di Daniela Grassi.
Domenica 8 dicembre, a Vinchio, Nicoletta Fasano e Mauro Forno, ricercatrice e presidente dell’ISRAT, hanno presentato, insieme all’autore Mario Renosio che dell’ISRAT è direttore scientifico, il libro “Attila, Pepe e gli altri: la lotta partigiana tra il Monferrato e le Langhe”.
Nel salone della Confraternita, dove è stato proiettato anche il documentario “Resistere in collina” (ISRAT 2006), regnava un’atmosfera permeata da molte emozioni...
Quelle delle persone che lo gremivano e che conoscono bene il lavoro prezioso dell’ISRAT e lo seguono da anni; quelle dei figli e dei famigliari di quei partigiani di cui si parla nel libro, che comparivano nel filmato e che ora non sono più fisicamente con noi e quelle dei relatori e dell’autore stesso che da 35 anni lavorano con passione, professionalità e abnegazione, senza mai retorica o esaltazione, alla ricostruzione di una delle epoche più importanti e fondamentali della storia italiana, un periodo che i libri di storia chiudono un po’ sommariamente tra le date dell’8 settembre 1943 e del 25 aprile 1945, un tratto cronologico molto breve, ma talmente denso e d’una tale forza da poter continuare a generare discussioni, studi e dissidi a 75 anni da quegli avvenimenti.
Perché l’interpretazione di quei giorni cambia e si sviluppa man mano che nuovi documenti sono messi a disposizione degli storici, ovviamente se vera ricerca storica si vuole fare e se agli storici vengono dati i mezzi per farla.
La storia spesso somiglia ad una psicanalisi della comunità: portando tutti noi a consapevolezza dei meccanismi dell’accaduto, cambia la nostra visione delle cose del passato, ma anche di quelle del presente che ne sono figlie e della nostra capacità di generare il tempo a venire.
E questo era quello che si percepiva nel salone della Confraternita domenica pomeriggio: la comprensione della continuità delle nostre storie rispetto a quelle di persone e di giorni per un verso ormai così lontani e per un altro così presenti, tanto da avvertirne le idee, le paure, i conflitti, le disperazioni e le speranze mescolate nelle trame del nostro quotidiano.
O, chissà, forse in quelle del nostro DNA.
Essenziale è esserne consapevoli e renderne consapevoli le nuove generazioni, smontare le semplificazioni in favore dell’oggettività. Tutti noi dobbiamo considerare la nostra storia come un diritto esigibile, come un elemento fondamentale di civiltà a cui non si può rinunciare.
Per Attila, Pepe e tutti noi.