di Paolo Tomatis
Anche quest’anno, come accade ormai da decenni, gli abitanti della Granda hanno ricevuto festosi aggiornamenti sullo stato dell’autostrada Asti-Cuneo, informati da numerosi articoli comparsi su giornali cartacei e web oltre che da reportage televisivi: «Il via libera del Cipe alla conclusione dei lavori è stato accolto con enorme soddisfazione dal presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio...», il quale ha rilasciato soddisfatte dichiarazioni: «È una bellissima notizia che attendevamo da moltissimo tempo: ora finalmente possono ripartire i cantieri di un’infrastruttura strategica per il nostro territorio che i piemontesi aspettano da più di 30 anni».
Ops, ci siamo sbagliati...
Queste sono dichiarazioni del 1º agosto del 2019! Quelle del 19 giugno scorso sono queste: «Possiamo concentrarci sull’Asti-Cuneo, che il nostro territorio aspetta da più di 30 anni ed è strategica per il Piemonte… Il cronoprogramma partirà dal momento della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della delibera assunta dal Cipe il 14 maggio scorso...».
Difficile percepire differenze: a distanza di un anno le stesse parole, le stesse dichiarate sicurezze… I cittadini della provincia non si stupiscono più. Da anni sentono ripetere annunci trionfali, smentiti dai fatti dopo qualche mese.
Cerchiamo di sbrogliare la matassa di questa storia. Intanto cosa è il “Cipe”? Sta per Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica: è un organismo che deve obbligatoriamente rilasciare pareri su questioni che riguardano i finanziamenti di opere pubbliche. In questo caso ha espresso un parere favorevole. Ma non è vero che «…il cronoprogramma partirà dopo la pubblicazione...»: è un parere interlocutorio cui ne dovranno seguire altri, fra cui quello vincolante della Corte dei Conti. Cirio queste cose le sa benissimo, ma serve alla propaganda far pensare che sia stato compiuto un passo definitivo.
Come mai tre decenni per un’opera “strategica”? C’è una domanda che tutti ci poniamo: come mai un’opera come questa, un collegamento tra capoluoghi di province confinanti, aspetta da decenni di essere realizzato?
La risposta, inevitabile, è che si tratta di un fallimento collettivo, di classi dirigenti che hanno clamorosamente sbagliato e non hanno mai voluto rimediare all’errore, facendo il gioco (consciamente o inconsciamente) di uno dei più grandi potentati economici del Piemonte: il gruppo Gavio, il titolare delle concessioni autostradali del Nord-Ovest, fratello minore (ancora per poco) del gruppo Benetton.
Del collegamento Asti Cuneo si parla dagli anni Ottanta, quando l’ipotesi sul tavolo era quella di un percorso in superstrada lungo un tracciato diretto, passando da Fossano.
Si diffuse la convinzione che se si fosse aspettato lo Stato ci sarebbero voluti decenni per realizzare l’opera: bisognava far intervenire un privato! Ma per ottenerne l’interesse non bastava una strada, ci voleva un’autostrada. Era la soluzione migliore? Evidentemente sì, dissero all’unisono le forze politiche, da destra a sinistra passando per il centro democristiano.
Solo un imprenditore, sostenevano concordi, poteva realizzare e gestire un’opera come quella, riuscendo anche a guadagnarci e senza impegnare risorse pubbliche, con benefici per tutti.
Il “privato” in questione in effetti era a portata di mano: si trattava del titolare della concessione della Satap, la Torino-Piacenza, ovvero Marcellino Gavio.
Erano già cominciati i lavori per una superstrada da Asti ad Alba, la Provincia costruì il ponte strallato sul Tanaro (progettato dall’ingegnere capo Giuseppe Vassallo) che ancora oggi svolge un ruolo essenziale, ma si interruppero in vista della grande, definitiva soluzione.
Uscì fuori da qualche cappello (ancora non si sa con certezza da quale) l’autostrada “a Z rovesciata” che avrebbe collegato Cuneo e le sue valli alla Torino-Savona. Chi da Cuneo avesse voluto andare ad Asti avrebbe svoltato a nord per dieci chilometri fino a Marene, di lì avrebbe piegato ancora di novanta gradi immettendosi su un nuovo (tortuoso) tracciato verso Alba – Asti.
Per gli abitanti della parte occidentale della provincia non sarebbe servita a niente: ipotesi svantaggiosa sia per andare a Torino sia per Asti (in entrambi i casi conviene passare da Saluzzo). Forse qualche vantaggio per andare a Savona, ma l’esperienza dice che anche in questo caso non conviene, è meglio passare da Mondovì…
Insomma, era chiaro anche ai ciechi che quel percorso sarebbe stato un pasticcio inutilizzabile.
Però il partito dell’Autostrada continuò a riscuotere grandi consensi. L’idea che l’Anas non avrebbe mai trovato i soldi necessari, ma Gavio ce l’avrebbe fatta in tempi brevi divenne un mantra indiscusso.
