilizzati.
In sintesi il dato nazionale evidenzia che la perdita economica di servizi ecosistemici è compresa tra i 538,3 e gli 824,5 milioni di euro all’anno, che si traducono in una perdita per ettaro compresa tra i 36.000 e i 55.000 euro.
Secondo l’ISTAT nel nostro Paese sono presenti oltre 7 milioni di abitazioni non utilizzate, 700 mila capannoni dismessi, 500 mila negozi definitivamente chiusi, 55 mila immobili confiscati alle mafie.
“Vuoti a perdere” che snaturano il paesaggio e le comunità a contorno e ci spronano a intraprendere una politica anche di carattere fiscale in grado di incentivare la vendita/l’affitto degli alloggi inutilizzati su tutto il territorio nazionale.
Tutto ciò a fronte di un andamento demografico (dovuto essenzialmente dall’ingresso di nuova popolazione dall’estero) che indica una crescita debole, tanto è vero che nel triennio 2012-2016 le morti hanno superato le nascite; nel 2017 la popolazione italiana era pari a 60.579.000 persone, circa 86 mila in meno rispetto al 2016, e sostanzialmente stabile dal 2014.
Gran parte degli edifici di nuova costruzione oggi in vendita nel nostro Paese sono stati costruiti diversi anni fa e registrano nel 2015 un invenduto pari a 90.500 unità (abitazioni ancora in costruzione e non ancora sul mercato escluse), nel contempo sono presenti immobili vetusti e quasi inutilizzabili che avrebbero invece bisogno di essere ristrutturati e riqualificati con evidenti benefici sia economici e sia di decoro e senza gravare sul suolo libero.
La crisi economico-finanziaria di questi anni ha sedimentato in seno agli istituti bancari una grande quantità di immobili, pignorati in parte a cittadini “impoveriti” e, in prevalenza, alle imprese del settore impegnate in operazioni edilizie fallite per esubero di offerta. Non a caso i principali istituti di credito hanno aperto un filone “real estate” per smaltire un patrimonio in progressiva svalutazione che grava sui loro bilanci. Le principali sofferenze derivano dal comparto costruzioni e immobiliare, con il 41,7% dei prestiti deteriorati: una quota molto importante, che denuncia un’economia sbilanciata, troppo esposta su questo settore.
Il Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e forestali ci ricorda, inoltre, che il nostro Paese è in grado, oggi, di produrre appena l’80-85% del proprio fabbisogno primario alimentare, contro il 92% del 1991. Significa che se, improvvisamente, non avessimo più la possibilità di importare cibo dall’estero, ben 20 italiani su 100 rimarrebbero a digiuno e che quindi, a causa della perdita di suoli fertili, il nostro Paese oggi non è in grado di garantire ai propri cittadini la sovranità alimentare. Tanto che la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) si è ridotta a circa 12,7 milioni di ettari con 1,7 milioni di aziende agricole, superficie che nel 1991 era quasi 18 milioni di ettari.
In Europa, nel periodo 1990-2006 il consumo di suolo è aumentato del 9%, un’area paragonabile alla superficie dell’Ungheria o ai due terzi dell’intera superficie italiana, con una perdita di produzione agricola equivalente a 6,1 milioni/anno di tonnellate/grano.
A livello globale il nostro Pianeta ha già perso un terzo del suo terreno coltivabile – a causa dell’erosione o dell’inquinamento – negli ultimi 40 anni, con conseguenze definite disastrose in presenza di una domanda globale di cibo che sale alle stelle: quasi il 33% del terreno mondiale adatto o ad alta produzione di cibo è stato perduto a un tasso che supera il ritmo dei processi naturali in grado di sostituire il suolo consumato.
E nel 2050 la popolazione mondiale supererà i 9 miliardi di persone: risulta, pertanto, necessario incrementare la produzione agricola in Italia e nel mondo di almeno il 30%.
7.145 sono i comuni italiani (l’88,3 % del totale) interessati da qualche elemento di pericolosità territoriale; tra questi il 20,3 % (1.640 comuni) presentano aree ad elevato (P3) o molto elevato (P4) rischio frana, il 19,9 % (1.607 comuni) presentano aree soggette a pericolosità idraulica (P2) mentre il 43,2 % (3.893 comuni) presentano un mix dei rischi potenziali (P2, P3, P4).
Per queste considerazioni, il contrasto al consumo di suolo (parte integrante di un’azione di contrasto al cambiamento climatico) dev’essere considerato una priorità e diventare una delle massime urgenze dell’agenda parlamentare per i numerosi benefici indotti che ne derivano, di carattere sociale, ecologico ed economico.