di Giulia Faraci.
Cosa si intende per processo decisionale per consenso?
Si tratta di un metodo che nasce all’interno di una ricerca di gruppi nonviolenti che cercavano una modalità per decidere che fosse rispettosa dei valori della nonviolenza. Il gruppo che usa questo metodo decisionale cresce progressivamente nell’ascolto e nella valorizzazione reciproca. L’obiettivo è quello di arrivare a scelte che siano arricchite da tutte le diversità presenti, apportando così un valore maggiore alla decisione finale. Si tratta di un processo faticoso e non indolore perché nel percorso di apprendimento e sviluppo del metodo a volte bisogna affrontare molti nodi critici...
Roberto Tecchio, che a livello italiano ha più approfondito questo metodo, ha messo in luce come ci siano degli elementi basi fondamentali che sono: la dimensione della fiducia e del disaccordo: colui che deve prendere decisioni necessita di un certo grado di fiducia, non si può sviluppare il processo se si pensa che gli altri possano agire in “malafede”, in tal caso si risponderà col disaccordo.
Questo metodo viene utilizzato da PBI Italia in gruppi che riscontrano difficoltà in alcuni passaggi soprattutto nella parte finale del percorso decisionale. Come detto la fiducia è fondamentale. Il processo comincia con l’esplorazione del tema e la definizione dei criteri che si configurano come i paletti all’interno del quale questa decisione si colloca.
In questo caso bisogna avere chiaro quale decisione prendere avendo ben in mente le informazioni che si possiedono. Una volta discusso si producono più risposte. Può capitare che il gruppo sia d’accordo già nell’agire attraverso una o più proposte, se questo non accade il lavoro da fare è ricercare il motivo di disaccordo, esplorare le possibili soluzioni e elaborare nuove proposte.
Dopo ciò la gamma delle proposte che si presentano sono quattro: l’accordo che porta al consenso, il disaccordo che può comunque portare al consenso in assenza di alternative migliori, lo stare da parte altra declinazione del disaccordo ovvero se il disaccordo è tale da dare il consenso ma non si contribuisce alla realizzazione della decisione. Vi è infine l’opzione di blocco ovvero si chiede al gruppo di non prendere quella decisione, questa può essere avanzata solo se le motivazioni sono collegate a valori che riguardano lo statuto del gruppo o se può portare a conseguenze negative. Ovviamente nell’intero processo il confronto in gruppo deve sempre avvenire in maniera costruttiva.
Inoltre è fondamentale tenere traccia delle decisioni e delle riflessioni in modo che l’intero gruppo abbia bene in mente il lavoro che si sta svolgendo. Tutto il valore di decisione infatti si riassume nel riepilogare con chiarezza la decisione presa.
Perché è efficace come metodo?
Perché impedisce l’emergere di leadership implicite, inoltre decidere per maggioranza o per votazioni può produrre dittatura della maggioranza o può portare a un progressivo disimpegno. Le decisioni prese con questo metodo sono più condivise e portate avanti con decisione proprio perché più ricche di punti di vista differenti.
Criticità: questo metodo richiede un gruppo che sia disposto a mettersi in gioco, persone che non siano convinte a priori di avere la migliore risposta e molta pazienza nel cercarsi di migliorare .La criticità maggiore è l’investimento di tempo perché si tratta di percorsi molto lunghi e impegnativi.
Contesto valoriale: pensare al noi e non all’io, inserirsi in una dimensione in cui non si parli mai in prima persona. L’equipe infatti è formata da più membri che aspirano a un mondo in cui un opinione difforme non risulti un tradimento.
Rischi di questo metodo: una delle cose che può succedere è la paralisi decisionale, ovvero quando un gruppo non è in grado di decidere, i membri attivi in genere si allontanano perché credono di non riuscire a fare abbastanza.
Cosa fa un facilitatore/trice?
