Come immagini il mondo dell’architettura e la sua professione dopo l’attuale crisi virale?

di Marco Pesce (*).

Occasione [oc-ca-ṣió-ne]. Circostanza o concorso di circostanze che rendono possibile l’avverarsi di un fatto, o che danno opportunità di fare qualche cosa; momento adatto, opportunità.

Ci ha colti tutti di sorpresa. Nessuno era preparato ad uno scenario distopico come quello che stiamo vivendo in queste settimane: miliardi di individui improvvisamente catapultati in una condizione che media (e governi) per settimane non sono riusciti a focalizzare bene, rappresentandola come qualcosa tra un reality globale sempre più drammatico e un episodio di Black Mirror dall’esito incerto. Ora (forse) ci siamo svegliati come da una trance collettiva. Ma di fronte al dramma in corso, che senso ha parlare di architettura? Ne ha molto...

[Flashback] Nel 2013, in previsione della prima edizione della rassegna A.S.T.I. FEST, ci eravamo interrogati sulla percezione che gli abitanti avevano della propria città. Il risultato era stato talmente significativo che alcuni pensieri dei cittadini erano stati stampati su grandi post-it ed appesi per le vie, dove sono rimasti per mesi: argomenti di discussione per passanti con il naso all’insù, tutti in (pigra) attesa di qualcosa di non ben definito in grado di cambiare le cose, tra nostalgici ricordi di una città che non c’era più e sfocate speranze per una città che non c’era ancora. Più o meno gli stessi discorsi che sentiamo oggi, affacciati dai balconi o mascherati ed ordinatamente in coda al supermercato.

Abbiamo sempre demandato. Abbiamo sempre rimandato. Ora quel qualcosa è arrivato, anche se in una forma inaspettata. Questo tempo sospeso rappresenta un’occasione, forse l’ultima, per salvare il pianeta nella forma che conosciamo (probabilmente l’unica in grado di ospitarci).

È una prova di resilienza a livello globale. Dobbiamo sviluppare un approccio in grado di rendere strutturale la resilienza di città e comunità urbane. Dobbiamo prendere atto che in futuro il cambiamento sarà l’unica costante. La fase di transizione deve inevitabilmente essere accelerata: il rinnovamento urbano non potrà però attuarsi senza una contemporanea rigenerazione politica e sociale.

È il momento di scelte coraggiose, radicali. È il momento nel quale noi architetti possiamo (dobbiamo) riappropriarci del nostro ruolo nella società contemporanea: riscoprire la nostra dimensione sociale, accanto a quella tecnica che (forse) non abbiamo mai smarrito, in modo da poter essere artefici e garanti del nuovo paesaggio urbano.

Dobbiamo quindi elaborare strategie per affermare l’importanza del progetto di architettura per la rigenerazione urbana ed ambientale, favorire la complessità in ottica sostenibile.

Dobbiamo superare la (falsa) dicotomia tra l’architettura di qualità, quella con la A maiuscola, e l’architettura come esito di un processo partecipativo aperto a tutti: dobbiamo assumerci il ruolo di facilitatori dello sviluppo della creatività e dell’innovazione. L’architettura può fare Comunità.

Re-impariamo ad anticipare il cambiamento, alleniamo la nostra visione del futuro. E torniamo ad essere creativi, intellettualmente e progettualmente creativi, senza scordare che la creatività si alimenta con la conoscenza.

Prestiamo attenzione alle periferie, ai luoghi di transizione, ai territori di confine, perché è in quegli ambiti che la natura (anche quella umana) solitamente dà i suoi frutti migliori.

Progettiamo città resilienti, flessibili, costituite da spazi ibridi in grado di assolvere più funzioni; ma non dimentichiamo di lasciare dei vuoti, dove la natura e gli uomini possano trovare propri spazi e propri tempi, e costruire nuovi luoghi sociali.

Impariamo a progettare e a programmare il riuso, adottando anche soluzioni temporanee, effimere, capaci di riportare funzioni nei luoghi e poi di scomparire, o di trasferirsi altrove.

Guardiamo al verde urbano come vitale risorsa (anche) economica per le città, come vero materiale del progetto urbano e non come mascheramento degli errori.

Progettiamo le città e le abitazioni per i soggetti più fragili: ne beneficerà tutta la comunità.


Il testo è stato scritto da Marco Pesce per il progetto Fabbricare Fiducia – Architettura, una call bandita da Cityvision e Farm Cultural Park volta a selezionare 100 testi per coinvolgere gli architetti nel dibattito sugli sconvolgimenti globali dovuti alla crisi virale innescata dal Covid-19.
Ideato nel 2013 da Farm Cultural Park, Fabbricare Fiducia è un percorso nato per facilitare la crescita culturale, il senso di appartenenza e la voglia di miglioramento delle nostre città puntando sulla fiducia per la costruzione di un futuro migliore. La nuova sezione, dedicata all’architettura, è curata da Francesco Lipari (OFL Architecture e Cityvision).
I testi sono reperibili sul sito web e sulla pagina Facebook di Cityvision.
Si ringrazia la rivista Cityvision per la gentile concessione.

(*) Marco Pesce è architetto libero professionista. Nel 2001 figura tra i soci fondatori dell’Osservatorio del Paesaggio per il Monferrato e l’Astigiano, per il quale ha collaborato alla realizzazione di numerosi eventi; dal 2002 al 2019 è responsabile della Commissione Cultura dell’Ordine degli Architetti PPC Asti, ed ha curato la realizzazione di mostre, workshop e convegni; tra gli ideatori del format “A.S.T.I. FEST – Festival dell’Architettura Astigiano”, dal 2013 è Direttore Organizzativo della rassegna triennale e ha curato la realizzazione delle edizioni 2013-2016-2019; negli anni 2014-2015 è stato membro del Comitato scientifico del progetto “Architetture sottili – Piccoli interventi di agopuntura urbana”, realizzato dall’Ordine degli Architetti astigiano. È interessato ai temi della rigenerazione urbana, del design sociale, della progettazione partecipata, della diffusione di pratiche innovative di amministrazione e gestione condivisa dei beni comuni.

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