di Maurizio Bongioanni.
Durante l’ultima commissione urbanistica convocata dal Comune di Alba si è discusso di un progetto relativo a una nuova edificazione in zona Moretta. Si tratta di un capannone destinato a diventare in parte un deposito attrezzi comunale e in parte di utilizzo privato da parte di un’associazione (borgo storico) di Alba. Il terreno sul quale dovrebbe sorgere tale costruzione è stato definito “senza utilità” …
Ciò che più mi ha colpito durante lo svolgimento della commissione (fortemente voluta dal consigliere M5S Ivano Martinetti, unica voce critica verso il progetto) non è stato tanto venire a conoscenza della decisione di costruire un nuovo capannone (della dimensione di 200 mq, 80 a uso comunale e la restante parte a uso privato, costruito “senza spendere un euro” - come ripetuto più volte in commissione - grazie al project financing), dal momento che non ci sono state osservazioni quando è stato pubblicato il nuovo Piano Regolatore, ma sentire che quel terreno su cui sorgerà tale capanno è un terreno “in stato di abbandono”, che “non c’è nulla lì”. Insomma, che il terreno non ha utilità.
Che Alba non abbia una coscienza ecologica “spinta” verso la risorsa suolo è un dato di fatto: il Piano Regolatore prevede nuove edificazioni, le zone industriali sono in espansione nonostante di cemento in giro ce ne sia a sufficienza, anzi troppo. Non ci sono campagne volte a sensibilizzare sull’utilità del suolo “libero”. E adesso scopriamo il perché. Perché Alba, o perlomeno i suoi amministratori, non conoscono la preziosità di un terreno “libero” da cemento.
Addurre come motivazione che si è deciso di costruire su un terreno perché questo è “in stato di abbandono” significa non sapere che il suolo è prima di tutto una risorsa non rinnovabile. Significa non sapere che nel momento in cui viene cementificato il suolo perde la sua capacità generativa PER SEMPRE (tra l’altro parliamo di un terreno in classe II, quindi fertile!). Significa non sapere che in Italia stiamo consumando suolo a un ritmo di 8 mq al secondo. Significa non sapere che il suolo assorbe l’acqua: un ettaro di terreno non costruito è in grado di assorbire - e rilasciare gradualmente - fino a 3750 tonnellate di acqua (occorre quindi spendere dei soldi per realizzare opere pubbliche in grado di compensare l’incapacità dei terreni di trattenere l’acqua e questo dovrebbe far accendere un campanello d’allarme per un comune già alluvionato e a rischio alluvionamento recentemente). E come un terreno trattiene l’acqua, così fa con la CO2: il terreno è in grado di trattenere 3 volte la quantità di carbonio presente nell’atmosfera. E uccidendo la capacità dei suoli di trattenere l’anidride carbonica contribuiamo a incrementare gli effetti del riscaldamento globale.
Insomma, ogni piccola gettata di cemento provoca degli effetti ambientali. Questo dovrebbe essere chiaro nel momento in cui si decide di costruire del nuovo, senza prima aver valutato l’idea di recuperare del patrimonio esistente. E, inoltre, mi chiedo: ma sarà stato valutato attentamente ciò che suggerisce il Piano Territoriale Regionale nel suo articolo 31: "nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali possono prevedersi solo quando sia dimostrata l’inesistenza di alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti. In particolare è da dimostrarsi l’effettiva domanda previa valutazione del patrimonio edilizio esistente e non utilizzato, di quello sotto-utilizzato e di quello da recuperare"?
Certo, bisogna conoscere gli effetti di quel che si sta facendo. Io tra le tante proposte di corsi di formazione proporrei al Comune di seguirne uno sull’utilità del suolo. E chissà, magari invitare anche la cittadinanza a seguirlo. Perché il suolo è un bene comune, quindi sta anche ai cittadini - e non solo agli amministratori - preservarlo.