di Gino Scarsi.
Sono un vecchio anticaccia e ho partecipato alla manifestazione di Novello di sabato 11 novembre, sia per solidarietà a Massimo Vacchetta, sia per protestare contro la protervia del mondo della caccia, che si pensava in via di estinzione e che invece è ritornato più baldanzoso che mai.
I partecipanti, ovviamente contrari alla caccia, rappresentavano le diverse anime del “movimento” ai diversi livelli - vegetariani, vegani e moderatamente carnivori - ma sostanzialmente l’impronta complessiva della manifestazione è risultata appannaggio del fronte animalista più radicale, anche perché è venuta a mancare una regia condivisa dalle varie organizzazioni presenti, tra cui Legambiente e Pronatura, Comuneroero, ODPLanghe Roero...
Diciamo che in quel frangente quel taglio ci stava anche bene, ma questa caratterizzazione ha impedito di scendere dal limbo di vaghezza in cui finiscono di confinarsi anche le iniziative migliori contro la caccia. Considerando la numerosa partecipazione possiamo dire che “soma nen riescì a portè ra rapa ao torc” (non siamo riusciti a portare il grappolo al torchio), vecchio adagio piemontese per dire che siamo rimasti lodevolmente a mezz’aria mancando anche solo un accenno ad una strategia, un percorso possibile di azioni oltre la pur necessaria denuncia.
Altro completo demerito, non certamente nostro, l’assenza di amministratori e di politici che fotografa bene una situazione assurda; i contrari alla caccia sono la stragrande maggioranza nel paese, ma nei posti chiave che contano diventano una sparuta minoranza.
Io ho vissuto paradossalmente dei tempi migliori, ricordo ottime iniziative a metà degli anni ’80 con manifestazioni anticaccia coi tamburi in campo, azioni di disturbo nelle riserve private di caccia e i concerti musicali (musica Beat) alle 6 di mattina il giorno dell’apertura della stagione venatoria. I cacciatori erano più numerosi di adesso, ma la caccia godeva di molta più avversione e quasi disprezzo. La differenza era data dai contadini contrari, non perché animalisti ma semplicemente perché non sopportavano intrusi rompiballe sui loro terreni.
L’immissione da parte dei cacciatori agli inizi degli anni 2000 di cinghiali gravide (con azioni illegali riconducibili ai cacciatori bracconieri) ha ribaltato completamente la situazione. La moltiplicazione in pochi anni della popolazione dei cinghiali sul territorio, e quindi giocoforza l’allargamento del loro areale di sostentamento dai boschi ai coltivi, ha fatto sì che si sviluppasse tra i contadini un viscerale quasi odio contro questa specifica popolazione di animali per il danno subito alle coltivazioni. Al punto che i cacciatori sono quasi diventati per questa categoria dei benefattori sociali. E’ un dato di fatto che un contadino che protesta per il danno subito dai cinghiali, ha più potere contrattuale che cento animalisti che manifestano a Milano perché invece li si lasci vivere.
Siamo ancora purtroppo pienamente in questa fase. Considerando che come fronte critico o contrario alla caccia, contiamo poco o niente è necessario aprire un dibattito al nostro interno. Penso serva coordinamento e azioni su due livelli:
1) Dare voce al mondo animale sia sul fronte dei crudeli allevamenti intensivi, sia su quello della fauna selvatica, Su quest’ultimo aspetto occorre tornare alle manifestazioni sul campo (come a Novello) ma in positivo ”per il diritto ad esistere degli animali”, perché non si spara solo ai cinghiali ma a decine di altre specie. Nelle nostre camminate nei boschi possiamo “dare voce” a fagiani-lepri- germani – cinghiali- caprioli- appendendo fogli di carta riciclata con su la foto dell’animale che si rivolge direttamente al cacciatore con scritte che chiedono conto di quello sparo (posso preparare i prototipi di volantino che ognuno si può stampare e affiggere). Ritornare ai concerti mattutini in natura di solidarietà e per il diritto ad esistere della fauna selvatica, suonatori disponibili e sensibili si trovano certamente.
2) Occorre rendersi conto che ciò che vanifica tutti i nostri sforzi nel cammino verso una legislazione almeno di contenimento delle specie cacciabili (vedi elenco sotto) è la proliferazione “forzata” dei cinghiali, che ha stravolto i termini dell’intera tematica, dando una patente di compatibilità ad un mondo di quasi paramilitari che incute paura.
Se non prendiamo di petto la questione cinghiali, proponendo contenimenti (quando dalla Provincia fossero scientemente giustificati) con sterilizzazioni o quant’altro, noi saremo perdenti, anche sul fronte della tutela di quasi tutte le altre specie in cui l’avversione generale alle uccisioni è maggioritaria.
In ultimo, visto che ai tavoli in cui si decide normalmente non ci siamo, chiediamo di esserci, e intanto invitiamo noi ad un tavolo i soggetti decisori.
Specie cacciabili dalla terza domenica di settembre al 31 dicembre: quaglia (Coturnix coturnix); tortora (Streptopelia turtur); merlo (Turdus merula); allodola (Alauda arvensis); starna (Perdix perdix); pernice rossa (Alectoris rufa); pernice sarda (Alectoris barbara); lepre comune (Lepus europaeus); lepre sarda (Lepus capensis); coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus); minilepre (Silvilagus floridanus);
Specie cacciabili dalla terza domenica di settembre al 31 gennaio: cesena (Turdus pilaris); tordo bottaccio (Turdus philomelos); tordo sassello (Turdus iliacus); fagiano (Phasianus colchicus); germano reale (Anas platyrhynchos); folaga (Fulica atra); gallinella d’acqua (Gallinula chloropus); alzavola (Anas crecca); canapiglia (Mareca strepera); porciglione (Rallus acquaticus); fischione (Mareca penelope); codone (Anas acuta); marzaiola (Spatula querquedula); mestolone (Spatula clypeata); moriglione (Aythya ferina); moretta (Aythya fuligula); beccaccino (Gallinago gallinago); colombaccio (Columba palumbus); frullino (Lymnocryptes minimus); combattente (Calidris pugnax); beccaccia (Scolopax rusticola); cornacchia nera (Corvus corone); pavoncella (Vanellus vanellus); cornacchia grigia (Corvus corone cornix); ghiandaia (Garrulus glandarius); gazza (Pica pica); volpe (Vulpes vulpes).