di Vera Paola Termali.
Chi non vorrebbe la sera godersi un tramonto magico ? Aspettare le tenebre sul Lago di Como, chiacchierando sulla piazza del paese, mentre i bambini si rincorrono, le nonne gridano “fermati, che sei tutto sudato”, i vecchi fumano l’ultima sigaretta. Eppure paesini come Veleso, arroccato sulle montagne del Triangolo Lariano a 800 m di altitudine, a mezz’ora da Como, Erba e Lecco, è in fase di spopolamento da molti decenni. Niente di particolare: Veleso è come tante centinaia di paesi italiani in cui si vive bene, ma sempre in meno. Se ci fosse un piano del territorio intelligente, invece di continuare a cementificare la pianura ...
Si aiuterebbero i piccoli comuni di montagna ad incrementare la loro popolazione, attraverso il miglioramento dei trasporti, le riduzioni dei costi della benzina, il recupero del patrimonio immobiliare, un piano di affitti agevolati e le tante cose che un Comune può inventarsi, quando ha la materia prima, la popolazione!
La popolazione è tutto, l’unica vera ricchezza di un paesino come Veleso che sulla carta ha 287 abitanti, ma in realtà sono molto meno. Sono soprattutto ultra-settantenni, fuggiti verso la pianura negli anni '60 e tornati adesso che sono in pensione.
Essendo cittadini in rientro, nulla sanno delle tradizioni agricole locali che sono andate totalmente perse, proprio per la fuga verso la città della loro generazione. C’è stata una frattura, un mancato passaggio di consegne, e, quando gli ultimi contadini sono morti, nessuno sapeva più far niente di quelle che erano le attività tradizionali del posto.
I pascoli sono deserti, la produzione lattiero-casearia è finita, il paese sta morendo sempre più. La scuola ha dovuto chiudere ormai da tantissimi anni, c'è un solo negozio di alimentari e un bar-ristorante. Una desolazione, soprattutto d’inverno..
In compenso ci sono tante case sfitte, che rimangono vuote anche d'estate, perché non siamo più negli anni ‘60, quando le mamme non lavoravano e facevano fare ai bambini tre mesi di villeggiatura in un posto come il nostro, nel quale potevano essere facilmente raggiunte dal marito che lavorava in città (Milano è a 70 km).
A Veleso non abbiamo il problema dell’edificazione selvaggia, dobbiamo cercare di conservare in piedi le case che abbiamo, ma come si fa a rendere attraente un paese, se non ci sono fabbriche e negozi da mandare avanti?
Per una milanese come me, abituata a guidare tre quarti d’ora per portare la figlia a scuola, metterci mezz’ora per andare a Como non è un problema, ma non per tutti è così e con quel che costa adesso la benzina sarà sempre peggio. Io vivo qui per scelta da 5 anni, dopo una vita a Milano. Sono consigliere comunale da un anno e ho una delega alla cultura e allo sviluppo del territorio. Purtroppo ogni mio progetto, oltre a dover fare i conti con la mancanza di fondi del Comune, ha dovuto venire a patti con la drammatica realtà dello spopolamento e della mancanza di posti di lavoro.
Ci sono iniziative per circuiti turistici, ma se il turista viene da noi il mercoledì, quando il bar ha il turno di riposo, non riesce neanche a prendere un caffè, neanche nel paese vicino, perché il mercoledì chiudono tutti, persino la farmacia.
Ci sono i fondi regionali per una biblioteca multimediale, ma chi la userebbe? Per chi metti a posto la biblioteca, se i paesani stanno in casa a guardare la TV?
Abbiamo due illustri compaesani ai quali vorrei dedicare un museo. Uno è Angiolino Schiavio, che segnò il gol della vittoria durante i mondiali di calcio del ‘34 e l’altro è Vincenzo Schiavio, pittore morto nel 1954, di buona fama locale. Stiamo cercando fondi per ristrutturare l’ex asilo, ma quando arriveranno? Vorrei abbellire la piazza, ma i soldi per l’architetto dove li trovo?
L’agricoltura, certo! Gli allevamenti, magari! Ma chi vuole venire quassù a fare questo tipo di attività? Qualche appassionato, un po’ alternativo, ma parliamo di numeri piccolissimi, non in grado di rappresentare una controtendenza e poi c’è la concorrenza dell’Italia intera, dei suoi oltre tremila comuni montani.
Eppure siamo a mezz'ora da Como, non proprio sperduti; abbiamo un servizio di mezzi pubblici che ci collega al capoluogo. Siamo a 800 metri slm., l'aria è buona e la vita ha un ritmo più umano.
I nostri figli, pur col sacrificio di una levataccia, hanno fatto tutti le scuole superiori e alcuni sono anche laureati, ma il reinserimento sul territorio con qualifiche troppo elevate non è facile.
Qui da noi, come un po’ ovunque, non servono gli ingegneri, ma gli artigiani e gli agricoltori. E che la Terra non venga curata si vede: il bosco avanza con alberi sempre più alti, perché nessuno più li taglia per scaldarsi, i prati diventano boschi, perché non ci sono più mucche che li tengono rasati, tutto ha il sapore amaro dell’abbandono e sempre più rari sono persino quelli che si tengono in giardino un paio di galline, tanto per poter dare un uovo “vero” ai nipotini, quando una volta ogni tanto vengono a trovarli con la macchina piena di viveri, comprati al supermercato di città.
