Case popolari: un bando che discrimina

Cgil Asti sollecita l'Agenzia territoriale per la casa, il Comune e la Provincia a correggere un grave elemento inserito tra i requisiti del bando per l'assegnazione di alloggi di edilizia sociale...

Questo il testo della lettera trasmessa:

In riferimento al nuovo bando generale di concorso per l’assegnazione di alloggi di edilizia sociale (c.d. case popolari), intendiamo segnalare l’incongruità di uno dei requisiti richiesti agli aspiranti assegnatari. Trattasi del requisito previsto alla lettera ‘c’ del bando, per altro discendente dalla legge regionale (Legge Regionale n. 3 del 17/02/2010 art. 3 comma 1 lettera ‘c’).

Citiamo direttamente il testo:

...non essere titolari, complessivamente, di diritti di proprietà, usufrutto, uso o abitazione, ad eccezione della nuda proprietà, su un alloggio ubicato in qualsiasi comune del territorio nazionale o all’estero adeguato alle esigenze del nucleo familiare ai sensi del decreto ministeriale 5 luglio 1975 (modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico sanitari dei principali locali di abitazione), salvo che il medesimo non risulti inagibile da certificazione rilasciata dal comune oppure sia sottoposto a procedura di pignoramento, con provvedimento di rilascio emesso dal Giudice dell’esecuzione ovvero sia stato assegnato al coniuge per effetto di sentenza di separazione giudiziale o di accordo omologato in caso di separazione consensuale, ovvero alla parte dell’unione civile o al convivente di fatto a seguito di altro provvedimento o accordo ai sensi della normativa vigente.
I cittadini di stati non aderenti all’Unione Europea devono produrre apposita certificazione o attestazione, rilasciata dalla competente Autorità dello Stato di Nazionalità, di assenza di proprietà immobiliari nelle forme previste dall’art. 33 del DPR 445/2000 (non sono attendibili le dichiarazioni attestanti ”la non sottoposizione a tassazione per proprietà immobiliari”), non essendo sufficiente per tali soggetti la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà…

In sintesi: chi vuole partecipare al bando per ottenere un alloggio sociale, non deve essere proprietario (sotto qualsiasi forma) di altro immobile, in Italia e/o all'estero. Quale dovrebbe essere la ratio di questa prescrizione?

Di sicuro (almeno ci auguriamo) non si vorrà sostenere che si possa tornare alla sera a dormire nel proprio alloggio in Senegal o in Pakistan (o in Calabria o in Sicilia), e poi la mattina presentarsi al lavoro ad Asti!

Il ragionamento sottostante alla prescrizione parrebbe essere il seguente: stante la proprietà di un immobile, la condizione economica del soggetto non è così disagiata e quindi cessa il diritto ad un alloggio a canone sociale.

Ecco il punto. La proprietà - in sè e per sè - non necessariamente indica agiatezza. Bisogna vedere di COSA si è proprietari. Di una villa con piscina? Di un castello? Della porzione di una casetta di villaggio, che i genitori hanno lasciato a numerosi fratelli/sorelle nel paese d'origine? Non è tutto uguale.

Se la proprietà fosse indice di ricchezza a prescindere, allora in Italia ci sarebbe un’altissima percentuale di benestanti, visto che una grande parte dei cittadini (compresi lavoratori e pensionati) è proprietaria della casa di abitazione. A questa condizione i cittadini italiani sono stati indotti non certo dalla loro ‘ricchezza’ ma dalla difficoltà del mercato degli affitti, ed hanno sostenuto duri sacrifici accendendo onerosi mutui con le banche. Purtroppo, a volte caricandosi di pesi insostenibili. Il fenomeno dei mutui subprime ha innescato una terribile crisi economica, a partire dagli Stati Uniti. Anche in Italia, seppur in modo meno clamoroso, non sono poche le difficoltà dei mutuatari, oggi ulteriormente aggravate dalle  conseguenze della pandemia.

Il nostro Paese vanta inoltre una peculiarità negativa rispetto al contesto europeo, la scarsezza dell’edilizia residenziale pubblica, che è proprio l’oggetto di queste nostre osservazioni. La residualità in cui è stata via via ridotta questa parte del settore abitativo ha prodotto una marginalità sociale di chi vi abita, con conseguente ghettizzazione e degrado della qualità della vita. Sinceramente, le nostre case popolari sono piuttosto malconce e poco invitanti, non si vede perché un benestante titolare di immobile di lusso dovrebbe fare carte false per abitarvi.

Invece di un requisito così generico e possibile fonte di discriminazioni, si potrebbero agevolmente inserire criteri di verifica più aderenti alla realtà, ad esempio la distanza tra residenza/domicilio attuale e ubicazione dell’immobile; il carattere dell’immobile stesso (escludendo - giustamente - le abitazioni di lusso); la co-proprietà con altre persone. Senza dimenticare la condizione di chi ha dovuto abbandonare il proprio paese per sfuggire a guerre o persecuzioni, e difficilmente può andare dal suo Consolato a richiedere certificazioni. E se anche fosse stato ricco nel suo paese d’origine, adesso ha perso tutto e ricco non è più.

Ci rendiamo conto che si tratta di un approccio più laborioso, ma crediamo che le PERSONE meritino attenzione e giusta valutazione della loro situazione.

Vi invitiamo a tener conto di queste osservazioni e a trasmetterle a chi di competenza.

Luca Quagliotti, Segretario Generale Cgil Asti e Luisa Rasero, Politiche abitative Cgil Asti.

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