Outdoor in Monferrato e Langhe con Pachamama Italia



di Stefano Caneva.

Per Diario di Viaggio #11, weLand ha incontrato Davide Bologna, ideatore e presidente di Pachamama Italia, l’associazione che da 13 anni ha fatto dell’outdoor in Monferrato e Langhe la chiave per una esperienza “totale” del nostro territorio. Dalla canoa al bird watching, dalla sopravvivenza al buon cibo, dal turismo alla formazione professionale, Pachamama ha sviluppato un metodo di lavoro fondato su tre ingredienti: esperienza, incontro, divertimento. E l’associazione si prepara ora a nuove sfide ...

weLand e Pachamama si sono conosciute, e piaciute, durante la primavera 2015, quando Pachamama ha abbracciato il progetto #WLPiemonte, aiutandoci a portare i Comuni Outdoor nella lista degli enti sostenitori e ha messo a disposizione un premio per il concorso (continuate a seguirci per sapere chi lo vincerà!).
Non ci resta che lasciarvi a questo Diario intervista, nel quale weLand e Pachamama si confrontano sulle motivazioni e modalità del loro impegno e sul senso che ha fare squadra per fare fruttare al massimo le competenze e l’esperienza di ciascuno.

1. Davide, spiegaci in poche parole che cosa è Pachamama.

Pachamama è un’associazione nata nel 2003 con lo scopo di rendere il “turista” o il “viaggiatore” che visita le colline del Sud del Piemonte un protagonista attivo del territorio. Si impara a rispettare e tutelare il territorio conoscendolo meglio e vivendolo in modo approfondito con la guida di operatori qualificati. Il progetto pilota di Pachamama si chiama Monferrato Outdoor. È con questa etichetta che ci siamo fatti conoscere e abbiamo sperimentato l’unione di natura, esperienza professionale e partecipazione: questi sono gli ingredienti operativi del nostro progetto.


2. Qual è l’alchimia che unisce questi tre ingredienti?


Alchimia è la parola giusta. Perché dietro la definizione tecnica di Pachamama, c’è molto di più. Pachamama/Monferrato Outdoor è un progetto di vita e un modo di vivere l’ambiente in modo interattivo e non didascalico. Il supporto di istruttori, educatori e guide è un modo efficace per ascoltare la natura, leggerne le peculiarità a volte nascoste, e anche per comprenderne i disagi. Fruendo in modo dinamico e divertente delle bellezze del territorio, i visitatori contribuiscono con la loro presenza alla creazione di nuove idee, ci aiutano a sviluppare una forma di tutela e di progettazione nuova, più vivace. Molte attività che abbiamo proposto sono state create interagendo con le persone che accompagnavamo, ascoltando i loro consigli, condividendo un bicchiere di vino dopo una giornata nei boschi o sul fiume. Il sapore di quel vino ha sempre portato in sé il suono dell’acqua che scorre, il fruscio del vento di una giornata passata insieme all’aria aperta. Non sottovalutiamo il fatto che il turismo ambientale ha bisogno, per esistere, di tempi più lunghi di permanenza che non, ad esempio, quello gastronomico, tempi che permettono una relazione più profonda tra operatori e fruitori.


3. Da dove nasce il nome Pachamama?

La traduzione di Pachamama, come molti sanno, è “madre terra”. Quando abbiamo pensato a un nome per il nostro progetto, questa scelta si è imposta in modo evidente. Pachamama evoca il senso del creare con le nostre passioni e attitudini il nostro “sistema lavoro”. Volevamo fare quello che amiamo e non siamo mai riusciti a digerire l’idea che l’uomo debba fare ciò che ama solo nei ritagli di tempo. Questa scelta però ha un costo altissimo in termini di rischio e fatica.


4. In questi 13 anni di attività, Pachamama/Monferrato Outdoor ha saputo creare un legame sia istituzionale sia umano con il territorio e con le sue forze attive. Quali sono state le tappe essenziali di questo percorso?

