di Ugo Sturlese (discorso pronunciato durante la manifestazione per il "No" dell''ANPI).
Come Coordinatore del Comitato per il NO alla riforma costituzionale voglio esprimere tutta la mia gratitudine all’Associazione nazionale Partigiani d’Italia per aver organizzato questa significativa manifestazione e a tutti voi, che avete voluto sostenerla in maniera così forte e con una qualificata rappresentanza del mondo del lavoro (la CGIL) e dell’associazionismo ricreativo e culturale (l’ARCI). Voglio dire innanzitutto che siamo riconoscenti, in maniera appassionata ma anche razionale, all’ANPI per aver voluto testimoniare, anche nell’occasione di questo Referendum, la propria coerente fedeltà ai valori di democrazia, di uguaglianza, di rispetto dei diritti individuali e collettivi, che sono contenuti nella nostra Carta Costituzionale, figlia della Resistenza e frutto quindi del sacrificio di tante donne e di tanti uomini, che ad essa hanno dedicato il proprio impegno incondizionato fino al dono ultimo della propria vita. E voglio dire che questa riconoscenza va al di là di una contingenza referendaria, che ha determinato nel popolo italiano profonde divergenze d’opinione, delle quali in questo difficile momento non si avvertiva proprio la necessità ...
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Voglio dire con forza che queste divergenze però non devono impedirci di condurre una riflessione storica e politica sulla delicata fase che stanno attraversando le nostre democrazie occidentali (e non solo) e le forme stesse della nostra politica organizzata e di mantenere una visione chiara dei pericoli incombenti. Quello che voglio mettere in discussione e sottoporre alla vostra attenzione è la pretesa, o meglio l’illusione, presente nei sostenitori del Referendum, di poter risolvere i problemi economici, sociali, persino quelli del Servizio sanitario nazionale (recente convegno delle aziende sanitarie del cuneese) o dell’accesso agli Asili Nido o quelli più generali dei diritti delle donne con semplici modifiche della Carta Costituzionale. Al contrario è del tutto evidente che la crisi che stiamo vivendo discende dall’incapacità dei Governi di adottare politiche concrete che risolvano i gravi problemi del nostro tempo legati alla disuguaglianza crescente, alla disoccupazione di massa, alla povertà diffusa, ai cambiamenti climatici, alle trasformazioni demografiche e in molti Paesi, compreso il nostro, alla corruzione imperante. Questi problemi sono con ogni evidenza determinati dalla subordinazione dei governi, ai quali oggi si vuole attribuire una ancora maggiore capacità decisionale rispetto ai Parlamenti e alla libera espressione della volontà popolare, una subordinazione dicevo alle decisioni dei grandi poteri bancari e finanziari, che hanno mal governato a proprio esclusivo vantaggio le forme della globalizzazione e che mal tollerano un esercizio diffuso della democrazia. Quegli stessi poteri che pretendono addirittura (vedi lettera della JPMorgan del 2013) di dettare i comportamenti dei Governi, suggerendo riforme che vadano nel senso della riduzione del ruolo dei Parlamenti e del suffragio popolare, della riduzione dei diritti dei lavoratori, della riduzione del Welfare e di tutte le misure di protezione sociale, della riduzione delle misure di contrasto all’inquinamento ambientale.
A questi poteri, alle loro ingerenze sulla vita politica delle nazioni e ai loro grandi mezzi di informazione (o meglio di disinformazione, “la Post-verità”) mostrano di ribellarsi le popolazioni, in particolare quelle più colpite dalla crisi, con larghe e impreviste forme di dissenso, che si esprimono anche in forme non condivisibili, in occasione delle consultazioni elettorali (vedi Brexit o Elezione di Trump) Il pericolo che corriamo oggi è appunto che questo dissenso assuma le connotazioni della rivolta individualistica, del razzismo, della chiusura nazionalistica, della negazione dei diritti civili sia nei riguardi delle donne che dei cittadini a diverso orientamento sessuale. Il pericolo insomma è che si passi da una sorta di Post-democrazia ad una forma di pre-fascismo o di micro-fascismo (Deleuze-Guattari). Per questo per me è così importante il richiamo dell’ANPI ai valori fondanti della nostra Repubblica e della nostra carta costituzionale. Per questo è così importante oggi la presenza, attorno all’ANPI, del più grande sindacato italiano, quale è la CGIL, di una grande forma di associazionismo popolare come l’ARCI, del nostro Coordinamento per la democrazia costituzionale: insomma una sorta di garanzia e di baluardo per il futuro democratico del Paese. Di qui discendono le successive riflessioni.
