Carmela


di Stefano Benni.


Zio Giovanni si coprì un po' gli occhi per ripararsi dal sole e la vide al prato.
Camminava pensosa e lenta, guardandosi intorno. Ogni tanto girava di scatto la testa, come se avesse sentito qualche rumore. Poi riprendeva la passeggiata. Spiccò, col suo bel vestito bianco, nell'ombra dell'ippocastano. E zio Giovanni la chiamò.
- Carmela ...

Si avvicinò sospettosa. Zio Giovanni la trovò un po' invecchiata, una ruga in più attorno agli occhi. Le sorrise, si sedette sulla panca di pietra, e le offrì un chicco d'uva.
Carmela lo mangiò con calma, poi chiese:
- Allora, zio, cosa c'è?
- Perchè dici così?- disse zio Giovanni sfregandosi la barba ispida. - Ci deve essere qualcosa?
- Quando vieni con quella faccia seria, vuol dire che qualcosa non funziona. Ormai ti conosco da un pezzo. Quanti anni sono?
- Sette, Carmela.
- Sette anni. Mi sembra ieri. Eravamo poche, allora, nella casetta. Una decina, mi pare...
- Quando sei nata tu, eravate otto. Adesso siete più di venti.
- Sì, e stiamo strette. Dovresti darci più spazio. Per non parlare del Francese, e delle Chiacchierone, e di Dodo.
- Proprio così - rise zio Giovanni. - In effetti questo prato comincia a essere molto abitato. Ma dimmi, non ti piace il Francese, vero?
- Proprio no, - disse Carmela, grattandosi - è un gran borioso. E poi quell'abitudine di svegliarsi presto e rompere le scatole a tutti...
- E' di ottima famiglia - disse zio Giovanni.
- Può anche essere un principe, ma è un rompiscatole e un vanitoso. Sempre a guardarsi il vestito, e poi non vedi come cammina? Sembra che abbia un uovo nel culo...
- Ti piaceva di più Vercingetorige?
- Vercingetorige era un signore - sospirò Carmela. - Gentile con tutte, non ha mai fatto il capo né lo sbruffone. Non meritava quella fine.
- Lasciamo perdere, Carmela - disse zio Giovanni.

Restò in silenzio. Le rane gracidavano nel pantano. Nel cielo azzurro, un pò velato, un volo di storni si apriva e si ricomponeva, cercando un albero su cui posarsi. Le colline erano bronzo e oro.

- Vedi, Carmela, devi sapere... Sandrino è un pò malato.

- Lo credo, - disse lei - tutto il giorno a correrci dietro, solo con una maglietta addosso. Finisce sempre sudato. Ormai è autunno, comincia a far freddo. Mica è vestito come noi.

- Certo. La sua povera mamma glielo diceva sempre: copriti, copriti. Insomma, adesso lui è a letto con la febbre alta, bianco come un cencio...

- Avevo notato che da un pò non veniva a trovarci, ma pensavo che fosse perchè è cominciata la scuola... i compiti o chissà cosa.

- No, è a letto da quattro giorni. E' molto debole. E' venuto il dottore.

- Barbagrigia?

- No, - rise zio Giovanni - quello è il medico per voi. Lui ha un altro medico, uno molto serio, che viene dalla città. L'ha visitato tutto, ha sentito il polmone e il respiro. Ha detto che è molto debole.

- E ha detto che bisogna fare per curarlo?

Zio Giovanni si alzò in piedi e si fece molto serio. Guardava verso la valle, ma si vedeva che aveva la testa da un'altra parte.

- Ecco le chiacchierone - disse.

Passarono in tre, sculettando, parlottando tra loro come al solito. La più giovane delle tre, Germana, vide Carmela e disse:

- Ciao vecchietta...

- Ciao, bruttona testa pelata. Ti vedo più grassa del solito.

- Sempre acida sei. Cosa c'è, il Francese non ti guarda? Preferisce quelle più giovani?

- Il Francese piacerà a te, - disse Carmela - oca che non sei altro.

Se ne andarono, sempre chiacchierando. Il cane passò di corsa, e scapparono via urlando spaventate.

- Brutte fifone, - disse Carmela - fifone e maligne. Io non so cosa ci trovi in loro.

