Gian Andrea Franchi è un docente di filosofia in pensione, ha 84 anni e con la moglie Lorena Fornasir, 67 anni, psicoterapeuta, ha fatto nascere due anni fa l‘associazione di volontari Linea d’Ombra, diventata a Trieste un punto di riferimento nell’accoglienza ai profughi che percorrono la “rotta balcanica” e arrivano stremati in Italia dopo aver camminato per settimane. Alle 5 del mattino di qualche giorno fa la polizia di Trieste si è presentata in casa loro per acquisire documenti, telefoni e computer alla ricerca di prove per un’imputazione di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina...
Io rivendico il carattere politico, e non umanitario, del mio impegno quinquennale con i migranti.
Impegno umanitario è un impegno che si limita a lenire la sofferenza senza tentar d’intervenire sulle cause che la producono.
Impegno politico, nell’attuale situazione storica, è prima di tutto resistenza nei confronti di un’organizzazione della vita sociale basata sullo sfruttamento degli esseri umani e della natura portato al limite della devastazione (come la pandemia ci mostra).
E' inoltre tentativo di costruire punti di socialità solidale che possano costantemente allargarsi e approfondirsi.
Su questo impegno è balzato lunedì scorso alle cinque del mattino, con una perquisizione in casa mia, un intervento calunnioso di magistratura e questura che, basandosi su un aiuto effettivo di assistenza e ospitalità, dato nel luglio del 2019 a una famiglia iraniana, composta da padre, madre e due bambini, vogliono collegarmi a una rete di sfruttatori (passeur) che avrebbe, prima e dopo il mio intervento, approffittato della famiglia profuga.
Secondo il mio sentire non sarebbe nemmeno il caso di alzare le spalle nei confronti di questa insinuazione, che neanche giuridicamente mostra prove ma crea solo insinuanti parallelismi temporali.
Tuttavia, ci sono di mezzo oltre alla mia persona, anche coloro che collaborano con me.
Credo, allora, doveroso affermare pubblicamente che non esiste neanche uno straccetto di prova.
Esiste solo l’insinuazione che, essendo stata questa famiglia contattata e usata da alcuni trafficanti (secondo gli inquirenti), io avrei potuto non solo esserne a conoscenza ma trarne addirittura un mio personale profitto.
Ritengo che ciò, che nel documento presentatomi è mera allusione, sia soltanto una sorta di macchina del fango che si vuol gettare non tanto sulla mia persona ma su un lavoro collettivo di solidarietà.
Gian Andrea Franchi, Trieste
IL MANIFESTO DEL CARRETTINO VERDE
Un ponte di corpi lungo i confini tra Italia e Bosnia.
Oggi si manifesta pienamente un attentato alla vita: dalla madre terra, come la chiama Vandana Shiva, da una natura sistematicamente devastata, a un interminabile processo di distruzione ovunque nel mondo: stiamo assistendo a una specie di trionfo della morte.
Il carrettino verde, carico di cose per far vivere, che accoglie chi riesce a varcare il bordo mortifero del confine, è invece storia e memoria di una pratica della cura che le donne conoscono bene, non come gesto sacrificale ma come competenza di stare, essere in presenza dell’altro, conosciuto o sconosciuto,
perturbante o estraneo.
La donna con il suo corpo pensante, è l’anticonfine per eccellenza.
Il corpo della donna contiene in se stesso la negazione del confine perché è un corpo naturalmente aperto attraverso l’atto più intenso del generare, del portare alla luce l’ALTRO da SÉ.
La cura per l’altro può diventare il ricamo di una mappa creativa dove l’amore tiene assieme i legami spezzati da una parte all’altra del mondo. Madri lontane, in un mandato tacito e di dolore, ci consegnano la vita dei loro figli.
Noi siamo coloro che possono dire no allo scontro di razza, perché nel mondo dei morti nessuno è inferiore all’altro.
Noi siamo coloro che dicono no al razzismo, perché da sempre siamo state la prima razza considerata inferiore proprio in quanto geneticamente aperte alla vita e sue portatrici: questa condizione ‘naturale’ è diventata storicamente un servizio!
Noi siamo coloro che gridano al mondo che non c’è nessun dio e nessun bene, quando migliaia di essere umani muoiono a causa dei confini.
Noi siamo coloro che maledicono i confini perché quelle strisce di terra o di mare sono bagnate di sangue, selezionano chi può passare e chi no, chi può vivere e chi può morire, chi può essere torturato e chi può essere deportato.
Noi siamo coloro che vogliono alzare alta la voce della maternità, che è la voce della solidarietà, della vita che altre donne hanno generato consegnandola ad altre madri del mondo affinché la salvino e la promuovano.
Vorremmo essere in tante ad accorrere sul confine, ad attraversare il confine, ad andare incontro a chi è bloccato nell’inferno della Bosnia, in gruppo, in massa, a ribellarci alla morte... Noi lo possiamo fare meglio di chiunque...
Costruiamo un movimento di donne per aprire tutti i confini.
Lorena Fornasir, Trieste