Asti: mezza città rinuncia alla democrazia

di Alessandro Mortarino.

Che non ci fosse bisogno di un profetico veggente per immaginare che i cittadini italiani si sarebbero tenuti ben distanti dalle urne in occasione dei cinque complicatissimi referendum sulla giustizia, era abbastanza evidente. E così è stato. Qualche dubbio restava, invece, nel valutare la disaffezione elettorale dei cittadini astigiani nel momento in cui la democrazia della scelta politica incontra il livello più  prossimo, ovvero le amministrative comunali. Il risultato è una debacle sempre più grave per la politica: quasi un cittadino su due ha marinato le urne e il messaggio che ne deriva è che il futuro della città viene così demandato a “chi vincerà”, chiunque sia, “tanto non cambierà nulla”. Questo è il dato su cui riflettere; secondario che il Sindaco uscente non avrà bisogno del secondo turno per essere legittimato al bis per completare le “cose” non fatte o lasciate in sospeso a causa – si dirà – non di incapacità politica ma di due anni maledetti vincolati dall'emergenza pandemica...

I responsi delle urne dimezzate consegnano la vittoria al centro-destra di Rasero: netta, senza necessari ballottaggi, 55.7% contro il 37,5% della coalizione di Paolo Crivelli che eppure pareva avere potenzialità enormi per competere testa a testa con l'uscente Sindaco.
Una sconfitta bruciante per il centro-sinistra che finalmente era riuscita a compattarsi (Movimento 5 Stelle compreso) attorno al nome di un candidato comune e aveva avviato la sua campagna elettorale con uno slogan forte - “Asti sarà la città del Noi” - e con percorsi di ascolto nelle e delle periferie.

Poi qualcosa si è inceppato nella macchina del centro-sinistra e quando, almeno nell'ultimo mese, pareva logico che il candidato Crivelli iniziasse a declamare una visione di città da contrapporre alla coalizione Rasero, il messaggio che ne è uscito è suonato come un mantra sfumato. Troppo sfumato. Con prese di posizione che invitavano a soluzioni successive e non a risposte puntuali.

Un problema di comunicazione? Sicuramente. Ma non solo. Direi anche un problema di contenuti, riassunti in un programma elettorale della coalizione intera che metteva in fila temi e proposte a comporre un ottimo elenco di titoli non sempre accompagnato da una altrettanto esaudiente disamina delle scelte da compiere. Cioè il “cosa vorremmo fare” privo del “come vorremmo farlo”, “quando vorremmo farlo”, “con quali risorse” e – soprattutto – mostrando la assoluta piena condivisione di tutte le liste.

Qui sta il vero problema, a nostro parere: per una proposta politica piena e coinvolgente occorreva – oltre a un programma strategico di comunicazione – essere pronti. E per essere pronti occorreva che  la coalizione esprimesse la candidatura unica e il “patto di sangue” non a sei mesi dal voto ma almeno due anni prima. Tempo sufficiente (appena appena...) per trasformare la città in un enorme laboratorio di idee e di energie. Tanti laboratori tematici quanti sono/saranno gli assessorati. Trasparenti, pubblici, aperti a qualunque cittadino e alle figure competenti in materia e non solo, come ci pare sia invece accaduto, a qualche rappresentante di ciascuna lista.
Due anni di laboratori, argomento per argomento, per costruire assieme un programma circostanziato, basato sull'analisi dei bilanci comunali (“invece di investire xxx euro per questo, noi li destineremo per quest'altro”...) e dei bisogni reali, con persone – tante – che si confrontano, discutono, propongono. E in cui, alla fine, emergono competenze e leader naturali, riconoscibili e riconosciuti, pronti per assumere incarichi ed essere consci di avere una squadra al fianco.

Questo è “fare politica”? Mi piace pensare che così debba essere.
E sarebbe (anzi: sarà) interessante chiederlo a quella metà di cittadini di Asti che non si è degnata di andare alle urne e a cui è difficile dare torto.

Ma chi sono?
Sono giovani o anziani? Di ceto medio o di reddito basso? Di un quartiere specifico?
Abbiamo cinque anni per comprenderlo e immaginare un modello di politica alternativo: a meno che il nostro DNA non sia già troppo permeato dall'idea del “vincere o perdere”, che tutto è tranne che la radice della vita...

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