E proprio ai fini del mantenimento delle garanzie democratiche e costituzionali, è importante vedere limiti e pericoli di questa riforma e riaffermare (e questa è la seconda riflessione) un giudizio comune e profondamente critico, sulla metodologia adottata prima per approvare questa riforma e poi per acquisire il consenso necessario nella consultazione referendaria, elementi che costituiscono già un grave vulnus alla stessa carta costituzionale.
Nel metodo adottato per approvarla si riscontrano infatti aspetti di particolare gravità, se consideriamo che la riforma è stata approvata da un Parlamento di nominati, utilizzando una legge elettorale, il Porcellum, dichiarata incostituzionale a norma della sentenza del Gennaio 2014 della Corte Costituzionale, in quanto non rispettosa della rappresentatività dell’elettorato (premio di maggioranza abnorme) e non rispettosa della libertà di scelta degli elettori (Capilista bloccati). Una Parlamento che doveva rimanere in funzione per pochi mesi per assicurare la continuità dello Stato. Invece gli eletti col Porcellum hanno approvato addirittura una Riforma della Carta Costituzionale (non una semplice revisione di alcuni articoli): i costituiti illegittimamente sono diventati costituenti, dice il giurista Ferrajoli
Inoltre la riforma è stata presentata dal Governo e non dal Parlamento ed approvata da una maggioranza governativa minima grazie ai voti di Verdini e a colpi di canguro.. E questo è un altro vulnus costituzionale. Ricordo che Piero Calamandrei (ma anche De Gasperi) sostennero che il Governo in questo ambito non doveva interferire minimamente e non assumere alcuna iniziativa neanche preparatoria. E invece ancora oggi il Presidente del Consiglio occupa tutte le reti televisive (altro che Grande Fratello di Orwell), ci fa votare il 4 Dicembre per aver tempo di approvare una legge di stabilità che è un concentrato di elargizioni a fini elettoralistici (un macroscopico voto di scambio), spedisce (come Segretario del PD, per carità) lettere a tutti gli elettori residenti all’estero, assume una poco credibile quanto ostentata posizione antieuropeista, minaccia sfracelli per il Paese nel caso di una bocciatura del Referendum. Sostanzialmente, malgrado alcune poco convinte correzioni, continua a fare del referendum un plebiscito attorno alla propria persona ed una sorta di giudizio universale.
Una terza ragione sta nel merito delle misure previste dalla Riforma, sulle quali non mi soffermo troppo perché saranno trattate in maniera esauriente dal VicePresidente dell’ANPI. L’inganno più grave sta nel fatto che Renzi chiede ai cittadini di approvare una riforma, che non riuscirà a realizzare nemmeno le premesse o le promesse sulle quali è fondata, a causa delle contraddizioni applicative che essa genera e della imprecisione delle prescrizioni che essa contiene. Una riforma, sgangherata nel linguaggio (sciatto e incomprensibile), che non consentirà quei risparmi che vengono sbandierati e che si potevano ottenere da tempo e in misura maggiore riducendo semplicemente il numero e gli emolumenti dei Parlamentari di entrambe le Camere; una riforma che non otterrà una maggiore velocità nelle decisioni, perché si passerà da un bicameralismo perfetto ad un bicameralismo confuso, prevedendo da 8 a 10 percorsi legislativi sia di tipo bicamerale puro (costituzione, legge elettorale, normative europee) che di tipo bicamerale spurio; una Riforma che non darà maggiore potere alle Autonomie locali e regionali, i cui rappresentanti non saranno più ad elezione diretta, ma di secondo grado e quindi in mano alle Segreterie dei Partiti e che con la riforma del titolo V°, l’abolizione delle materie concorrenti e la norma di supremazia dello Stato, perderanno la possibilità di concorrere alla formazione di molte decisioni, che riguardano i loro territori. Altrochè Senato delle Autonomie: al contrario si avranno forme di potere centralizzato e personalizzato nelle mani del CAPO del Partito che con un premio di maggioranza abnorme (consentito dalla nuova legge elettorale) e con la nomina dei Capilista avrà un dominio incontrastato sul Parlamento.
