Alla fine è partito. Alle 23,43 di lunedì 14 gennaio un convoglio contenente più di 7 tonnellate di scorie radioattive ha lasciato Saluggia per attraversare tutte le principali stazioni piemontesi, compresa quella di Asti dove un presidio di militanti lo attendeva. Già la sera prima un simile presidio aveva atteso il passaggio del convoglio, un presidio convocato secondo il tamtam dei social network che aveva raccolto anche la presenza dell'assessore all'ambiente del Comune di Asti, Alberto Pasta. Ignaro, anch'esso, di tutto ...
Pasta aveva promesso che avrebbe immediatamente verificato la situazione e provveduto ad emanare tutti gli avvisi necessari. Ventiquattro ore dopo, però, il treno è puntualmente sfilato lungo i binari, senza la sua presenza e senza alcun suo avvertimento preventivo; pare che le sue verifiche avessero registrato l'arrivo di un fonogramma che annunciava il "viaggio" ma ne secretava data e orario.
Così racconta Alberto Zoratti: nessuna informazione è quindi stata fornita, tanto meno sul necessario piano di emergenza collegato ai rischi di questi trasporti, arrivando persino a smentire uno dei punti dell’accordo italo-francese che ricorda come «il trasporto dei rifiuti radioattivi sui territori della Repubblica Francese, di tutti gli Stati di transito e della Repubblica Italiana», debba essere «effettuato in conformità con la regolamentazione in vigore».
Un accordo firmato nel 2006 da Pierluigi Bersani, allora ministro dello Sviluppo Economico e da Francois Loos, ministro delegato all'Industria della Repubblica francese. Un contratto tra Sogin e la francese Areva per il trattamento di 235 tonnellate di combustibili irraggiati italiani, per lo più a base di uranio e plutonio.
Secondo un dossier redatto nel febbraio 2011 da Bruno Chareyron, ingegnere nucleare del Croorad (Commission de Recherche et d’Information Independantes sur la Radioactivitè) questo tipo di trasporti non sarebbe esente da rischi: nella ricerca si evidenziava infatti come gli stessi lavoratori fossero a rischio soprattutto per l’emissione di raggi Gamma, come avvenne nel 1998 quando il laboratorio misurò livelli di radiazione anche a cinquanta metri da un vagone partito dalla centrale di Bugey con destinazione la Hague. Una dura presa di posizione del sindacato transalpino Sud-Rail sottolineava come i ferrovieri non siano dei lavoratori del nucleare e non debbano quindi essere esposti agli stessi rischi e come sia necessario quindi avere misure affidabili e indipendenti per ogni tipo di vagone e di rifiuti.
La questione dei trasporti di scorie non è questione temporanea. I convogli sono iniziati nel 2007 e si prevede procedano nei prossimi anni senza interruzione anche perché, come da accordo, «i rifiuti radioattivi derivanti dal trattamento dei combustibili riprocessati in Francia, saranno riportate in Italia», un rientro «che dovrà avere luogo tra il 1° gennaio 2020 e il 31 dicembre 2025». Per cosa farne è tutto da capire, visto che «le materie radioattive separate durante il trattamento (uranio e plutonio) saranno messe a disposizione di Sogin. Sogin e Areva Nc identificheranno le modalità per il riutilizzo, totale o parziale, delle materie come combustibili elettronucleari, direttamente o indirettamente con il coinvolgimento di un terzo soggetto».
Intanto la mobilitazione da parte francese continua. La rete Sortir du nucleaire, dopo aver tentato di annullare il trasporto presentando un ricorso al tribunale amministrativo di Cergy-Pontoise, ha iniziato ad organizzare presidi lungo il tragitto nel tentativo di denunciare la pericolosità e la segretezza di tali trasporti.
Ma il nucleare italiano non è solo Saluggia. Un recente articolo comparso su Greenreport, a firma di Cinzia Colosimo, denuncia come anche a Pisa il decommissioning possa creare problemi. Si tratta del piccolo reattore di San Piero a Grado del Cisam, Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari, costruito negli anni ’50 e spento nel 1980. Tutto il materiale radioattivo è già stato trasferito a Saluggia o in Francia per essere stoccato e ritrattato, ma quello che rimane sono le vasche e le acque di raffreddamento della piscina. Incaricata dell’operazione è l’impresa spagnola Lainsa, che si è aggiudicata l’appalto per 3,5 milioni di euro, e vedrà al lavoro una ventina di lavoratori spagnoli e italiani.
Lo smantellamento definitivo terminerà nel 2020 con un costo complessivo di 30 milioni di euro a carico del ministero della Difesa, cioè dei cittadini. Il tutto per mettere in sicurezza, e bonificare, un impianto oramai diventato archeologia industriale. Sedici mesi di lavoro, ma che vedrà il trattamento di oltre 750 metri cubi di acqua radioattiva la cui eliminazione dovrà essere fatta nella massima sicurezza, almeno a quanto dichiara l’accordo raggiunto nella conferenza dei servizi di cui fanno parte anche Usl, Provincia e Arpat, dove si evidenzia come tutto sia stato fatto «secondo i migliori parametri di sicurezza».
Sta di fatto che le acque trattate verranno trasportate con autobotti e smaltite nel vicino Canale dei Navicelli al ritmo di trenta metri cubi alla settimana.
