di Paolo X Viarengo.
Come tutti gli anni il Natale si avvicina e va festeggiato. Ma come? Il Natale trae, probabilmente, le sue origini dall’osservazione del fatto che in questo periodo le giornate, dopo aver raggiunto l’apice del buio, si allungano. Ed allora nasce tutta una serie di considerazioni sulla vittoria del sole sulle tenebre. Sul fatto che la morte, cioè il freddo ed il buio, possano prevalere per un certo periodo ma poi debbano necessariamente soccombere all’arrivo della vita, cioè il caldo e la luce...
Immaginiamo, per un momento, di essere in una fredda capanna di paglia e fango, stretti gli uni agli altri attorno al fuoco per scaldarci, mentre fuori fa buio sempre prima. Ma, ad un certo punto, il buio arriva alla stessa ora del giorno prima e poi, addirittura inizia ad arrivare dopo. Avete con voi, nella capanna anche le provviste che avevate fatto nei mesi in cui si potevano fare e le avevate messe da parte per passare l’inverno: ma non verrebbe voglia anche a voi di mangiare qualcosa di più e fare festa?
Festeggiare la speranza che quel brutto periodo, come tutti, andrà a terminare?
Poi, complice anche l’isolamento per evitare l’ipotermia e le lunghe serate passate stretti attorno al fuoco ad aspettare che passi la brutta stagione, sono arrivate le elucubrazioni mentali. I folletti. Le fiabe. I racconti.
Poi qualcuno, che vivendo nei boschi adorava gli alberi, ha iniziato ad addobbarli per renderli partecipi della sua felicità. Poi, qualcuno più generoso di altri ha deciso di dare un pezzo della sua cena ai vicini: perché era contento lui e dovevano esserlo tutti. E, si sa, un dono deve essere contraccambiato.
Più tardi arrivarono anche i Cristiani, a dire che quella speranza è data dalla nascita dell’unico Salvatore e non dalle giornate più lunghe, e si sovrapposero a quella festa che esisteva da tempi immemori.
Infine, fu la volta di Babbo Natale, delle renne, delle slitte, dei regali e dei racconti dell’inghilterra vittoriana in cui, dopo aver depredato tutte e tutti in nome della Rivoluzione Industriale, almeno per un giorno si doveva essere tutti più buoni ed andare a cantare in giro inni emozionanti.
E, oggi, cosa è rimasto?
Ad Asti abbiamo fatto prima: abbiamo fatto il Magico Mercatino di Natale tra il 13 novembre ed il 19 di Dicembre. Anche se Natale, che io sappia, cade il 25 ed il mercatino non ci sarà, poco importa. Natale è sempre Natale, anche se si festeggia in date più vicine ad Halloween e vien voglia di addobbare l’albero con scheletrini e zucche.
Ma, in fondo, cos’e’ Natale se non una festa figlia dei suoi tempi e della società che lo festeggia? E questo è il Natale odierno, figlio della nostra società. Così come è stato figlio della società neolitica o ancora prima paleolitica, per diventare poi figlio della società celtica, romana, medievale e della rivoluzione industriale.
Ora è arrivato fino a noi e non poteva arrivarci immutato nel tempo, ma doveva arrivarci mutato dagli animi delle donne e degli uomini che lo festeggiano.
E se corriamo tutto l’anno per farci le scarpe e vicenda ed accumulare sempre di più tutto l’anno, perché Natale dovrebbe essere diverso? Quindi i cenoni o i pranzoni, a seconda che si sia del Sud o del Nord Italia, soppiantano per importanza i Canti Natalizi dickensiani. I regali, simbolo del consumismo, sono l’entità stessa della festa neoliberista, e non la Messa di Natale cui si partecipa per routine, non vivendo più in una società come quella medievale scandita dall’Ora et Labora.
Spendere soldi e fare le code ai black Friday ha sostituito l’osservazione delle stelle e del calar della notte. Non dico che fosse meglio prima piuttosto che adesso, dico che adesso è così. Bisogna comprare, avere, perché sono le due azioni che, al giorno d’oggi, ci danno ragione d’essere agli occhi degli altri.
Noi siamo primati, e siamo primati che vivono in una società edonistica e non muscolare-aggressiva. Per intenderci, non siamo così vicini ai Babbuini che fanno a botte per stabilire la gerarchia ma piuttosto ai Bonobo che cercano di mettersi in mostra per scalare la piramide sociale.
Basta andare in un asilo e vedere la nostra specie non ancora del tutto conformata alla cultura e vedere i bimbetti liberare il loro istinto: liti, qualcuna, ma frasi del tipo “guardami”, “guarda che bel disegno”, “Guarda cosa so fare”, invece, a bizzeffe.
Basti pensare alla notorietà degli attori piuttosto che agli scienziati: eppure chi è più utile lo sappiamo tutti.
Siamo fatti così: dobbiamo farci vedere. Ci è necessario per progredire nella scala sociale e quindi vivere e, non da ultimo, riprodurci. Ed in questo non siamo diversi oggi da ieri. Anzi, oggi, lo siamo di più ed essendo in tanti, complici le tecnologie ed il sovraffollamento, lo abbiamo portato all’eccesso. Invece di diminuire abbiamo aumentato. Aumentato il consumo di risorse, aumentato le sperequazioni sociali, aumentato i poveri a discapito dei ricchi, aumentato i rifiuti, aumentato il consumo del territorio.
Non è sbagliato come festeggiamo il Natale al giorno d’oggi: è sbagliato come viviamo al giorno d’oggi. Perché forse era sbagliato anche come lo festeggiavamo nel medioevo, pregando per la nascita di un Salvatore che in realtà non è certamente nato alla mezzanotte di quel giorno.
Oppure era sbagliato come lo festeggiavamo nell’Inghilterra di Dickens, quando per tutto l’anno sfruttavamo le piccole fiammiferaie ma in un unico giorno d’inverno le elevavamo a martiri, ipocritamente: invece di fare l’inverso.
Perché Natale, la festa per eccellenza, è figlia dei suoi tempi. E non è sbagliato come la si festeggia ora: è sbagliato come si vive ora durante tutto il resto dell’anno. Noi, ad Asti, ci siamo portati avanti. La festeggiamo dal 13 novembre al 19 dicembre: ci portiamo avanti.
Non si sa mai, visti i tempi che corrono. D’altronde Natale è la festa della speranza che il buio non sopravanzi la luce...