In una prima fase la Satap ottenne direttamente la concessione con una semplice « convenzione aggiuntiva ». Ma era davvero troppo. Nel 2000 il ministro Nerio Nesi fece proprie le osservazioni del Consiglio di Stato e pretese che la nuova autostrada venisse « sottoposta al regime della procedura ad evidenza pubblica » come prevedevano le norme comunitarie.
Le gare di questo tipo sono un po’ sui generis: sono “di costruzione e gestione”, concepite in modo che l’impresa interessata faccia l’investimento e si ripaghi nel tempo con i pedaggi. Un meccanismo che genera distorsioni, e soprattutto porta a una domanda: perché se il privato ci guadagna, non può farlo lo Stato? La risposta è che lo Stato è incapace e ci perderebbe… È lì la radice di tragedie come quella del Morandi a Genova…
Sta di fatto che Gavio si aggiudicò la gara (accettando anche di formare una società partecipata da Anas per un terzo) e il 1º agosto 2007 sottoscrisse la convenzione. Nel frattempo Anas (interamente a spese dello Stato) aveva già costruito 39 km del percorso.
L’intera opera avrebbe dovuto essere conclusa in quattro anni, quindi entro entro il 2012. Spesa prevista e sottoscritta, 1 miliardo e 40 milioni di euro (per la parte rimanente).
La nuova società Asti - Cuneo realizzò il collegamento tra il capoluogo e la Cuneo - Savona costruendo circa 15 chilometri del percorso che inaugurò a Carnevale del 2012.
Da quel momento si fermarono le ruspe e cominciarono a lavorare le stampanti per produrre ricorsi su ricorsi, quasi sempre vinti da Gavio. Nell’opinione pubblica si diffuse la convinzione che i ritardi fossero dovuti a una non precisata “burocrazia”.
Nel frattempo la geografia delle concessioni autostradali mutava e l’impero Gavio si estendeva, fino a comprendere interamente la Torino - Milano, vera gallina dalle uova d’oro. Mentre la “strategica” AT-CN si dimostrava sempre più una palla al piede.
A meno che…
Fu in quel periodo che si fece strada la pensata del “cross financing”.
Un’idea in fondo ragionevole: se una tratta autostradale non riesce a ripagarsi con i propri pedaggi, aumentiamo le tariffe su una sorella con più appeal e utilizziamo il surplus per quella negletta.
Un accordo che deve avvenire in famiglia, e la famiglia di Gavio era in quelle condizioni.
La possibilità del finanziamento incrociato fu introdotta per legge nel decreto “sblocca Italia” del 2014.
La commissione europea sentì puzza di bruciato. Non fu un intervento da “burocrati”, come venne troppo banalmente raccontato. L’Unione Europea difende la concorrenza come un bene essenziale a tutela degli interessi del cittadino contro quelli dei grandi monopolisti. La commissaria Margrethe Verstager esaminò il progetto, sulla base delle informazioni che le arrivarono da parte delle strutture del ministero dei Trasporti; il 4 luglio del 2017 sottoscrisse un accordo con il governo (ministro Del Rio) che prevede una revisione del progetto del pezzo mancante della At-CN (quindi diminuzione dei costi), il prolungamento della concessione della To-Mi e l’aumento dei pedaggi su questa tratta.
Nel frattempo in provincia si era scatenata l’offensiva del presidente dell’Unione Industriale, Franco Biraghi: progetto insensato, costi troppo elevati, sia l’Anas a completare l’opera.
Una visita dell’amministratore delegato della Asti - Cuneo, Umberto Tosoni, nell’ottobre del 2016 mise fine alle bizze di Biraghi che cambiò completamente atteggiamento dopo l’intervento di questo così importante socio di Confindustria.
Nel 2018 a Del Rio succede l’astuto Toninelli. Il quale riprende in mano il dossier e fa ripartire la negoziazione, evidentemente “per migliorarla”. Immaginate una trattativa con Toninelli da una parte, e dall’altra il mitico Gavio? Non c’è storia…
In effetti il 18 marzo del 2019, a San Giuseppe, Toninelli e Conte gratificano la Granda di una visita pastorale in piena regola, seguiti da un codazzo numeroso di leghisti entusiasti (e altrettanto entusiasti 5*), alla presenza di più cauti esponenti del Pd.
Conte ha l’aria di chi non ha idea di quello che sta succedendo, ma pronuncia parole che valgono per tutte le occasioni. Toninelli spiega come è stato bravo lui ad aumentare a dismisura il “valore di subentro” della To-Mi, mica come Del Rio che voleva prolungare di quattro anni la concessione…
L’amministratore delegato della A33, Umberto Tosoni, un mese dopo in sede di presentazione del bilancio spiega agli azionisti che le due soluzioni sono finanziariamente equivalenti, “l’una o l’altra per me pari sono”.
