Tav e NonViolenza


di Mao Valpiana, Presidente del Movimento Nonviolento.

Lettera alle Istituzioni.

Egregi Signori,
Vi scrivo a nome e per conto del Movimento Nonviolento, che ho l'onore di presiedere. Il lavoro per “l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale”, è lo scopo costitutivo del nostro Movimento, fondato da Aldo Capitini 50 anni or sono. Quindi non possiamo che condividere i vostri appelli rivolti ad escludere ogni forma di violenza dal confronto in atto nella Val di Susa e nel paese sulla necessità o meno di realizzare la grande opera pubblica denominata TAV (treno ad alta velocità) ...

La violenza può assumere molteplici aspetti, anche nascosti, per questo deve essere riconosciuta  per poter essere condannata. Esiste la violenza diretta e quella indiretta, e bisogna saper distinguere il singolo atto di violenza da quella strutturale.
Certamente tirare pietre o altri oggetti contro la polizia è inaccettabile violenza. Così come non è ammissibile lanciare candelotti lacrimogeni ad altezza d'uomo, o manganellare un manifestante quando è già a terra inerme. E' violenza l'offesa personale, rivolta a chi indossa una divisa, ma anche inseguire indiscriminatamente i manifestanti in fuga, dentro le case private o i locali pubblici.

Se sia violenza mettere in atto un blocco stradale o sdraiarsi davanti ad una ruspa, arrampicarsi su un albero o un traliccio, è tutto da discutere. Così come è da discutere se imporre un cantiere con la militarizzazione del territorio sia legittimo o violento. Il confine è sottile, ma qui è in gioco il senso profondo della disobbedienza civile. E' già capitato nella storia che ciò che prima sembrava illegale, poi si è rivelato giusto. Lo sciopero, ad esempio, è stata una conquista a lungo contrastata. Noi stessi per evitare al paese i costi e il pericolo delle centrali nucleari giungemmo a mettere in atto blocchi ferroviari. La magistratura ci assolse e poi i disastri di Cernobyl e di Fukushima e due referendum nazionali ci hanno dato ragione.

In determinati casi, secondo noi,  forme anche estreme di protesta, noncollaborazione, boicottaggio, disobbedienza civile, digiuno, sono compatibili con il metodo nonviolento “che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della libertà di informazione e di critica”.

La  nonviolenza richiede lealtà, assunzione di responsabilità, disponibilità al sacrificio, limpidezza dell'azione, volontà di farsi capire e convincere. La nonviolenza è una forza che non può essere confusa con la debolezza, mentre la violenza è oggettivamente controproducente per un movimento che cerca innanzitutto di far emergere la verità.
Il livello della contestazione dipende dalla posta in gioco. Qui è molto alta: ingenti somme di denaro pubblico, il destino di una valle, il piano dei trasporti del paese, le infrastrutture del futuro. Vale davvero la pena, dunque, bandire ogni forma di violenza (anche quella della menzogna, nascosta nelle pieghe di un'informazione faziosa) e tenere aperto il dialogo per un confronto leale.

Non si può però dialogare alla pari mettendo una delle parti davanti al fatto compiuto. Ci pare contraddittorio esorcizzare la violenza e poi bandire dalla Valle chi ha compiuto gesti nonviolenti.
Per questo, egregi Signori, ci uniamo a voi nella fermezza contro la violenza (e, aggiungiamo, nell'impegno a valorizzare e sostenere il metodo della nonviolenza).

La discussione sul TAV dura da vent'anni. Il cantiere durerà altri dieci anni. Mettere attorno ad un tavolo i vari soggetti interessati, per un dibattito pubblico e un confronto reale, porterebbe beneficio a tutti, e porrebbe fuori gioco gli attori della violenza.

Ci aspettiamo un passo in questa direzione da parte di chi può compierlo.
Grazie della vostra attenzione. Con ossequio.

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