di Alessandro Mortarino.
E' almeno dal 2010, cioè dal giorno in cui il patron di Agrivillage Luca Bastagli Ferrari incontrò una folta delegazione di aderenti al Movimento Stop al Consumo di Territorio astigiano, che sosteniamo lo scarso appeal che questo progetto riveste per il tessuto sociale ed economico di Asti. Ora l'amministrazione comunale pare avere deciso di voler dare il via libera all'Agrivillage e ci chiediamo quali siano le profonde motivazioni per questa scelta, che ci pare basata su tre elementi essenziali: nuova occupazione, rilancio economico ed imprenditoriale, oneri di urbanizzazione. Proviamo ad analizzare qualche aspetto ...
Parlo di tre elementi essenziali ma, in realtà, il terzo è più un correlato: Agrivillage (come qualunque progetto di nuova edificazione) potrà portare nelle casse comunali del denaro "fresco" derivante dalla quota di oneri di urbanizzazione che verranno stabiliti. Denaro che potrà essere in parte utilizzato per le spese correnti.
Credo sia quasi superfluo ricordare che l'ingresso di una somma liquida circolante di questo genere può essere considerata utile solo per fini meramente - appunto - di cassa immediata, poichè i costi che il Comune dovrà sostenere per gli effettivi lavori di urbanizzazione equivarranno a quanto incassato in un periodo, mediamente, pari a 5/7 anni (e mi tengo largo ...). Dopo questo tempo il saldo sarà in passivo: gli oneri versati una tantum dalla proprietà di Agrivillage non saranno sufficienti a coprire le spese costanti di manutenzione pubblica che il Comune dovrà sopportare.
Non credo, quindi, che questo aspetto possa costituire una "buona ragione" per appoggiare il progetto.
Dunque i punti cardinali restano i primi due. Che sono l'assillo principale di qualunque amministrazione pubblica: occorre generare occupazione e dare una svolta al letargo economico.
Analizziamo gli aspetti legati all'occupazione, che possiamo scorporare in due momenti: l'occupazione generata dalla costruzione del "finto borgo monferrino" e quella successiva derivante dal suo esercizio.
Sulla prima mi pare evidente che decine di società (del luogo ? ...) e centinaia di lavoratori potrebbero essere coinvolti per un periodo di alcuni mesi-anni. Finita la costruzione, cessata l'occupazione.
Vale, in questo caso, quanto varrebbe per qualunque altra opera di nuova edificazione. Mi pare quindi che il progetto in sè porterebbe solo una minima "ventata" di sollievo economico ed occupazionale e per un breve periodo. Nulla di "strutturale. Dunque nessun beneficio nel tempo; poco interessante per la collettività, direi ...
Una volta in attività, Agrivillage - come ci dice il sito http://www.agrivillage.com - "può creare centinaia di nuovi posti di lavoro".
Quanti posti di lavoro ? (Tre anni fa Bastagli Ferrari parlava di 400 oppure 500, a seconda del suo umore del giorno ...).
Quale tipo di occupazione: precaria o a tempo indeterminato ? Con contratti che prevedono le domeniche rigorosamente lavorative e otto ore giornaliere non consecutive, come accade abitualmente nella GDO ?
E siamo sicuri che nuovi occupati all'interno dell'Agrivillage non corrispondano ad una (ulteriore) contrazione dei lavoratori - e delle aziende - del comparto del piccolo commercio ?
Secondo uno studio della CGIA di Mestre tra il 2001 e il 2009 in Italia la grande distribuzione ha aumentato la superficie di vendita del + 64,6% (passando da 2.066.318 a 3.401.913 mq di superficie di vendita), mentre le attività di commercio al dettaglio sono diminuite di oltre 51.000 unità. Se si considera che mediamente una piccola attività commerciale garantisce lavoro a circa 2,5 addetti, la CGIA ha stimato che si sono persi quasi 130.000 addetti. Per contro, la grande distribuzione ha aumentato il numero di addetti di circa 21.000 unità.
