di Massimo Longo.
Apprendiamo dalle pagine astigiane de La Stampa una rassicurazione di Giuseppe Francese, Presidente della Commissione Consigliare per il Commercio e Sviluppo del Comune di Asti, indirizzata a diversi commercianti al dettaglio astigiani preoccupati: nel vecchio Mulino di Asti sarà trasferita un'attività commerciale già operante in zona, e non un insediamento ex novo. Inoltre, il Presidente Francese ci mette un carico: si tratterà di un “grosso intervento di riqualificazione urbanistica che migliorerà notevolmente l'immagine di uno dei più importanti ingressi urbani della nostra città qual, è (sic) corso Savona”...
Le caratteristiche del progetto annunciato ci parlano di un supermercato su due livelli (piano terra e seminterrato con parcheggi), superficie lorda complessiva di 1.823 mq, superficie di vendita effettiva pari a 898 mq. Operazione urbanistica “in autoriconoscimento”: significa che non è stata una decisione politica dell’attuale amministrazione, ma un intervento deciso dalla società immobiliare che detiene la proprietà.
Interventi urbanistici previsti:
- Ottimizzazione della rotonda tra corso Savona e via Cuneo per rendere più fluido il traffico in entrata e uscita dal polo commerciale.
- Realizzazione di una rotatoria in parte sul sedime della strada esistente e in parte su area ceduta per viabilità.
- Nuovo marciapiede.
Pur dubitando del fatto che il traffico in uno dei punti dove puntualmente si creano incolonnamenti in entrata o in uscita dalla città non ne sarà influenzato, secondo l’amministrazione si migliorerà l’immagine dell’ingresso alla città. Ciò è consolante.
Quello che non sembra tuttavia migliorare è il livello amministrativo e imprenditoriale: possibile che l’unico orizzonte di sviluppo ad Asti sia quasi sempre legato al comparto commerciale? Con quello che già c’è, e l’altro plesso in progetto in corso Alessandria comprendente un supermercato del gruppo Aldi, siamo proprio sicuri che ad Asti l’offerta commerciale non sia già abbondante?
Forse si potrebbe azzardare qualcosa di più sul versante produttivo.
Un altro progetto
A tal proposito, segnalo un progetto ENEA di recupero degli edifici abbandonati di cui riferisce l’ANSA al link http://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/green_economy/2020/01/09/edifici-abbandonati-diventano-serre-verticali-_196dca08-f381-4dcb-bfca-7675829e8088.html.
Proviamo a ragionare un attimo sul Vecchio Mulino per comodità di esposizione. Sebbene chi scrive non frema di eccitazione per la pur promettente coltivazione idroponica, si potrebbe dire che “riqualificare capannoni dismessi ed edifici abbandonati come caserme, magazzini e case cantoniere creando serre verticali a coltivazione idroponica, ovvero fuori suolo, che garantiscono una maggiore produzione di verdure con minimo consumo di acqua e senza uso di pesticidi” sia una prospettiva più interessante e innovativa di un nuovo centro commerciale.
Nulla vieterebbe poi di integrare la produzione di ortaggi/frutti con la loro trasformazione: date le dimensioni dell’ex mulino, se alcuni piani venissero occupati dalle serre, altri potrebbero ospitare piccoli laboratori specialistici di trasformazione delle materie prime, provenienti in parte dalle serre idroponiche ma, perché no, anche dalle produzioni agricole in campo dell’area astigiana e non solo, e finanche dalle eccedenze rimanenti dalla sovrabbondante distribuzione commerciale.
Quindi, premesso che andrebbe fatta una puntuale valutazione sulla solidità e stabilità della struttura, nonché sui rapporti aero-illuminanti dei locali esistenti per valutare gli interventi di adeguamento del caso, si potrebbe azzardare, in alternativa alla demolizione e sostituzione con un supermarket, un intervento più organico in un’ottica di sostenibilità.
Tanto per fare un esempio.
- Al piano terra e al 1° piano piccoli impianti diversificati per la macinazione di cereali (con glutine e senza) e legumi: verrebbe mantenuta la destinazione originaria dell’edificio in un’ottica diversa.
- Man mano che si sale, impianti di trasformazione dei vegetali: laboratori artigianali dedicati per la produzione di ortaggi/frutta/cereali/legumi fermentati, aceti di frutta, conserve vegetali in scatola (sottoli e sottaceti), confetture di frutta e similari, creme e salse, vegetali essiccati. Infine, le serre idroponiche, per offrire materie prime con continuità.
- Nelle altre parti del complesso: magazzini, eventuale laboratorio di analisi, uffici, mensa (ovviamente rifornita dalla produzioni del Mulino), sili, aree di carico scarico, centrale termica, e tutto quanto altro può servire.
- Sul tetto: impianto fotovoltaico.
Il tutto, finanziato con fondi pubblici o un project financing condiviso, potrebbe essere affidato a piccoli imprenditori agricoli e/o cooperative di giovani e non.
Collaborazioni con Istituti Agrari e Università sarebbero ovviamente le benvenute.
Insomma, uno spazio di co-working agro-alimentare avanzato, trait d’union tra città e campagna, come già pensato in altre sedi (vedi http://www.ciapd.it/it/S/farmers-lab-48) e nel solco di molti degli obiettivi dell’Agenda 2030 (https://unric.org/it/agenda-2030/).
D’accordo, nel Mulino la partita pare ormai chiusa. Ma l’idea mi sembra comunque buona. Magari si potrebbe fare nello spazio lasciato vuoto dal supermarket che si trasferirebbe…