di Paolo X Viarengo.
E’ di questi giorni la notizia che 210 dipendenti della piattaforma logistica di Villanova d’Asti di proprietà della Bcube, colosso di Casale Monferrato con diramazioni in tutto il mondo, rischiano di perdere il posto, il lavoro. Questo perché un altro colosso piemontese con diramazioni in tutto il mondo, la Fiat Chrisler Automotive, ha problemi a rinnovare la commessa in scadenza il prossimo 30 giugno. La commessa era stata pattuita tre anni fa a costi ridotti tant’e’ che era stato chiesto ai dipendenti di ridursi lo stipendio...
Richiesta accettata dai dipendenti, nella stessa identica misura in cui se lo sarebbero diminuiti anche i padroni, la famiglia Bonzano: quindi rifiutata. La scorsa settimana la questione del rinnovo è passata tramite la Prefettura di Asti, con conseguente sfilata di autorità e preannunciata da ben due interrogazioni parlamentari: una di Federico Fornaro, capogruppo di Leu alla Camera e una di Andrea Giaccone, deputato astigiano della Lega. La proposta FCA è stata il rinnovo di un anno alle medesime condizioni economiche. La risposta Bcube è stata: almeno tre anni a costo maggiore.
In mezzo i dipendenti. Le famiglie. Gli uomini e le donne che hanno ascoltato, con tristezza, le comunicazioni dei loro rappresentanti sindacali, formulate in azienda il giorno dopo. Persone che da trent’anni hanno lavorato per la Bcube, e che ora non sono così giovani da impostarsi un nuovo progetto di vita e nemmeno così vecchie da andare in pensione. Vasi di coccio in mezzo a vasi di ferro, come scriveva il Manzoni, quando al posto delle multinazionali c’erano i bravi, mafiosetti al soldo del potente di turno, ad angariare la povera gente.
Ma la vera furbata, da leggere tra le righe della proposta FCA, è che tra un anno andrà in scadenza anche la commessa Iveco, azienda del gruppo. Ma la vera furbata della Bcube è collegare i destini di 400 donne e uomini a due commesse, collegate fra loro: FCA e Iveco. Senza neanche pensare a diversificare il lavoro, come qualsiasi ditta individuale artigiana priva di uffici di strategia e di pianificazione aziendale e con fatturato sicuramente minore dei 600 milioni annui della Bcube, farebbe.
Eppure è cosi. Non rischiano il posto 210 dipendenti a giugno. Rischia la chiusura l’intero sito entro un anno. Rischia il posto l’intera forza lavoro di 400 persone. Donne. Uomini. Famiglie. Economicamente non sarebbe più vantaggioso. In tempi di coronavirus è necessario fare sacrifici. E’ necessario che 400 donne, uomini, famiglie facciano sacrifici. Non li devono fare la FCA, multinazionale torinese con sede in Olanda per pagare meno tasse e beneficiaria di tanti, tanti soldi dallo Stato per il decreto che intende rilanciare l'economia.
Non li devono fare la Bcube, B alla terza perchè è la terza generazione della famiglia Bonzano che la gestisce. Ma, in tre generazioni, probabilmente non è riuscita a mettere nulla da parte da investire in questi tempi di crisi. Oppure preferisce tenerseli e chiudere. Dopo aver usato la vita di tante persone a fronte dei soldi, ora li butta via. Un grazie, una buonuscita e via. Come i soldi sul comodino che il "maiale" di turno fa trovare a una prostituta dopo una notte di sesso.
Eppure questo è il dopo coronavirus. Questo è stato il dopoguerra. Questa è la scusa. La scusa per continuare a tenersi i soldi e lasciare gli spiccioli sul comodino a chi offre sé stesso.
Nel migliore dei casi, perché nel peggiore non c’e’ neanche la notte di sesso sporco e maleducato. Non ci sono nemmeno i soldi sul comodino.
Questo è il dopo coronavirus: una scusa. Come nel dopoguerra, quando si cementificava tutto in nome della rinascita e si pagava poco chi era chiamato a farlo. Perché erano tempi di crisi e si doveva lavorare. Molto. A poco. Si doveva lavorare in molti per arricchire pochi.
Quegli sbagli li stiamo pagando ancora: autostrade che si sgretolano. Ponti che crollano. Spiagge stuprate da cementifici con finestre. Tensioni sociali. Tantissimi poveri e pochissimi ricchi. La scusa era: siamo in emergenza e dobbiamo ripartire.
Anche ora la scusa è questa: siamo in emergenza e dobbiamo ripartire.
Ma i soldi ci sono. Lo Stato li ha. Gli imprenditori li hanno. Li tirino fuori. Non usino la scusa del covid19 per arricchirsi ancora di più sulla pelle delle persone. Non credo che le famiglie Bonzano o Agnelli siano in graduatoria per una casa popolare: i soldi ci sono. Li tirino fuori visto che siamo in emergenza. Li tirino fuori per rimediare alla sbaglio di legare la vita di 400 persone a due soli clienti. Anche la FCA la smetta di raccontare frottole. La smetta di pagare le tasse sui proventi che ottiene anche grazie agli aiuti statali, pagati con le nostre tasse, in paradisi fiscali esteri. La smetta di usare la scusa del covd19 per spezzare vite.
Ho visto l’assemblea che la Cgil ha tenuto alla Bcube venerdi scorso. Ho visto gli occhi dei partecipanti. Ho visto la rassegnazione più che la paura. Eh no, compagni. La colpa non è vostra. Gli sbagli di gestione che ora ricadono sulle vostre spalle, sia in FCA che in Bcube, non li avete fatti voi. E, non dovete pagarli voi. Non siete prostitute o mendicanti che hanno beneficiato dell’elemosina dei padroni in questi anni. Lo stipendio ve lo siete guadagnato fino all’ultimo centesimo e l’azienda ha guadagnato sul vostro lavoro sicuramente più di quanto vi ha dato.
Li tiri fuori. Reinvesta. E’ un loro dovere e un vostro diritto. Ma, per favore, basta rassegnazione. Basta paura. Basta autocommiserazione. Se sbatti un singolo dito su un tavolo, te lo rompi. Ma se unisci questo dito agli altri, lo trasformi in un pugno e se lo sbatti non ti fai più male.
Un pugno chiuso, sollevato al cielo e rivolto a chi ha le colpe di questa crisi.