Vale a dire che per ogni lavoratore che ha trovato un’occupazione nei centri commerciali, si sono persi 6 posti di lavoro tra i piccoli negozianti.
Secondo il presidente di Confesercenti Asti, Mauro Ardissone, il rapporto può essere calcolato in chiave astigiana in misura più contenuta, su base 1 a 3: ogni nuovo occupato nella GDO corrisponde a tre lavoratori in meno nel piccolo commercio.
Sono dati che mi auguro i nostri amministratori comunali conoscano e siano di preciso riferimento per una scelta che tenga conto della attuale crisi: nei primi otto mesi del 2013 ben 101 negozi hanno abbassato la saracinesca, contro i 41 che hanno aperto: il saldo è di -60, il 5% in più rispetto all'anno precedente. In città il saldo è di -34, con 19 aperture e 53 chiusure. Su quattro negozi di alimentari inaugurati, nei primi otto mesi del 2013 ben otto hanno chiuso.
Immagino che qualcuno mi risponderà: "Agrivillage non è un soggetto della Grande Distribuzione Organizzata, ma un'attività di tipo specialistico".
Ditemelo pure, le dimensioni del progetto parlano da sole senza bisogno di sottilizzare sulle "sigle".
E le dimensioni noi le avevamo già raccontate ampiamente nel 2010, dopo avere incontrato Bastagli Ferrari, dopo averlo ascoltato in una sua lunga "orazione" pubblica a Rocchetta Tanaro nell'ambito del Festival del Paesaggio Agrario e attingendo da un CD promozionale che lui stesso ci aveva omaggiato in quell'occasione: trovate tutto qui: https://www.altritasti.it/index.php/archivio/ambiente-e-territori/849-agrivillage-la-plastificazione-della-cultura-astigiana
Non so se oggi qualcuna di quelle previsioni o l'ossatura dello stesso progetto siano cambiate. Di certo qualche trasformazione profonda è avvenuta: la società che propone l'Agrivillage in diverse città italiane ora non è più la Global Real Estate Solutions srl, ma la Arcoretail - Retail & Management Company del Gruppo Arcotecnica.
E le città che allora ci furono raccontate come quasi "certe" sedi ospitanti dei 5 centri Agrivillage in Italia sono tutte scomparse. Tranne Asti ...
In quell'occasione Bastagli Ferrari aveva puntato sulla richiesta perentoria: "se l'amministrazione non ci fornirà l'autorizzazione a procedere entro sei mesi, rischiamo di perdere l'appuntamento con Expo 2015 e in tal caso abbandoneremo il progetto di Asti e realizzeremo l'Agrivillage in un'altra località piemontese". Sono passati oltre tre anni e l'Expo 2015 è ormai alle porte. Ma l'Agrivillage ad Asti è ancora (di nuovo) in auge.
Oggi, come allora, la sensazione che ci rimane è che Agrivillage sia un puro business e ben poco importi ai suoi proponenti la valorizzazione di un territorio che, invece, deve interessare agli astigiani e ai suoi amministratori.
Perchè Agrivillage consuma suolo, consuma territorio, delinea una dimensione dell'astigiano: finta, ricostruita, innaturale. Mentre ciò che il nostro territorio possiede è proprio una infinita serie di proposte di turismo dolce e sostenibile che necessitano di una regia accorta, di un piano, di una buona "narrazione" sul fronte della comunicazione e della promozione, ora assente.
Prodotti del territorio, paesaggi, panorami, cultura, botteghe vitali, terreni da riportare in vita, dialogo tra produttori e consumatori, tra ospitanti e ospiti.
Lungo una catena di borghi e di strade della scoperta. Al centro di piazze e non di centri commerciali. In una "città diffusa".
In un territorio, il Monferrato, che attende da sempre di essere valorizzato e promosso.
Con giovani che cercano chance, qui e non altrove.
Con Reti di Economie Solidali che si affacciano timidamente senza raccogliere attenzione.
L'esatto opposto di Agrivillage.
Asti o plASTIca ? ...