di Paolo X Viarengo.
Si va dal contadino. Si propone l'acquisto del terreno a tre volte il suo valore di mercato. Il contadino, felice, vende il suo terreno. Incassa la somma, che magari investe nell'acquisto di terreni più in là. Più grandi e più belli. Invece, noi ci teniamo i terreni che abbiamo pagato tre volte il loro valore, perchè sappiamo che diventeranno terreni industriali e varranno, non tre volte tanto ma venti volte tanto. Ci faremo una bella colata di cemento con tanti bei capannoni e per migliaia di anni lì non crescerà più niente...
Logica di speculazione edilizia di tanti anni fa: anni '50, piuttosto che '60 o '70.
Logica di palazzinari del meridione.
Mica vero: logica attuale in questo nostro acculturato e virtuosamente "green" nord Italia. Il luogo è San Paolo Solbrito in provincia di Asti, nel cosiddetto Pianalto. La data è 2020. L'impresa costruttrice che vuole comprare a molto per avere ancora di più ad un prezzo inimmaginabile per la collettività è la Renato Ruscalla SpA. Sembra che una non ben precisata impresa di logistica del freddo voglia fare uno dei suoi centri dietro la ditta Marcegaglia a San Paolo Solbrito. Un centro di quelli grandi: 135.000 metri quadri di terreno agricolo sepolti per sempre da celle frigorifere. Piazzali d'asfalto. Capannoni.
135.000 metri quadri sono 16 campi da calcio, in un territorio da sogno per ogni impresa di logistica: caselli autostradali, infrastrutture, stazioni ferroviarie. Un territorio che è stato da sogno per le imprese da sempre e lo testimoniano i tanti reperti di archeologia industriale sparsi qua e là nel territorio. Spuntati come funghi. Velenosi. Ed ora abbandonati da una riconversione industriale che tarda a venire e forse non verrà mai se chi può investire lo fa con logiche del secolo scorso.
Ovviamente alle genti del territorio sono stati promessi posti di lavoro: 250 assunzioni nel bacino in cui dovrebbe sorgere il "mostro". 250 posti di lavoro pagati con il sangue della terra che ancora e nonostante tutto ci ospita quali feroci, ciechi, virus. 250 famiglie che trarranno il loro reddito da chi avvelenerà i loro figli con la mancanza di alberi, coltivazioni, allevamenti, piante, biodiversità.
250 donne e uomini costretti a subire, ancora e nonostante tutto, il ricatto da rivoluzione industriale settecentesca del lavoro, operato ora da un Capitale ancora più feroce e predatorio di quello descritto da Dickens.
250 donne e uomini che vivendo in una zona da cui il Capitale si sta allontanando, sono tentati di accettare lo scempio proposto dal "mostro".
16 campi da calcio sepolti dal cemento quando migliaia di altri capannoni sorgono come funghi nella piana. Eppure sorgono con la logica dei funghi: nessuna. Dove capita. In mezzo a terreni agricoli. Magari mai utilizzati. A puntellare, come in un triste monopoli, la proprietà: lì è mio e se vuoi comprare lo devi pagare a prezzo di terreno industriale e non agricolo. Così tutto va a monte e conviene trovare terreni agricoli confinanti senza capannoni in mezzo, come dietro alla Marcegaglia: 41 particelle adiacenti di terreno agricolo. Valore di mercato circa 2 euro. Valore proposto di acquisto 6 euro. Valore di mercato dopo lo stupro dei terreni: da 25 ai 40 euro. E non sono cifre buttate a caso: sono cifre reali. Le stesse con cui si sta trattando l'ennesima cementificazione del territorio, mentre tutti si sciacquano la bocca con la parola "green".
Mentre il cambiamento climatico è già in atto. Mentre la Terra, nella sua compassione, sta ancora decidendo se liberarsi di quelle fastidiose zecche che continuano a pungerla e dare il creato a un altra creatura. Meno invasiva. Meno stupida. Meno arrogante. Come, che so, le alghe.
Ricordo che la vita sulla terra proseguirà anche senza di noi, ma noi non proseguiremo senza la terra. Eppure non lo abbiamo ancora compreso se, ancora e nonostante tutto, vengono proposti patti scellerati dal sapore retrò.
Ma, forse, non tutto è perduto. I contadini della zona non vogliono vendere, neanche a fronte delle 250 fantomatiche assunzioni. Neanche a fronte di un immediato guadagno monetario, fonte però di perdite terribili. Noi abbiamo lavoro, abbiamo dipendenti, sono generazioni che coltiviamo la terra: perchè dobbiamo vendere? Si domandano.
E così non vogliono vendere. Alla paventata minaccia di esproprio per costruzioni di interesse pubblico, di discutibile approccio democratico, intellettuale e culturale, oppongono la minaccia di rivolgersi fino al Consiglio di Stato. Per difendere la loro terra. La nostra Terra. Ancora e nonostante tutto sotto l'attacco del capitale. Ancora e nonostante tutto sotto l'attacco di chi ancora non si rende conto, o non si degna di capire, che il futuro dei nostri figli è ancora nelle nostre mani. In una logica da "Après moi le déluge" di Luigi XIV. In una logica da "La roba" del Verga in cui, solo alla fine, il protagonista si rende conto che quello che ha accumulato in una vita sbagliata non lo seguirà nella tomba.
Eppure siamo ancora qua, in mezzo a tutte le parole inglesi tanto di moda in questo periodo, a sentirne una molto piemontese, un po' volgare, proferita dagli agricoltori del Pianalto all'investitore vorace, in risposta alla sua proposta d'acquisto.
Ancora e nonostante tutto.