«Ciò che riteniamo al momento importante – ha detto Marco Ricci, responsabile di Legambiente di Pisa, alla stampa locale – è la trasparenza e la comunicazione di ciò che sarà fatto. Mi auguro che la conferenza dei servizi possa fornire i risultati delle analisi svolte e verificate sia da Usl che da Arpat. Si tratta di uno sversamento ambientale eseguito sotto controllo ed è per questo che chiediamo la massima trasparenza».
Legambiente e Pro Natura Piemonte hanno ribadito che il riprocessamento delle barre di combustibile nucleare è non soltanto pericoloso, ma anche costoso e inutile. Il Piemonte conosce bene cos'è il riprocessamento, dato che a Saluggia ha funzionato per circa quindici anni (1970-1985) l’impianto di riprocessamento denominato EUREX.
Questa attività ha richiamato a Saluggia le barre di combustibile irraggiato delle centrali di Latina e Garigliano, ma anche di quella canadese di Pickering, trasformando Saluggia nel sito più nuclearizzato di tutta Italia, con una colossale presenza di rifiuti ad alta radioattività e di Plutonio, e con considerevoli scarichi di radioattività in aria e nel fiume Dora Baltea.
Le Associazioni ambientaliste di tutto il mondo esprimono da sempre viva preoccupazione per le conseguenze sull’ambiente e sulla salute derivanti dal riprocessamento del combustibile nucleare irraggiato, aggravate dal possibile uso militare dell’Uranio e del Plutonio recuperati.
E poi il riprocessamento non è assolutamente necessario: per la maggioranza dei combustibili nucleari (compresi tutti quelli che ci sono in Italia oggi) sarebbe molto più vantaggioso, per quanto riguarda i rischi e persino per quanto riguarda il costo, evitare il riprocessamento e procedere al loro stoccaggio in un idoneo deposito centralizzato, individuato con oggettività, democraticità e partecipazione.
Anche il Ministro Bersani, nel documento “Indirizzi strategici per la gestione degli esiti del nucleare” inviato al Parlamento nel 1999, affermava la necessità di abbandonare la pratica del riprocessamento e specificava testualmente (pag. 19) “L’abbandono del riprocessamento è motivato dal costo elevato e dalla totale perdita di interesse nei confronti del plutonio recuperato (la cui conservazione costituisce anzi un gravoso problema)”.
Invece è in corso la spedizione al riprocessamento in Francia di tutti gli elementi combustibili irraggiati ancora presenti in Italia: si è iniziato con i 1.032 elementi della centrale di Caorso (16 spedizioni avvenute tra il dicembre 2007 e il maggio 2010), e si sta proseguendo con gli elementi custoditi a Saluggia e a Trino.
Sono poi da prevedere numerosi trasporti nucleari “di ritorno” per ritrasferire in Italia i rifiuti radioattivi prodotti dal riprocessamento.
Tutti questi trasporti nucleari sono sempre transitati attraverso il territorio del Piemonte e continueranno a transitarvi anche per il futuro, tipicamente sulle tratte ferroviarie Vercelli, Novara, Alessandria, Asti, Torino, Modane, attraverso la Val di Susa, creando così, senza alcuna giustificazione, ulteriori situazioni di rischio in caso di malaugurati incidenti o atti di terrorismo lungo il percorso.
La Popolazione deve essere informata preventivamente.
Nonostante precisi obblighi di legge, alle Popolazioni che rischiano di essere coinvolte in situazioni di emergenza a causa dei trasporti nucleari non è mai neppure stato reso noto il contenuto del Piano di emergenza previsto per tale eventualità: così facendo si aumentano ovviamente le conseguenze negative in caso di un effettivo incidente in quanto i Cittadini non sarebbero a conoscenza dei comportamenti da seguire.
A proposito delle situazioni di potenziale emergenza nucleare che un trasporto di questo tipo può determinare, Legambiente e Pro Natura del Vercellese concordano con l’affermazione riportata nel sito della Protezione Civile (http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/attivita_nucleare.wp): “Condizione fondamentale per una corretta gestione dell’emergenza nucleare è che la popolazione sia informata in anticipo sui rischi a cui è esposta, sui piani d’emergenza, sulle istruzioni da seguire in caso d’incidente e sulle misure urgenti da adottare”, e ritengono che questa informazione preventiva debba essere diretta a tutta la popolazione potenzialmente interessata dall’emergenza, cioè in questo caso alla popolazione residente in tutti i Comuni interessati dal percorso.
In base alla normativa vigente, i Cittadini residenti in tutti i Comuni attraversati dal trasporto hanno diritto di ricevere, senza doverne neppure fare richiesta, l’informazione preventiva alla popolazione sulle misure di protezione sanitaria applicabili e sul comportamento da adottare in caso di effettiva emergenza radioattiva, e di essere portati a conoscenza del Piano di Emergenza specificamente predisposto per questo trasporto nucleare.
Le Istituzioni spieghino ai Cittadini le vere ragioni dei costosi e pericolosi trasporti all’estero.
Ci piacerebbe comunque che le Istituzioni spiegassero anche le ragioni per cui questi trasporti nucleari devono avvenire con queste modalità e queste destinazioni, quando il semplice rispetto delle leggi vigenti (L 368/2003) da parte delle Istituzioni stesse avrebbe portato alla realizzazione del Deposito centralizzato nazionale entro il 31.12.2008 e le barre di combustibile avrebbero potuto essere spostate lì, una volta per tutte, riducendo così il rischio al minimo possibile.