di Alessandro Mortarino.
Da diverse settimane chi transita dinanzi alla Questura di Asti resta stupito da una lunga fila di persone dal chiaro aspetto indiano. Sono, in realtà, giovani vite provenienti dal Pakistan, paese in condizioni drammatiche dove più di due milioni di abitazioni sono state distrutte dalle inondazioni che lo scorso giugno hanno causato la morte di quasi 1600 persone, creando 7,6 milioni di esseri umani privi di un tetto. In questura cercano di interloquire con gli addetti dell’Ufficio Immigrazione, ma senza riuscirvi...
Non ci riescono perché la "regola" vigente in Italia consente a queste - e tante altre - persone disperate di poter chiedere il diritto di asilo solo se si è ospiti di un CAS (Centro di Accoglienza Straordinaria), strutture individuate ed aperte in tutte le province e gestite da cooperative e associazioni di varia natura, incaricate dalla Prefettura attraverso specifici bandi di gara. Ma in provincia di Asti i CAS sono strapieni e molti migranti si trovano così nell'impossibiiltà di regolarizzare la loro presenza: se non sei ospite di un CAS, non esisti (qualcuno, ironicamente, potrebbe dire "non conti un cas", ma non ci pare il caso di scherzare...).
Come chiaramente percepibile dal suo acronimo, un CAS è un Centro di accoglienza a carattere straordinario, come previsto dalla legge 142/2015 che ha introdotto la possibilità, all’esaurimento dei posti nei centri di prima e seconda accoglienza, per evitare lunghi tempi di attesa in condizioni non accettabili, di inserire fin da subito i migranti richiedenti asilo in strutture temporanee, limitate al tempo strettamente necessario al trasferimento nei centri di primo o secondo livello. Da elemento “cuscinetto”, da utilizzarsi come ultima spiaggia, i CAS sono tuttavia divenuti un passaggio all’ordine del giorno, basti pensare che oggi su tutto il territorio nazionale sono presenti 5.000 CAS con una capacità di accoglienza di 80.000 persone.
CAS praticamente tutti pieni.
E' il nodo del problema astigiano e il motivo delle file di pakistani che ogni mattina premono - invano - alle porte della Questura, per poi dividersi nel pomeriggio, trasferendosi lungo le strade e i parchi cittadini e trascorrere la notte in improvvisati giacigli. E ritentare il giorno dopo e il giorno dopo e il giorno dopo ancora.
La Caritas di Asti ha deciso di offrire un aiuto a questi giovani, portando loro tè caldo, caffè, biscotti, panini e invitandoli a recarsi al centro diurno "Il Samaritano" per poter usufruire delle docce, dei bagni e ricevere abbigliamento e scarpe.
Un piccolo sostegno, un palliativo.
Perchè la mattina arriva. Sempre. E ogni mattina è una chance per ritornare in Questura e sperare.
E' lo "specchio" dei nostri tempi.
L'inizio di un'era (già iniziata da tempo) in cui povertà e crisi climatica dettano/detteranno le fatiche di vivere per milioni di sventurati e per milioni di accoglienti che non desiderano accogliere.
Possiamo continuare a girare la testa dall'altra parte?.
Se fossimo pakistani e non italiani come ci comporteremmo?...