Ruolo che spetta a turno a ciascun membro, possiede diverse responsabilità ed è fondamentale che non sia coinvolto in prima persona nella decisione in modo da risponderne il più oggettivo possibile. Il facilitatore chiarisce la decisione da prendere, cura la messa per tempo a disposizione, le fasi, il clima e lo spazio di espressione. Ha il compito inoltre di creare strumenti per facilitare l’intero processo.
Oltre ciò segnala percezioni di inquinamento del clima nel gruppo e verifica formalmente il consenso. Le accortezze che deve assumere sono: valutare il tempo necessario per confrontarsi, rendere chiaro il modus operandi con cui si andrà ad agire e formare in questo senso il gruppo.
Le sfide che affronta il facilitatore sono principalmente quelle di aiutare l’equipe ad avere consapevolezza delle emozioni, catalizzare l’energia del gruppo ed equilibrare il potere del gruppo come insieme di leadership diverse.
Come si traduce nella pratica?
Lo racconta Valentina con la sua esperienza in Honduras. Il metodo del consenso era sintetizzato da un’assemblea che si svolgeva una volta l’anno dove si prendevano le decisioni maggiori. Durante l’anno ovviamente si svolgevano i vari incontri decisionali che riguardavano questioni giornaliere. La domenica invece, attraverso la facilitazione diffusa avveniva un incontro dove a turno si proponevano idee.
Un aspetto da non trascurare sono le relazioni interne, importanti perché hanno il potere di influenzare fortemente le decisioni professionali. Per trattare i diversi temi settimanali si svolgeva la ‘rondas de ondas’ dove ogni membro del gruppo poteva esprimere le proprie idee e condividere emozioni e stati d’animo.
In questo senso è molto importante la figura del facilitatore che deve sempre assicurarsi che ci sia un equilibrio e che non passi mai l’idea che le persone che sono da più tempo sul campo abbiano un peso maggiore rispetto ai nuovi arrivati.
Fondamentale è cercare infatti di appiattire eventuali conflitti che possono avere ripercussioni sul lavoro. Difficoltà ulteriori si riscontrano nelle decisioni che hanno a che fare con la sfera personale, la scelta semplicemente di comprare dei piatti o un microonde necessita del consenso di tutti.
È normale, sottolinea Valentina, la formazione di alcuni conflitti interni: in questo caso i membri sono sempre appoggiati da un comitato di salute mentale che ha il compito mediare questi diverbi.
Riflessioni
La parola ‘consenso’ etimologicamente significa lavorare insieme. L’assunto principale per la riuscita di questo metodo, come ampiamente spiegato, nasce dall’importanza della leadership di ciascun membro affinché le decisioni prese siano cooperative e non coercitive.
Lavorare tenendo bene in mente il ‘noi’ e non l’‘io’ non si configura solo come pilastro portante dell’equipe PBI ma anche dell’intera comunità internazionale. Intensificare una cooperazione internazionale potrebbe significare alzare l’asticella per il raggiungimento di molti obiettivi come la salvaguardia del pianeta o il rispetto di diritti umani in aree critiche del mondo.
Concluderei riscontrando che il metodo decisionale per consenso ha una sorta di matrice con la Sociocrazia di Comte. Egli la descrive come una governance dinamica: un sistema di gestione che si pone l’obiettivo di arrivare a soluzioni che creino sia un ambiente socialmente armonioso che organizzazioni ed imprese produttive, pertanto molto simile al processo descritto in questo seminario.
Oggigiorno è un metodo molto usato, infatti attraverso la re-distribuzione delle decisioni per aree di competenza, il processo decisionale fa si che tutte le persone interessate alla decisione da prendere siano coinvolte a pieno, pertanto quest’ultima sarà maggiormente supportata, applicata più velocemente e con maggior efficienza. Dunque, nonostante si tratti di una teoria ottocentesca risulta più attuale che mai nello schema di azione odierno.
Tratto da: https://serenoregis.org/2020/11/27/decidere-per-consenso-giulia-faraci/