di Daniela Grassi.
Ad Asti, a Palazzo Mazzetti, prosegue fino ad ottobre 2021 e dopo un tormentato percorso a singhiozzo, una mostra affascinante, “Asti città degli arazzi”.
Schiacciata dai tempi dell’emergenza sanitaria e sicuramente non ripagata dall’affluenza di pubblico che avrebbe meritato, questa mostra rappresenta un’occasione purtroppo spesso persa per molti che avrebbero potuto lasciarsi stupire e incantare dalle opere esposte.
Opere che non ci si attende se non si è già profondi conoscitori della produzione dell’arazzeria Scassa e di quella di Vittoria Montalbano...
Storie di vita e di professionalità che si incontrano, che gemmano nuova arte con modalità e sensibilità differenti, ma comunque di altissimo livello, e di cui qualsiasi città andrebbe fortemente orgogliosa tentando in ogni modo di continuarne la tradizione incredibilmente raffinata sia per fattura che per la capacità inventiva.
Quello che si crea tra artisti (e artiste, perché in gran parte donne, sia quelle dell’equipe dell’Arazzeria Scassa che Vittoria Montalbano, cresciuta in quel vivaio e poi rilucente di stile proprio, tanto da portare a sé importanti artisti contemporanei a creare, come in secoli passati, opere come anime del futuro arazzo) del telaio e artisti della pittura e del disegno, è un tessuto di collaborazione, un giardino di conoscenze e idee nuove e messe in comune, di stimoli, di ricchezza e nutrimento per cui varrebbe la pena di progettare, di aprire, di costruire orizzonti e luoghi, “botteghe” in cui passare competenze e passione a nuove generazioni, in una città che ha bisogno di riconoscersi, di ricostruirsi un’identità e un paesaggio culturale e produttivo in quello di grande rilievo naturale e storico da conservare e coltivare con cura, per noi e per chi viene a conoscerci.
Non sono mai riuscita a capire perché di tutto questo sia mancata nettamente la volontà ad Asti e tanto più me ne stupisco e me ne rammarico ora, dopo essere stata a contatto con queste opere splendide, differenti da quelle che avevo avuto il piacere di conoscere in passato.
E vorrei aggiungere ancora una cosa: c’è almeno un’altra artista dell’arazzo e del telaio ad Asti che io ho il privilegio di conoscere e che non è presente in mostra.
Si tratta di Marilena Terzuolo, artista astigiana schiva e di profonda ispirazione oltre che di grandissima sapienza operativa, un’artista che vive e ha il suo laboratorio in una casetta tra i boschi, come una fata.
Le sue prime opere sono nate dalla collaborazione fondamentale con il maestro Eugenio Guglielminetti, ma le successive creazioni, traboccanti di amore per la vita in tutte le sue manifestazioni, sono esclusivamente frutto della sua propria creatività e hanno una natura, corposa, quasi tridimensionale, tanto che già anni fa, quando ne pubblicò le immagini su di un catalogo dove alle opere si univano testi profondi e lievi, le suggerii di nominarle “Sculture di tessuto” (“Sculture di tessuto”, Percorsi tra Arte, Artigianato e Spiritualità, di Marilena Terzuolo, ed. Impressioni Grafiche di Acqui Terme – 2011).
Numerose le mostre, dove le opere vengono presentate anche in installazioni di grande fascino, mutate secondo lo spirito degli spazi ospitanti, ad Asti presso il Centro culturale San Secondo, a Pettinengo, a Oropa, a Etroubles, al Castello di Costigliole d’Asti.
Ma il tessuto di Terzuolo, è ben più esteso: Marilena ha insegnato a tessere con lo stesso entusiasmo ad ogni categoria di persone e la relazione è ordito e trama della sua attività rivolta anche ai bambini e a molte persone diversamente abili.
Fondamentale, all’interno dell’Associazione Dodiciceste insieme al marito Bruno Giaccone, alla figlia Francesca e a numerosi volontari, l’incontro con l’Eritrea e con le sue donne che con questa attività hanno ritrovato una dignità massacrata dalla guerra e il modo di mantenere autonomamente se stesse, le loro famiglie e di dare respiro alle comunità in cui vivono.
Ugualmente, attraverso la collaborazione con l’Associazione Pacefuturo di Pettinengo (BI), la tessitura è divenuta opportunità per parecchi ragazzi rifugiati.
Insomma, la ricchezza culturale e umana legata al telaio è nel nostro territorio una risorsa di cui spesso non si parla, su cui ci si dovrebbe impegnare e fare luce e di cui bisognerebbe fare un’insegna viva e feconda, una speranza concreta.
E bello sarebbe, entrando in città, vedere scritto con orgoglio, oltre che Città del Palio, “Asti, città degli arazzi e dei tessitori”.