Ma Toninelli ha in mano uno scalpo del nemico da presentare in pubblico, e assieme a Conte garantisce che l’autostrada sarà pronta… nel 2022. Cirio, non ancora presidente, è presente e rilascia la dichiarazione riportata all’inizio.
Ma si mette di mezzo la “burocrazia”, nelle vesti della Corte dei Conti e della Autorità per la regolazione dei trasporti. Sono organismi “di garanzia” che difendono gli interessi dei cittadini e verificano che l’esecutivo si attenga alle norme. Gavio avrebbe ottenuto un po’ troppo, di fatto si impedirebbe ad eventuali concorrenti di subentrare al termine delle concessioni. In più il Cipe sarebbe stato avventato ad affermare che l’Unione Europea si era già espressa e che quindi non c’era bisogno di chiedere di nuovo la sua approvazione.
Come si vede la situazione è molto “fluida”, c’è ben poco di sicuro.
Intanto da un paio d’anni si fa sentire l’Osservatorio per la tutela del Paesaggio di Langhe e Roero.
Contesta la necessità di un’opera invasiva come un’autostrada in questo tratto delicatissimo di territorio sulle rive del Tanaro alla base delle colline di Verduno, zona sotto la protezione Unesco. Questo tratto, è da sottolineare, collega la superstrada da Asti (oggi circonvallazione di Alba) con il moncone autostradale ormai noto che si arresta sui campi, proveniente da Bra-Cherasco. Non c’è nessun motivo perché debba essere autostrada, ce ne sono molti perché sia superstrada. Il primo: questo collegamento è utile soprattutto al traffico locale, non a quello di lunga percorrenza (di cui mancano le tracce).
Corollario: il traffico locale non deve essere costretto a pagare pedaggio, in particolare per chi è diretto all’Ospedale di nuova costruzione sulla collina. Altre richieste: un tracciato in galleria a una canna per evitare percorsi che inevitabilmente deturperebbero il paesaggio; no alla discarica già progettata insieme al casello previsto a Verduno.
Quelle richieste hanno ricevuto una risposta apparentemente positiva: la discarica non si farà - assicura Cirio – perché serviva a raccogliere gli scavi delle due gallerie autostradali, non più previste. Una risposta da grande sofista: la discarica in realtà è prevista e si farà, ma non verrà riempita. Il consumo (lo spreco) di territorio sarebbe comunque garantito.
Il pedaggio, dice ancora Cirio, non si pagherà da parte di chi esce diretto all’ospedale: c’è da immaginare la coda dei tanti che per evitare il pagamento si faranno un giretto in entrata - uscita…
Stiamo certi di una cosa: di sicuro non siamo all’ultima puntata. E non certo per colpa degli “oppositori”...
LE PRESIDENZE DI GIOVANNI QUAGLIA
Il 19 giugno la Giunta regionale, in modo alquanto irrituale, si è riunita nel castello di Grinzane Cavour. Ha anche “audito” il presidente della Autostrada Asti-Cuneo, Giovanni Quaglia, che riveste quella carica dall’aprile dell’anno scorso. Nessuno ha ricordato che nel chilometrico cursus honorum del presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino c’è anche quella fresca fresca della Satap, proprietaria della Torino-Milano e della Torino-Piacenza, ottenuta nel maggio scorso
LA SCOMPARSA DELLA TANGENZIALE DI CUNEO Tra i progetti della Asti-Cuneo ce n’è uno che pare del tutto dimenticato: la cosiddetta “tangenziale di Cuneo” Nel 2012 fu un cavallo di battaglia nella campagna elettorale dell’attuale sindaco Federico Borgna, convinto sostenitore dell’opera. Curiosamente non ne parla più nessuno. Ha fatto la stessa fine del tunnel sotto il Tanaro (!?), e delle “opere compensative” che avrebbero dovuto essere a carico della A33?
L’ESPOSTO DI MALAN
Lucio Malan, senatore di Forza Italia della Val Pellice, ha presentato un esposto alla Corte dei Conti: “Chiedo di verificare se i cittadini piemontesi si troveranno a pagare tra i 400 e gli 800 milioni in più di quanto, applicando le norme, si dovrebbe”.
“Tanto per fare un esempio, il percorso Torino-Milano-Torino in auto oggi costa 38,75€. Senza la decisione del CIPE si scenderebbe fino a 32,30 nel 2026, quando si potrebbe scendere ulteriormente con una gara vera, aperta a diversi operatori. Con la decisione del CIPE si sale invece alla stessa data a 43,20€, e si renderebbe impossibile una vera gara perché l’eventuale concorrente partirebbe con un handicap di 1,2 miliardi, da versare non appena dovesse vincere. ... Stessa storia per i pedaggi dell’Asti-Cuneo.”