Catastrofe consumo di suolo in Italia: inghiottiti dal cemento 70 ettari al giorno



di Marco Bombagi, Salviamo il Paesaggio Roma.

Presentato a Roma il IX Rapporto Ispra sulla “Qualità dell’Ambiente Urbano”.
Il Paese perde quotidianamente 70 ettari di suoli. Milano e Napoli hanno cementificato il 60% del proprio territorio. A Roma cancellati 35 mila ettari.


L’Italia sta sparendo, e non in senso metaforico. Non c’entra niente lo spread, qui parliamo di cose reali. Speculazione e cemento si stanno mangiando il Paese come un cancro. Hanno creato un deserto e lo chiamano economia. I dati che emergono dal IX Rapporto Ispra, Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale, sulla Qualità dell’Ambiente Urbano, presentato lo scorso 11 ottobre a Roma, costituiscono la cronaca di una lenta e dolorosa agonia, quella dell’ex Belpaese ...

Crescono le superfici artificiali e impermeabili”, si legge nel comunicato stampa ufficiale, “nel complesso le 51 aree comunali soggette a monitoraggio hanno cementificato un territorio pari a quasi 220.000 ettari (quasi 35.000 solo a Roma), con un consumo di suolo giornaliero pari a quasi 5 ettari di nuovo territorio perso ogni giorno (sono circa 70 a livello nazionale). Il 7% del consumo giornaliero in Italia è concentrato nelle 51 città analizzate. In testa Napoli e Milano che hanno ormai consumato più del 60% del proprio territorio comunale”.
Numeri che assomigliano ad un epitaffio più che a un grido d’allarme, e che fotografano plasticamente la tragedia di una Nazione che ha deciso di non avere un futuro.

La maggior parte dei Comuni indagati”, prosegue la nota, “ha destinato a verde pubblico meno del 5% della propria superficie; a Messina, Cagliari e Venezia le più alte quote di aree naturali protette, fondamentali per la conservazione della biodiversità urbana”. Gli esempi positivi, che pur esistono, contribuiscono tuttavia, se possibile, ad aumentare l’amarezza per ciò che non è stato fatto, e soprattutto per ciò che è stato realizzato di devastante, in tutto il territorio italiano.

Già da tempo l’Ispra denuncia la situazione drammatica sul fronte della perdita di terreni liberi nel nostro Paese, come avvenuto lo scorso febbraio in occasione del convegno dal titolo “Il consumo di suolo: lo stato, le cause e gli impatti”: “negli ultimi anni il consumo di suolo in Italia è cresciuto ad una media di 8 metri quadrati al secondo”, si leggeva nel comunicato stampa dell’incontro, ripreso anche da Salviamo il Paesaggio, “e la serie storica dimostra che si tratta di un processo che dal 1956 non conosce battute d’arresto. Si è passati dal 2,8% del 1956 al 6,9% del 2010. In altre parole, sono stati consumati, in media, più di 7 metri quadrati al secondo per oltre 50 anni. Questo vuol dire che ogni 5 mesi viene cementificata una superficie pari a quella del comune di Napoli e ogni anno una pari alla somma di quella di Milano e Firenze. In termini assoluti, l’Italia è passata da poco più di 8.000 km2 di consumo di suolo del 1956 ad oltre 20.500 km2 nel 2010, un aumento che non si può spiegare solo con la crescita demografica: se nel 1956 erano irreversibilmente persi 170 m2 per ogni italiano, nel 2010 il valore raddoppia, passando a più di 340 m2”.

Grida d’aiuto, queste, cadute nel vuoto, purtroppo, almeno fino a questo momento. Una vera legge che contrasti il consumo di suolo infatti è ancora di là da venire, e gli strumenti che già ora potrebbero risparmiare al territorio ulteriori scempi, come la VAS, Valutazione Ambientale Strategica, non sono adottati come dovrebbero. “La valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente naturale”, spiegano ancora dall’Ispra, “è stata introdotta nella Comunità europea dalla Direttiva 2001/42/CE, detta Direttiva VAS, entrata in vigore il 21 luglio 2001, che rappresenta un importante contributo all’attuazione delle strategie comunitarie per lo sviluppo sostenibile rendendo operativa l’integrazione della dimensione ambientale nei processi decisionali strategici. La valutazione ambientale di piani e programmi che possono avere un impatto significativo sull’ambiente, secondo quanto stabilito nell’art. 4 del D. Lgs. 152/2006 e s.m.i. (successive modifiche e integrazioni), ha la finalità di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione, dell’adozione e approvazione di detti piani e programmi assicurando che siano coerenti e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo sostenibile”.

La Vas, quindi, è stata introdotta per tutelare i territori da progetti e piani urbanistici sbagliati. Se venisse anche applicata sarebbe meraviglioso. Sempre i dati del IX Rapporto “Qualità dell’Ambiente Urbano” infatti, ci dicono che delle 60 principali città italiane oggetto del monitoraggio solo 20 hanno adottato piani urbanistici (PRG: Piano Regolatore Generale, PUC: Piano Urbanistico Comunale, PAT: Piano di Assetto del Territorio, PSC: Piano Strutturale Comunale, PGT: Piano di Governo del Territorio) preventivamente sottoposti a Vas. In 9 casi la procedura di valutazione è in corso mentre per i restanti 31 grandi centri, oltre il 50%, sono stati adottati piani senza Vas. Con la Valutazione Ambientale Strategica a supporto dei provvedimenti urbanistici, per chiarire ciò di cui stiamo parlando e capire a cosa hanno rinunciato decine di Comuni italiani, “si punta alla valorizzazione dell’esistente”, aggiungono dall’Ispra, “senza l’utilizzo di nuove superfici per l’edificazione, in una filosofia non di espansione, ma di recupero”. E questo perché tale strumento “contribuisce alla definizione di piani che concorrono al perseguimento degli obiettivi di sostenibilità e che sono attenti agli effetti sull’ambiente, sull’uomo, sul patrimonio culturale e paesaggistico”.

Evidentemente la situazione non è ancora così grave da scomodare i pochi dispositivi legislativi attualmente disponibili, in attesa di un provvedimento decente a tutela del suolo, per impedire che l’Italia divenga un’uniforme colata di cemento. Ma è solo una questione di tempo: alla velocità di 70 ettari al giorno non dovremo attendere troppo per vedere la “grande” opera completata.

A questo punto, o siamo in grado di fare qualcosa, come cittadini, per salvare ciò che resta del Paese celebrato dagli artisti d’ogni epoca, o tanto vale optare serenamente per l’eutanasia. Tertium non datur. Che l’Italia, non avendo mai trovato il coraggio di difendersi da illegalità, insipienza e cialtroneria, riesca quantomeno ad avere la forza di spegnersi con dignità.

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