- Ma dai, sono buone in fondo - disse zio Giovanni.

- Tu lo sai certo meglio di me - disse Carmela. - Insomma, visto che non ti decidi a parlare, vuoi che ti ripeta io cosa ha detto il dottore?

- Ma dai come puoi saperlo.

- Si' che lo so. Ha detto, questo ragazzo ha la polmonite, è debole, e anche un pò denutrito. Non guarirà, se continua a mangiare polenta. Ci vuole un bel brodo caldo... eccetera, eccetera.

- Beh, non ha detto proprio cosi', ma...

- Non prendermi in giro, zio - disse Carmela inclinando la testa. - E' la stessa cosa che è successa a Nunzia. Allora si ammalò la zia...

- Vedi Carmela, è... come dire... la tradizione... la più vecchia di voi...

- Lo so, lo so. Tocca a me. Mica mi lamento. Lo sapevo che sarebbe accaduto prima o poi.

- Io avrei pensato a una delle Chiacchierone. Ma il dottore ha detto no, ci vuole... un brodo buono.

- Dovrei essere orgogliosa insomma.

- Carmela. Ti prego. E' difficile per me... Se tu potessi vedere Sandrino, cosi' smunto e pallido nel letto, con gli occhi socchiusi. Prova a leggere ma non ci riesce, si addormenta subito. E l'altra notte delirava...

- Certo, certo - disse Carmela. - Ne ho viste di malattie, nella casetta. Capisco, è naturale. E' cosi' da sempre. Uno se ne va, un altro guarisce, uno muore, un altro rifiorisce.

- Non ricominciare con i tuoi discorsi filosofici per favore, sai che non li capisco.

- Cercherò di essere semplice. Vedi, io comprendo le tue ragioni, ma le ragioni sono sempre le vostre. Voi decidete per noi. A te non succede che una bella mattina qualcuno entra in casa e ti dica, zio Giovanni, vieni con me che è il tuo ultimo giorno.

- Beh, qualche anno fa succedeva - disse zio Giovanni. - Dormivamo con lo schioppo vicino al letto. Mio fratello l'hanno ammazzato mentre faceva l'acqua nel pozzo, a mezzanotte...

- Ho sentito la storia, me l'ha raccontata Dodo, che l'aveva sentita dal cavallo. Brutti tempi. Beh, insomma, allora puoi capire cosa provo io...

- Capisco si, - disse zio Giovanni - e non mi va giù. Tutta notte ho rimuginato un'altra soluzione. In fondo, pensavo, esiste anche il brodo di dado...

- No, - disse Carmela alzando fieramente la cresta - il brodo di dado non nominarlo neanche. Ci vuole un gran brodo nutriente di gallina ruspante. E io sono la più vecchia e la più appetitosa. Anche se Sonia è più grassa di me, quella porca mangiavermi, e in teoria neanche Saveria sarebbe male, ma è ancora una che spara due uova al giorno.

- Ma se tu fossi in me cosa faresti? - disse zio Giovanni, con la testa tra le mani.

- Io metterei in pentola il Francese, cosi' non rompe con i suoi chicchirichi' ogni mattina. Oppure farei una bella Chiacchierona all'arancia, magari Germana.

- Quella ce la mangiamo a Natale.

- Allora Dodo la scampa anche quest'anno?

- Credo di si... lo facciamo... arrotondare ancora un pò.

- Questa è una buona notizia. Dodo è un tacchino molto colto e socievole. Uno dei migliori che abbiamo avuto. Posso farti una confessione?

- Certo.

- Vedi... mi vergogno un pò, ma siccome tra poco salirò la Grande Scala, te lo confesso. Abbiamo provato a volare.

- Ma dai...

- Si'. Io, Dodo e Nefertiti, la faraona, quella che poi è stata uccisa dalla faina. Un giorno abbiamo studiato per bene un corvo, poi siamo saliti in cima alla staccionata dei maiali. Cioè, io ce l'ho fatta subito a salire, sbattendo le ali, e anche Nefertiti. Pure Dodo ci ha provato, ma è caduto tre volte. Era da ridere...

- E poi cosa avete fatto?

