a cura di Officine di Resistenza.
L’antifascismo non interessa ormai che a pochi: quello coltivato retoricamente dalle istituzioni ha poi il raro dono di risultare respingente per ogni moto di fascinazione e attrazione verso le vicende resistenziali. Le celebrazioni ufficiali sono inerti e avulse dalla vita reale, del tutto sconnesse dai problemi, dalle gioie e dai desideri delle persone. Odorano di cloroformio, evocano il calore della ghiacciaia piuttosto che lo spirito e la passione dei partigiani. Gli unici momenti veri di queste manifestazioni sono quelli in cui i protagonisti del tempo raccontano di sé, e attraverso le loro storie personali rispecchiano le ragioni e la forte carica etica ed esistenziale di un movimento collettivo straordinario. Abbiamo ascoltato tante volte i loro interventi, e ci sembra che solo questi riescano a sciogliere la camicia di forza in cui la narrazione ufficiale ha imprigionato la Resistenza...
Ad Alba negli ultimi anni è divenuta egemone una lettura caratterizzata da una forma sottile di revisionismo storico: la lotta di liberazione è considerata un processo sostanzialmente guidato dai partigiani autonomi, di ideologia moderata e monarchica. E’ una lettura “perbene”, che tende a rimuovere l’apporto delle formazioni garibaldine, e per questa via la resistenza con radici comuniste e di classe. Come tutti i grandi movimenti storici, anche quello resistenziale fu segnato da fratture sociopolitiche profonde, che trovarono una composizione nel comune obiettivo di battere il nazifacismo. Non è un’operazione politicamente innocente esaltare l’importanza di alcune formazioni e impostazioni, e nasconderne altre. Anche noi, ovviamente, non siamo politicamente innocenti, e preferiamo l’antifascismo di Leonardo Cocito a quello di Teodoro Bubbio.
Cocito, professore di italiano e latino al liceo classico Govone, organizza la lotta partigiana nei boschi attorno a Bra. La lotta armata è per lui la naturale prosecuzione di un antifascismo maturato ed espresso con chiarezza già negli anni trenta. Cogliamo in lui una posizione netta e rigorosa: un antifascismo conseguente che trascende il terreno della difesa della democrazia, e scorge nello sfruttamento dei lavoratori, nell’ingiustizia sociale e nella difesa del Capitale la radice ultima della svolta autoritaria. Si unirono a lui nella lotta, tra gli altri, lo studente del liceo di Alba Danilo Ballerini, e Sergio Aimo, ex allievo del liceo e studente in medicina. Citiamo un passo da “Banditi” di Pietro Chiodi: “12 Agosto 1944. Ho notato che gli uomini hanno per Cocito un’ammirazione e un affetto sconfinati. Benchè militino in una formazione autonoma si professano quasi tutti comunisti. Ci sono anche due nostri allievi del liceo. Ho parlato a lungo con loro. Comunismo significa per loro giustizia sociale ed antifascismo radicale ed intransigente.”
E veniamo a Bubbio. L’avvocato Teodoro Bubbio è considerato un padre nobile della politica albese: a lui è stata intitolata la sala del Consiglio comunale. Deputato del partito popolare nel 1919, dirigente dell’Azione Cattolica, da cui i fascisti lo costrinsero a dimettersi nel 1939, fece parte del C.L.N. cittadino durante i 23 giorni dell’ “Alba liberata” insieme ad altri quattro avvocati. Citiamo dal libro “Islafran” di Ezio Zubbini: “E’ proprio questo l’elemento di maggior debolezza politica dell’esperienza dei 23 giorni della città di Alba. Il C.L.N. di Alba dell’ottobre ’44 non ha le sue radici in una precedente attività cospirativa antifascista, ma è essenzialmente l’espressione di un timido dissenso presente in alcuni rappresentanti della borghesia albese, che si manifesta nel momento in cui il fascismo di Salò appare entrare in crisi….Il C.L.N. Albese non proclama nessuna “libera repubblica” né cerca di imporsi ai militari come autorità civile. Sul campanile del Duomo sventola la bandiera monarchica…viene mantenuto in carica il commissario prefettizio della RSI…”.
E che dire di Bubbio dopo la liberazione? Lasciamo che sia un suo scritto autografo a parlare: “Quando a seguito delle elezioni 1946 fui assunto per la seconda volta a sindaco di Alba…alcune volte il prefetto di Cuneo conte Gloria mi invitò formalmente a prestare il prescritto giuramento di fedeltà alla Repubblica; disattesi ogni volta questo invito, adducendo or questo or quell’impedimento. Pertanto non giurai…”. L’influenza politica e la propaganda monarchica di Bubbio furono certamente un fattore decisivo per la vittoria della Monarchia ad Alba nel referendum del 2 giugno del 1946, con la percentuale del 66,8%.
E ancora: una volta diventato sottosegretario al Ministero dell’Interno, Bubbio non si peritò di caldeggiare la posizione del tenente colonnello Luigi Pieroni, già comandante del presidio fascista di Alba nell’inverno del ’44-’45, condannato dalla Corte d’assise di Alba per strage e collaborazionismo, poi amnistiato Citiamo nuovamente da “Islafran”: “ Era stato però cancellato dai ruoli militari con la perdita del grado. Ebbene, il sottosegretario Teodoro Bubbio intercedeva presso il suo collega sottosegretario alla Difesa per farlo reintegrare nei gradi militari. In un clima di anticomunismo dilagante il potere democristiano albese perdeva ogni traccia di antifascismo.”
Noi non mettiamo in dubbio l’importanza dei differenti apporti al movimento resistenziale. Ma se la Resistenza deve avere un senso per l’oggi e per il domani, è necessario operare una scelta politica tra i diversi percorsi individuali, sociali, ideologici che la animarono. Il lascito di Cocito, Aimo e Ballerini ci pare essenziale, fecondo di sviluppi futuri; quello di Bubbio no.
Chiediamo che la sala del Consiglio Comunale venga intitolata a Leonardo Cocito. E che il liceo classico venga intitolato a Ballerini e Aimo: è folle che continui ad avere il nome del generale Govone, sanguinario repressore dei moti meridionali di ribellione sociale nei primi anni dell’unità d’Italia.