di Domenico Finiguerra.
In Italia ci sono sei milioni di immobili inutilizzati. La stragrande maggioranza sono case vuote: se ne stimano almeno due milioni. Mezzo milione sono i negozi chiusi. E poi capannoni industriali dismessi, ex fabbriche, ex scuole, ex caserme, ospedali non compiuti, ex case cantoniere, stazioni e caselli ferroviari, ex hotel ed ex centri commerciali, ex cascine, ex malghe, ex masserie, chiese e conventi ...
Addirittura ex paesi interi: http://www.paesifantasma.it.
Ma non abbiamo solo “roba vecchia”. Esiste anche un enorme stock di edifici appena costruiti. Cemento gettato sulla terra per coltivare rendita fondiaria. Cosa ne facciamo di questo enorme patrimonio? Poco o nulla.
Milioni di volumi senza contenuto; milioni di ragazze e di ragazzi senza lavoro o che vagano per il mondo perché questo Paese non è più in grado di dare validi motivi per restare. Se in cima alla lista delle priorità ci fosse davvero il dramma della disoccupazione giovanile, le risorse (che ci sono… basta chiedere a Franco Bassanini, Presidente della Cassa Depositi e Prestiti) sarebbero orientate soprattutto alla soluzione di questo problema che affligge diverse generazioni di genitori e figli.
Una buona pratica, una fortissima leva per la promozione di nuove imprese giovanili, di nuovi spazi di socialità, di welfare, di cultura ed educazione, e che al contempo affronterebbe il degrado ambientale ed urbanistico di molte città, sarebbe proprio il riutilizzo e la sistemazione di questi miliardi di metri cubi lasciati a marcire. Una rassegna di recuperi virtuosi si trova su www.riusiamolitalia.it, sito parallelo al libro di Giovanni Campagnoli: incubatori e co-working, produzioni teatrali e artistiche, botteghe artigianali, nuovi coltivatori urbani. Migliaia di posti di lavoro creati dove c’era un problema, nuovi servizi alle famiglie dove c’erano sterpaglie, alloggi a canone calmierato dove c’erano alberghi a 5 stelle.
Nei corsi di formazione manageriale e nei convegni dei super esperti di micro e macro economia vi è una slide piuttosto ricorrente: saper trasformare le crisi in opportunità. E quale occasione migliore per metterla in pratica? Trasformando l’abbandono del calcestruzzo decadente in opportunità di lavoro e di vita di comunità. Ma questo comporta un cambio radicale di paradigma, anche mentale. E soprattutto l’espulsione dell’avidità e della tendenza ad accumulare ricchezza dai nostri pensieri. Quell’avidità che fa preferire lasciare ricchezza morta in terra, piuttosto che metterla a disposizione della collettività. Ma cambiare si può. Cominciamo a riascoltare il monologo di Chaplin nel Grande Dittatore. E magari inviamone il link, anche a chi alberga nelle stanze dei bottoni…
Articolo pubblicato anche su "Il Fatto Quotidiano".