- Beh, Nefertiti è decollata per prima... ma ha le ali piccole, ha fatto un tuffo ed è colata a picco. Un disastro, piume dappertutto. Poi ci ha provato Dodo, è saltato giù e si è messo a correre sbattendo le ali, ma non si staccava da terra, alla fine ha fatto un balzellone ed è finito contro il pagliaio. E diceva: ce l'ho fatta, avrò volato almeno venti metri. E noi non lo abbiamo disilluso, ma ne avrà fatti al massimo due o tre.

- E tu...

- E io, - disse Carmela socchiudendo gli occhi - beh, lo ricorderò sempre. Mi sono lanciata, ho sbattuto le ali e... non so se era volare o cos'altro, ma ero in aria e sono arrivata fino al letamaio. E stato bello.

- E non hai più riprovato?

- No.

- Perchè?

- Perchè se avessi riprovato avrei voluto di più. Volare davvero, volare in alto, come le oche selvatiche, lassù in cielo. E sarei stata triste, perchè avrei dovuto riflettere ancora di più sul mio destino di gallina. Io non sono nata per volare. Se volassi, adesso scapperei via, mi vedresti salire in cima all'albero, e poi via tra le nuvole, un puntino bianco che scompare. E addio brodo per Sandrino.

- Già, Cinzia, ti ricordi?, cercò di scappare.

- E perchè non doveva farlo, poverina? - disse Carmela. - Non fu un bello spettacolo.

Di nuovo restarono in silenzio. Il cane si avvicinò, capi' che la situazione era seria e si allontanò con discrezione.

- Vuoi un altro po' d'uva? - disse zio Giovanni.

- No, non facciamola lunga. Mi raccomando, fai le cose per bene. Non come ha fatto la zia con la collega padovana dell'anno scorso, che correva per tutta l'aia col collo storto. Non sono spettacoli edificanti.

- No, fidati... la zia non ha esperienza. Io invece ne ho... preparate tante di voi.

- Di' pure che ne hai ammazzate.

Zio Giovanni fece una faccia come se dovesse morire lui.

- Uffa, che barba - disse Carmela. - Sempre cosi. Prima piangete, poi al dolce neanche vi ricordate di noi. E' naturale, è la catena alimentare, come dite voi. Del resto, io ho sterminato più lombrichi di uno stormo di cornacchie. Anche cannibale sono stata. Ti ricordi quando mori' Elide? E tu, quante galline hai mangiato, zio Giovanni? Hai tenuto il conto? E' il destino. Il racconto del mondo è fatto di galline mangiate e galline vive. Le galline mangiate sono cento volte di più di quelle vive. E cosi' gli uomini morti sono quasi più di quelli vivi. Io non so dove stanno tutte queste galline e questi uomini, ma se questo posto esiste è molto affollato, più di questo prato e di questo mondo...

- Dio, quando sei cosi' filosofa mi fai paura - disse zio Giovanni.

- Io penso. Penso da quando sono uscita dall'uovo. E penso che anche tu zio, presto o tardi, finirai nel pentolone. Io sarò ossicini, tu ossa più grandi. E' la mia ora, sette anni è una bella età per una gallina. E soprattutto mi fa piacere aiutare Sandrino. Non mi ha mai tirato pietre, e quando raccoglieva le uova mi carezzava la testa. E una volta ha tirato una gran legnata in una zampa a Germana per farla stare zitta...

- Ma Carmela...

- Sandrino è un bel pulcino... guarirà e verrà su bene, forte e cacciatore, massacrerà pernici e anatre. Allora, ecco le mie ultime volontà. Nella pentola voglio una carota, un sedano e una cipolla dell'orto. E niente salsa, giuralo. Sono già buona di mio. Avanti, procediamo.

- Carmela, non parlare così.

- Dai, zio. Non serve aspettare. E' peggio per te e per me. Addio.

Zio Giovanni la prese in braccio, le carezzò un attimo le piume delle ali e le mise una mano attorno al collo, con delicatezza.

Carmela chiuse gli occhi.

Chissà se dopo volo, pensò.

Stefano Benni, Carmela, in "La grammatica di Dio. Storie di solitudine e allegria", Feltrinelli.


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