Quando abbiamo realizzato che la formazione da noi acquisita era buona, la prima tappa essenziale del nostro lavoro è stata quella di concentrarsi sul “contenitore”, ovvero il territorio, l’ambiente. Abbiamo capito che per realizzare appieno il potenziale del nostro progetto dovevamo selezionare personalmente i luoghi in cui operare, piuttosto che delegare ad altri questo passaggio fondamentale.

Poi è arrivata la costruzione di un gruppo interdisciplinare: istruttori riconosciuti, guide ambientali, educatori professionali, docenti di biologia, appassionati di viaggio con tantissima esperienza, e non da ultimo cuochi interessati a esplorare a fondo il potenziale del territorio. Queste a parere nostro sono le figure necessarie per poter usare i termini “educazione all’ambiente”, “turismo ambientale”, “formazione”.

La fiducia nel potenziale del territorio e nelle competenze umane che avevamo raccolto ci hanno dato la forza, nel 2005, di compiere un passo cruciale verso l’istituzionalizzazione del nostro progetto. I tempi erano maturi per coinvolgere Comuni ed Enti Pubblici in un progetto diffuso ispirato all’outdoor, nelle due direzioni complementari del turismo ambientale e della formazione. È nato così il progetto Comuni Outdoor, che ad oggi conta sul patrocinio di 11 comuni piemontesi1, a cui presto si aggiungeranno alcuni comuni liguri. Pachamama ora è ufficialmente un progetto diffuso, il che garantisce un importante vantaggio di rete: ogni successo che raccogliamo diventa una buona pratica che può essere condivisa, replicata e adattata alle esigenze di tutti coloro che credono nella validità del progetto.


5. Con Pachamama, un turista italiano o straniero può visitare le colline del Sud del Piemonte, le Alpi Liguri, la Liguria. È troppo dire che Comuni Outdoor si candida a divenire un progetto portabandiera di un turismo organizzato su reali distinzioni ambientali e funzionali, piuttosto che su rigide ripartizioni amministrative?

Assolutamente no. Comuni Outdoor è un mezzo a disposizione sia degli Enti Pubblici, sia dei turisti. Senza spesa, la pubblica amministrazione si trova ad avere una rete turistica funzionale e flessibile, in quanto rappresentativa di ogni peculiarità del territorio. I turisti, poi, hanno modo di riconoscere nella “Regione dell’Outdoor” un luogo in cui praticare il trekking, la canoa, il bird watching, il nordic walking, il rafting, la mountain bike etc… Il punto è che ogni area è adatta solamente ad alcune di queste attività, ma tutte sono realizzabili in aree non troppo distanti tra loro. Ne risulta un sistema efficace per creare “movimento turistico” e aumentare la possibilità di periodi più lunghi di permanenza. Senza inganno, semplicemente proponendo in modo organizzato quello che l’ambiente ha già fatto da sé.


6. Quali sono state, o quali sono le sfide più difficili che avete dovuto affrontare durante il vostro  percorso?

Senza dubbio il rapporto con la burocrazia. La burocrazia, specie quando moltiplica e complica i passaggi amministrativi, finisce per togliere coraggio e responsabilità all’amministrazione. Dove c’è più burocrazia, è spesso minore la responsabilità che un funzionario deve prendersi, ma questo comporta anche una perdita di visione, di quella grande figura che costituisce il vero valore di un progetto. Così rischiamo di trovarci con in mano le chiavi di una macchina che funziona a fatica, e quando l’abbiamo riparata abbiamo dimenticato dove vogliamo andare.

Il peso di protocolli, leggi e decreti che cambiano ogni sei mesi si fa ancora più grave quando si è impegnati in un progetto mosso dall’amore per l’ambiente e dalla volontà di lavorare in simbiosi con il proprio territorio. Questi scopi sono intimamente legati a un  lavoro duraturo e ininterrotto di costruzione, miglioramento, insomma di crescita professionale e umana.

