Dopo il referendum


a cura del Comitato piemontese e valdostano per il NO alla riforma costituzionale

A un mese dal referendum è tempo di interpretazioni e di progetti. Il No alla riforma costituzionale voluta dal Governo Renzi è andato al di là delle nostre stesse aspettative. Lo sappiamo ma è bene ricordarlo: hanno votato 31.997.916 italiani residenti, pari al 68,48 per cento degli aventi diritto. I No sono stati 19.025.863 (59,95%) contro 12.708.927 Sì (40,05%), con uno scarto di 6.317.000 voti. In alcune regioni, come la Sicilia e la Sardegna, i No hanno superato il 70% e, dato particolarmente significativo, più dell’80% dei giovani al di sotto dei 35 anni ha votato No. Anche in Piemonte il risultato è stato netto: 72,03% di votanti e 1.368.528 No (56,47%) contro 1.055.022 Sì (43,53%). Analoghi i dati della Valle d’Aosta. A Torino città il No ha vinto con 248.007 voti (53,58%) contro 214.824 (46,42%). Percentuali di No particolarmente elevate ci sono state in alcuni comuni della Val Susa, fino al 91,30% di Moncenisio. Scendendo nei dettagli è facile constatare che il No ha vinto nelle regioni maggiormente toccate dalla crisi e nei quartieri operai e popolari mentre i (pochi) successi del Sì si collocano nelle regioni di tradizionale radicamento del Partito democratico (Emilia e Toscana in particolare) e nei quartieri “bene” delle grandi città (Centro-Crocetta a Torino e Parioli a Roma). Il dato qualitativo conferma quello quantitativo: il successo referendario è stato una grande vittoria popolare, come da tempo non se ne vedevano ...
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Le ragione di soddisfazione sono, dunque, molte. È stata bocciata – ed è la cosa più importante – una riforma brutta, pericolosa e autoritaria, imposta con prepotenza da un ceto politico eletto con una legge costituzionalmente illegittima, che ha trasformato una minoranza del Paese in maggioranza parlamentare. E a ciò si è accompagnata un’incoraggiante ripresa della partecipazione politica e una consapevolezza che sembrava smarrita, soprattutto tra i giovani, i lavoratori e l’elettorato femminile. A riprova che, nonostante la mobilitazione per il Sì della grande stampa e l’occupazione delle televisioni da parte del presidente del Consiglio, gran parte del Paese ha saputo scegliere, anteponendo i fatti alle parole e bocciando, insieme, la prospettiva dell’uomo solo al comando e le politiche economiche e sociali intrecciate con quel progetto. Al successo hanno concorso in molti, anche eterogenei. Ma un ruolo fondamentale – lo diciamo senza presunzione – hanno avuto i nostri comitati per il No che, fin dalla primavera, quando, tra l’altro, i dati dei sondaggi sembravano indicare un risultato profondamente differente da quello poi emerso dal voto del 4 dicembre, hanno mobilitato decine di migliaia di donne e di uomini, hanno creato un clima di interesse e di partecipazione, hanno dimostrato che la battaglia per il No, lungi dall’essere conservatrice, era la precondizione per un cambiamento profondo del Paese e per la realizzazione dei principi di uguaglianza e dignità proclamati dalla Costituzione repubblicana.

Oggi, a un mese dal referendum, gran parte della politica cerca di accantonarne l’esito e le indicazioni. I padri e le madri della riforma costituzionale si comportano come se fossero i vincitori, il governo del Paese è una brutta copia di quello che lo ha preceduto, le politiche sociali ed economiche non mostrano cambiamenti significativi, la riforma elettorale – resa necessaria dall’esito referendario – è incerta nei tempi e nei contenuti (e demandata di fatto alla Corte costituzionale), gli sforzi della maggioranza del Parlamento sembrano diretti soprattutto a scongiurare i referendum sul lavoro chiesti da milioni di cittadini. In questa situazione è più che mai necessario che i Comitati per il No si trasformino in Comitati per la democrazia costituzionale, per realizzare una mobilitazione permanente contro i prevedibili nuovi progetti di modifica della Costituzione, per dare spazio alla voglia di partecipazione dei cittadini, per arginare i ricorrenti tentativi di ridurre gli spazi di democrazia, per ottenere la realizzazione dei diritti civili e sociali previsti nella prima parte della Carta.

Di tutto questo discuteremo in un’assemblea regionale il 17 gennaio 2017 alle ore 21.00 in Torino presso l’Unione culturale - via Cesare Battisti 4

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