In tutto questo viene meno il sentirsi comunità, una perdita enorme. Il paesano invece di rimboccarsi le maniche, si lamenta. Le cose da fare toccano sempre agli altri, in primis al Comune. A nessuno viene in mente di tagliare le erbacce davanti a casa propria, come era normale fare quando io ero bambina, oppure di comprare una latta di vernice e dipingere il guard-rail, perché ne aveva veramente bisogno. Anche il concetto di “buon vicinato” è sparito nel generale imbarbarimento della società. Tutto è monetizzato, essendo finito lo scambio: io ti aiuto a girare il fieno e tu mi aiuti a tagliare la legna, tu fai la spesa a mia madre e io ti pitturo le persiane. Adesso se chiami un vicino a tagliare l’erba, non soltanto ti fa il conto delle ore, ma ti mette in conto anche una quota per l’ammortamento utensili!
I paesani si preoccupano quando si parla di fusione obbligatoria fra i comuni con così pochi abitanti, ma anche questo presunto risparmio è soltanto fumo negli occhi. I servizi principali vengono svolti già adesso, per legge, da un ufficio centralizzato dell’Unione dei Comuni. Con un dipendente e mezzo il Comune di Veleso fa già i salti mortali: riesce a tenere aperto l’ufficio anagrafe tutti i giorni tranne il venerdì e fa la manutenzione delle strade, dell’acquedotto, della discarica e del cimitero con una sola persona, perché i soldi per pagarne un’altra non li ha.
Eppure ti affacci e a maggio ti saluta il cuccù; la notte le strade si animano di caprioli, daini, tassi, faine, volpi e cinghiali; lo scorrere delle stagioni avviene lì sotto i tuoi occhi e l’essere umano si sente a casa, tutt’uno con Madre Natura.
I comuni montani
Sono definiti come montani “i comuni situati per almeno l’80% della loro superficie in un territorio posto sopra i 600 metri d’altitudine” recita la legge 991/1952 che prende in parola la Costituzione stessa, la quale all’art. 44 dice “la legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”.
E si, perché in Italia ci sono ben 3.538 comuni montani, che rappresentano il 43,7% dei comuni italiani. In questi comuni vivono poco più di 9 milioni di persone che rappresentano il 17,6 % della popolazione italiana.
Nei comuni montani lombardi, ad esempio, vive la stessa percentuale di giovani tra 0 e 14 anni, il 14,2 %, che in pianura, mentre il numero medio di centenari per 100.000 abitanti su tutto il territorio nazionale è più che raddoppiato nei comuni montani dal 2001 al 2011, passando da 11,98 a 30,67. Un incremento notevolissimo che parla a favore della qualità della vita in montagna, perché i vecchi in questi comuni non vegetano ai giardinetti o nei centri commerciali, ma conservano più a lungo una vita attiva, fatta di piccole manutenzioni, dell’orto, del giardino.
Ciò che invece non riesce proprio a mostrare un tasso attivo è la natalità di imprese: 6,6 % ne nascono e 6,6% chiudono. Anche la “fiorente” Lombardia registra soltanto lo 0,5% di nuove imprese nei suoi 527 comuni montani.
Chi vive in comuni montani ha un reddito più basso di chi vive in pianura, dato facilmente comprensibile, analizzando l’età dei residenti, perlopiù pensionati.
I comuni montani a vocazione turistica sono ben il 48,7% del totale, capitale sul quale si potrebbe investire, se fuori dalle nostre montagne non esistessero pacchetti-vacanze da 200 Euro per una settimana a Sharm-el Sheik. Nonostante il 56,7% dei comuni montani abbia almeno un esercizio alberghiero, il turismo si caratterizza sempre più come turismo “mordi e fuggi”, il turismo delle gite domenicali, dei picnicniani superorganizzati con grigliate e lasagne che nei bar e nei ristoranti locali spendono poco, creando una spirale che porta a prezzi certamente non concorrenziali a quelli praticati in città.
Meno della metà dei comuni montani, il 48,3%, ha sul suo territorio un agriturismo e anche questo dato la dice lunga sulla perdita di tradizioni colturali montane.
Crescono per fortuna nelle amministrazioni dei comuni montani i giovani under 35, segno che chi è cresciuto in montagna, lo vive come un valore aggiunto e vuole impegnarsi per far sopravvivere il suo paese, per farlo uscire da una concezione diffusa di “marginalità” che non corrisponde né alla sua realtà né alle sue potenzialità.
Come si vede i comuni montani non sono affatto una realtà insignificante. Bisogna attuare politiche intelligenti e sostenibili che hanno il doppio vantaggio di non consumare suolo in pianura, continuando a creare situazioni lontane dai veri bisogni dell’essere umano, e di conservare o ripristinare tradizione e naturalità con alta qualità della vita sulle nostre montagne.
(I dati indicati nell'articolo sono tratti dal rapporto Anci-Ifel 2012).