Progetti strutturali come Pachamama hanno bisogno di tempo e di un quadro d’azione stabile. Non è un caso che i paesi che godono di una burocrazia più leggera e stabile offrano anche più respiro e migliori luoghi d’attuazione all’educazione, al turismo, alla cultura.

Come si dice, fatta la legge trovato l’inganno… Abbiamo bisogno di meno leggi e di meno inganni, e di riflesso, di più responsabilità.


7. Quanto conta il fattore umano in Pachamama?

Il fattore umano è la nostra forza principale! Quando ti rapporti con bambini piccoli o con ragazzi, non è pensabile che la componente umana venga messa in secondo piano. Ognuno trasmette ciò che è. Non potrebbe esistere questo lavoro altrimenti.

Essere umani è la cosa più facile e più pericolosa di tutte. Immagina di trascorrere giorni con una classe e avere l’assillo di una forte preoccupazione. Lo percepiranno subito tutti e non recepiranno gli imput che con fatica cerchi di inviare.


8. Davide, il tuo percorso professionale e umano è stato fortemente ispirato dalla scoperta del mondo, oltre le nostre colline. Che cosa in particolare hai imparato in terre lontane, che hai poi riportato qui?

La voglia di far vedere il mio paese al mondo, non ho dubbi su questo. Viaggiando si apprende la vita degli altri e ci si misura con la propria. Viaggiando si realizza quanta voglia si ha di ritornare a casa e quanto sia bello farlo. Più posti vedevo più aumentava la voglia di proporre a tutti la mia terra, le sue colline, l’odore dei boschi, l’acqua del nostro fiume, la bellezza dell’alba con le brume che nascondono le valli e lo splendore delle valli dopo che il sole ed il vento hanno levato la nebbia.

Non trovo altre parole per descrivere quello che provo. Ho riportato a casa un amore per il Monferrato e le Langhe.


9. Il vostro lavoro è fatto di terra acqua e vento. Oggi però i supporti digitali stanno aprendo porte nuove e dall’alto potenziale sia per la protezione che per la promozione del territorio. Qual è la posizione di Pachamama rispetto a questa agenda digitale?

Diciamo che l’immagine di Basilicata Coast to Coast – un mulo che porta sulla groppa un pc e un pannello solare – rende bene la nostra idea: movimento, viaggio con ritmi umani, ma anche velocità di comunicazione, connessione e sostenibilità. Il mondo digitale apre le porte a nuove forme di comunicazione, semplifica l’accesso all’informazione e all’offerta turistica su scala nazionale e internazionale, permette di sviluppare nuove forme di didattica partecipata con le scuole. Allo stesso tempo, dietro una bella mappa digitale o dietro un codice QR che illustra ai visitatori le specie protette di un parco, ci saranno sempre persone in carne e ossa che aprono, curano e documentano sentieri e che garantiscono l’equilibro fra fattori umani e naturali in un’area protetta.


10. Nell’esperienza di weLand c’è la percezione che il Sud del Piemonte sia, nel piccolo, uno specchio della situazione italiana: gli stranieri ci amano, siamo consapevoli del nostro potenziale enorme, eppure sembra mancare ancora una visione d’insieme, e quindi un’agenda pratica, per nutrire e far crescere le realtà competitive come Pachamama e per connetterle in una rete in cui il tutto sia più della somma delle parti. Qual è il valore aggiunto che Pachamama dà al territorio che la ospita?

Pachamama è un sistema, un programma che può essere applicato quasi ovunque. Quel che offriamo è una ricetta con elementi indipendenti, che se li isoliamo funzionano lo stesso, ma che rendono meglio e più rapidamente se messi insieme. Per rendere l’idea, posso dirti che il nostro progetto fino ad ora ha mosso sul territorio circa 1500 – 2000 persone all’anno, da tredici anni, tra didattica ambientale e turismo. Molte di queste persone non sapevano che il Tanaro fosse così bello o che il Bosco dei Faggi in Altalanga avesse una magia così tangibile. E non parlo di persone che dopo un piatto di ravioli hanno continuato per andare a vedere Firenze… Parlo di persone che hanno dormito e camminato nei boschi, lungo gli argini del fiume, sulle creste.

