La vera ricchezza sta nello sguardo laterale


di Gianluca Bonazzi.


Di fronte all’ attuale crisi economica molti fanno infinite capriole e circonvoluzioni dialettiche e pratiche per pensare, immaginare, inventare, preparare, studiare, eccetera il futuro, mentre altri si rassegnano, purtroppo anche mortalmente, suicidandosi. Più lo si cerca, meno lo si trova. Per reazione la tentazione latente è quella di vivere nel passato, tra rimpianti, nostalgie, malinconie per ciò che si credeva inutile e che invece si è colpevolmente smarrito. L’unica conseguenza è la non vita del presente, accettando tutt’al più una biologica sopravvivenza ...

Formule, soluzioni, urla e strepiti da ogni parte si affollano nell’ arena provocando anche scontri, per lo meno verbali.
L’ultimo giro di elezioni amministrative ha sottolineato tutto ciò in modo plateale.
Ci si è talmente allontanati dal significato, anche etimologico, della parola "cultura" che sempre più purtroppo si ha l’impressione di navigare a vista, giorno per giorno, se non minuto per minuto.
Il tempo, come valore, significato, memoria, prospettiva è stato completamente fagocitato.
Invece chi ha cultura vive il presente con un occhio al passato ed uno al futuro.
Un proverbio africano dice: ”Un vecchio sdraiato guarda meglio di un ragazzo in piedi”.

L’ unica consapevolezza, capace di progettare un futuro, sarebbe quello di capire che si deve ripartire da zero, lentamente come se si camminasse, facendo prima di tutto i conti con sé stesso, con la propria storia, per allargarla al piano familiare, comunitario, statale, infine occidentale.
Gli errori, frutto di scelte di campo personali e collettive, si son riverberati dall’ uno all’ altro livello, a partire dall’ Italia, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale.
Ciò che sta avvenendo è la conseguenza di aver vissuto circa mezzo secolo in una piena illusione.
Molte cose che abbiamo creduto vere, si son ultimamente dimostrate virtuali.
La Cima Coppi di questa falsità di fondo è il miracolo economico italiano, il cosiddetto ‘boom’.
Un fenomeno che fin dalla sua parola denuncia un senso schizofrenico.

Ogni esplosione nella realtà evoca un trauma, qualcosa che prima c’ era, poi poco dopo non più.
Negli anni’ 60 la parola ‘boom’ è diventata incredibilmente positiva, contaminando le mentalità.
Venire dall’atavica povertà, se non addirittura dalla miseria, di periferie, campagne, montagne, per andar a far fortuna al centro, in città, nel più breve tempo possibile: questo ha significato il ‘boom’.
Se vogliamo inventarci un futuro possibile, dobbiamo prima di tutto guardare negli occhi senza sconti cos’è stato suddetto fenomeno, capire cha la visione frontale e privata della vita ha sostituito negli ultimi decenni quella laterale e comunitaria.

Il mio percorso di vita è stato invece un camminare lento e progressivo dal centro alla periferia, dal grande al piccolo, accompagnato dalla presa d’ atto di ciò che è stato il mio passato.
Ho dovuto sradicare nelle profondità della terra del mio animo radici e piante che erano cresciute velenose, facendomi credere vere e utili, luoghi, persone, cose e principi che in realtà non lo erano.
Da sempre coltivo la conoscenza dell’ Italia di provincia, per me è stato un distributore inesausto di conoscenza e di autostima, nel modo più lento, più profondo, più dolce, come diceva Alex Langer.
Il mio spirito ribelle al corso della storia vincente, personale e collettiva, si è specchiata nella storia di persone e luoghi che non si son rassegnati a svendere la propria anima, continuando a fare scelte di vita culturali e di qualità.
L’ Italia vista da questi luoghi, piccoli, non massicciamente turistici, spesso sconosciuti, ma scrigni per perle di imprevedibile Bellezza, è molto diversa da quella raccontata in televisione.

Sembra evocare il principio di una giovane nazione dal cuore antico, come non ce n’è forse un’altra.
La radice di questa mia riflessione è la cultura, anzi, più culture create dal basso, conseguenza del fatto che l’ Italia è sempre stata un crocevia di gente diversa, da Nord a Sud e da Est ad Ovest.
Lo sguardo frontale è economico, quello laterale è culturale: solo il secondo può impregnare il primo, ma non viceversa.

Ogni luogo in Italia è sempre stato un deposito di paesaggi culturali, molti lo sono ancora adesso.
Solo a partire dalla consapevolezza di ciò, sarà possibile un autentico rinascimento nazionale.

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