Ma infine vediamo che cosa c’è dietro alla modifica di 47 articoli (un terzo) della nostra bella Costituzione. Quale ne è il senso profondo e celato ai cittadini italiani, ma ben evidente nel disegno dei grandi poteri sovranazionali.
IL DILEMMA che ci viene proposto è fra DECISIONISMO (la Democrazia decidente), così come ci viene suggerito dall’Europa, dalle Banche e dalle Agenzie di Rating, e RAPPRESENTATIVITA’ democratica della volontà dei cittadini.
In sostanza i poteri finanziari ci dicono: riformate la Costituzione perché troppo democratica, colpite i diritti e i salari dei lavoratori, demolite il welfare europeo, lasciate mano libera all’impresa. E così ha fatto il Governo Renzi e quelli che lo hanno preceduto, chiedendo in cambio maggiore flessibilità nei conti, arrivando a minacciare di non votare il bilancio pluriennale (altra bufala colossale, in quanto si trattava di approvare solo una variazione che peraltro accoglieva le richieste dell’Italia sulle spese per gli immigrati e i terremotati e sulla quale grottescamente abbiamo dato un voto di astensione)
Ma il problema è che si sono rivelate sbagliate da parte del capitalismo finanziario sia la diagnosi della crisi che la cura conseguente: non è vero che c’è bisogno di salari più bassi che non fanno altro che ridurre la domanda di beni di consumo, di meno servizi che rendono impossibile il lavoro, di più decisionismo (chè anzi oggi facciamo troppe leggi mal congegnate), di maggiore verticalità in capo all’esecutivo e ad un Leader carismatico: oggi c’è bisogno di maggiore democrazia , maggiore partecipazione, di più politica, di adesione diffusa ad un nuovo progetto di società, condiviso, centrato sull’economia collaborativa orizzontale della terza rivoluzione industriale centrata sulle energie non inquinanti, su forme di comunicazione orizzontali, sulla logistica in rete e sull’onestà dei rappresentanti politici.
E ABBIAMO BISOGNO CHE SIANO REALIZZATI COMPIUTAMENTE i principi costituzionali, per es.la tutela del Paesaggio , della cultura (Art.9),( della salute Art 32), che sono strettamente collegate, della mobilità (art.16), del lavoro (art.1 e 4), gli obblighi sociali dell’iniziativa privata (Art. 41-45); abbiamo bisogno di un nuovo statuto dei Beni Comuni (acqua, territorio,cultura), né statali né privati, ma proprietà della collettività che li gestisce in maniera diretta. Insomma, se si vuole cambiare una Costituzione occorre cambiarla in meglio, non ritornando a formulazioni verticistiche e centralistiche , inadeguate a superare la crisi in atto, regressive dal punto di vista dei diritti dei cittadini, e aperte a possibili sviluppi autoritari, ma avanzando sulla strada della democrazia costituzionale, della partecipazione, del rafforzamento della democrazia rappresentativa con forme di democrazia diretta. Ecco di questa linea di pensiero e di azione noi siamo convinti sostenitori.
E diciamo ancora una volta, ora e sempre W la Costituzione, W l’ANPI, W la democrazia costituzionale.