In questo senso possiamo dire che Pachamama è un servizio turistico che non è costato un centesimo, nemmeno uno, agli enti pubblici, e di conseguenza nemmeno ai cittadini, ma che nel suo relativo “piccolo” dà lustro principalmente proprio a Comuni e territorio.

Un bosco viene raccontato in modo diverso da un istruttore di sopravvivenza, un ornitologo, un botanico, un educatore, un biologo, una guida naturalistica. Da sole, queste figure professionali saprebbero comunque raccontare il bosco, ma insieme, come dicevo, lasciano il segno in modo più rapido ed efficace: ognuno racconta trasmettendo la propria influenza formativa e culturale.


11. Come vedi l’associazione di qui ai prossimi 5 anni?

Di qui ai prossimi cinque anni vedo Pachamama come un centro di Formazione Outdoor e come sede della prima, vera Scuola d’Avventura e di Viaggio: un “posto” in cui organizzare corsi formativi ancora più strutturati di quelli attuali e organizzare viaggi a carattere ambientale, interagendo con le Comunità Native di varie parti del mondo.

Stiamo già lavorando a questo e tra pochi mesi andremo in Sud America, in Cile, per incontrare alcuni rappresentanti del Servizio Natura e Turismo del Cile Centrale, in particolare nella regione del Bio Bio e Araucania. È un sogno che i risultati di questi anni stanno permettendo di realizzare. Ovviamente il futuro non è privo di sfide da affrontare. Dati alla mano, il nostro progetto è in continua crescita, ma è difficile fare previsioni e progetti di medio e lungo termine in un paese, come l’Italia, che non sta investendo nulla in campo ambientale. Nulla di concreto, voglio dire.

Abbiamo scelto di lavorare in strutture pubbliche perché tantissime resterebbero altrimenti inutilizzate. Tuttavia questa scelta di metodo ci può penalizzare, anche se ogni anno abbiamo più richiesta sia in termini di fruizione didattica che turistica. La ragione è che gli Enti spesso non possono, ma ancor più non vogliono prendersi responsabilità sulle scelte e l’interpretazione delle leggi. Come dicevo prima, questa delega di responsabilità, e l’incertezza che ne deriva, sono pericolosissime per il radicamento e la crescita di un progetto ambientale come il nostro.


12. In questi anni Pachamama è riuscita a costruire un marchio riconoscibile dell’outdoor e di un modo positivo e divertente di conoscere, vivere e rispettare il territorio del Sud del Piemonte, verso un pubblico locale, nazionale e internazionale. Qual è la ricetta del successo di Pachamama?


Potrà forse sembrare troppo semplice, ma la ragione del nostro successo sta nello scambio che si attiva ogni volta che lavoriamo con un gruppo, e nella gioia che ne deriva a entrambi. Quando raccontiamo alle persone quello che facciamo e quando le portiamo in ambiente a fare attività, sento che non solo le nostre competenze tecniche, ma anche il nostro amore per la vita all’aria aperta colpiscono nel segno. Ogni volta che iniziamo un’escursione, un corso o che aspettiamo un gruppo in arrivo per un seminario, ringraziamo la costanza avuta nel tempo e la possibilità di fare un lavoro stupendo. Le persone ritornano a casa felici e la nostra felicità aumenta ogni volta che questo accade. È un volano che si carica della propria energia. Per non metterla troppo sullo spirituale, posso dire che coltivare la gioia oggi è un vero e proprio investimento, di cui è necessario prendersi cura il prima possibile. Perché chi non è felice cercherà in ogni modo, prima o poi, anche da anziano, di esserlo almeno un pò. Tanto vale iniziare da giovani e questo lo diciamo soprattutto ai bambini, quando proponiamo l’avventura insieme in alternativa al video game.

Tratto da: http://www.we-land.com/rubriche/diario-di-viaggio/diario-di-viaggio-11-intervista-sulloutdoor/

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