di Lele Viola.
Senza che ce ne accorgiamo, l’Italia si rimpicciolisce ogni giorno. La sua superficie libera si riduce a una velocità media di 8 metri quadri al secondo. Ogni ora spariscono oltre sette giornate piemontesi, 2,8 ettari. Ogni giorno, a mezzanotte, se ne sono andati per sempre quasi 70 ettari. E questo capita per 365 giorni all’anno da oltre cinquant’anni, per la precisione dal 1956 ...
Sono dati ufficiali, non cifre sparate a caso da qualche ambientalista in vena di catastrofismo. Le ha fornite di recente l’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, pubblicando i dati di un’indagine che si è svolta in tutta l’Unione Europea con metodologie scientifiche in grado di analizzare con precisione la superficie “consumata” da edifici e infrastrutture.
L’Italia, fanalino di coda dell’Europa in molti settori (ad esempio nella spesa per cultura e istruzione) supera di gran lunga la media continentale di consumo percentuale di terre fertili, a dimostrazione lampante del fatto che lo sviluppo economico e sociale non è correlato con la continua costruzione di manufatti. In altre parole, troppe case, strade e capannoni non ci fanno più ricchi, al contrario ci garantiscono solo un presente di brutture e un futuro di debiti e povertà.
La media europea di terreni cementificati è del 2,3% mentre 14 regioni su 20 in Italia superano abbondantemente la soglia del 5 per cento e alcune quella del dieci.
I dati rivelano anche una forte accelerazione del consumo di suolo negli ultimi anni, a cui si accompagna la parallela perdita dei valori paesaggistici che rendevano piacevole e attraente l’Italia. Un suicidio collettivo che va avanti da troppo tempo e che ha spinto molte persone a reagire.
Per questo, qualche anno fa un gruppo di amici si è riunito per dare vita a un movimento che si proponeva di salvaguardare terreni fertili e paesaggio, attraverso un paziente e pacifico lavoro di diffusione capillare di valori e convinzioni e una parallela opera di stimolo, controllo e collaborazione con le amministrazioni.
Una bella realtà che è nata ed è cresciuta grazie all'impegno e alla partecipazione di tantissime persone. Gente che ha deciso, seguendo il motto e l'esempio di don Milani, di "prendersi cura" in prima persona del tempo e dello spazio in cui viviamo, senza deleghe e in maniera concreta. Una realtà che merita davvero la parola "Movimento", al contrario di altre, oggi al centro dell'attenzione mediatica e politica, che mi pare ne assumano solo la forma tradendone spirito e sostanza.
Un movimento, per definizione, è fenomeno che parte dal basso e fa un cammino condiviso, con lo sforzo anonimo e spontaneo di tanti, non un gregge che segue ciecamente un qualche guru che pretende di dettare linea e direzione.
I fondatori di questo movimento, come di quello per la difesa dell'acqua pubblica e altri analoghi, non si considerano suoi proprietari, non mandano diffide legali ai dissidenti, non insultano nessuno, non hanno redditi milionari, non vantano brevetti o copyright. Non godono neppure di fama e popolarità: sono solo più impegnati di altri nell'oscuro e non sempre gratificante lavoro di gregariato collettivo indispensabile per procedere nella direzione sperata. E, nel caso specifico, sono pure di origini nostrane, cosa che può essere motivo di gioia e, perche no, orgoglio per noi astigiani e cuneesi, a dimostrazione che le zone di provincia e di confine sono spesso feconde di fermenti e idee nuove e nascondono pure doti di tenacia e pazienza per realizzarle in concreto.
Quello che adesso si chiama “Forum italiano dei movimenti per la terra e il paesaggio” e, forte dell’adesione di oltre 13000 persone e di oltre 900 organizzazioni, ha la capacità di organizzare manifestazioni su scala nazionale, come quella dello scorso 21 aprile, è nato, infatti, pochi anni fa, in sordina, dall'intuizione e dall'impegno di pochi amici sparsi fra le colline di Monferrato, Langhe e Roero. Un seme gettato in un terreno fertile, che è cresciuto con ritmi degni della parabola evangelica, concimato dalla preoccupazione e dall'indignazione di sempre più persone per la perdita irreversibile di un patrimonio che è il primo e più fondamentale dei beni comuni: il terreno agricolo, il territorio e la sua espressione percepita coi sensi, cioè il paesaggio.
In questa fase di declino dei valori condivisi, i movimenti, quelli veri, sono il sale e il lievito della democrazia rappresentativa, perché portano elementi di partecipazione e di controllo reali sulla vita pubblica, contro le pericolose illusioni populiste di chi vorrebbe rapporti esclusivamente telematici fra cittadini e istituzioni. La democrazia, come ogni altra cosa importante, non si può mettere “on line”: è un’utopia che nasconde rischi reali di manipolazione e che rende ancor meno diretto il rapporto col potere. Dietro l’anonimato della “rete” si possono nascondere precisi interessi e scarsissima trasparenza. E l’illusione che basti un clic per decidere e partecipare.
La manifestazione di domenica 21 aprile si è svolta contemporaneamente in molte città d’Italia, in concomitanza con la Giornata mondiale della Terra (Earth Day).
La scelta di finire la manifestazione con una lunga e gioiosa passeggiata e con momenti di festa e di cultura è cosa che ben si addice a un movimento, che racchiude nella definizione la bellezza e la gioia del camminare insieme in una stessa direzione. Il tempo lento scandito dal muoversi a piedi ci permette anche di vedere le cose belle e brutte del nostro paesaggio cittadino e di prendere coscienza di come abbiamo cambiato, in questi ultimi anni, il luogo in cui passiamo le nostre giornate.
La nostra splendida Costituzione riconosce e difende la proprietà privata, ma la subordina al prioritario interesse collettivo. Questo significa che il proprietario di una casa o di un terreno è una sorta di utente privilegiato, ma non esclusivo.
Un frutteto fornisce mele o pesche che raccoglierà il possessore, ma chiunque, in questi giorni, può godere dello spettacolo delle nuvole di fiori bianchi o rosa che ci regala questa tardiva primavera. Una bella casa, un giardino ben tenuto, un castagneto curato sono fonte di soddisfazione per chi li possiede, ma contribuiscono anche al ben-essere collettivo.
In questo senso sono di tutti e di ognuno e dipendono dalla cura e dall’attenzione di ogni cittadino. Dobbiamo sentire “nostri” i terreni agricoli, i boschi, i prati, i paesi, la città e non permettere che ci vengano sottratti giorno dopo giorno da speculatori avidi e amministratori distratti o complici.
Questo sentimento di proprietà sui beni comuni che ancora ci restano è l’aspetto più nobile e sacrosanto dell’istinto territoriale e di conservazione che ci spinge a prenderci cura di ciò che è nostro. Porte blindate, recinzioni, sistemi d’allarme, telecamere: ognuno è pronto a investire tempo e capitali per difendere ciò che è “suo”, ma spesso ci dimentichiamo di fare qualcosa per tutelare ciò che è “nostro”.
Come dice Carlìn Petrini: “È giunto il momento di fare una campagna comune, di presidiare il territorio in maniera capillare a livello locale, di amplificare l'urlo di milioni d'italiani che sono stufi di vedersi distruggere paesaggi e luoghi del cuore”.
“Urlo” a parte, (di gente che urla mi pare ce ne sia già troppa in circolazione) mi pare che sia evidente la necessità di presidiare il territorio, senza deleghe né esitazioni.