di Alessandro Mortarino.
Rientrato dalla sua quarta missione di soccorso in mare aperto a bordo dell'ormai famosa nave Aquarius della Ong SOS Méditerranée, Alessandro Porro è tornato nella sua Asti per raccontare i dettagli di una tragedia che sembra non avere mai fine e che troppo spesso appare lontana e, dunque, trascurabile. Ma le parole non bastano e Alessandro - nell'incontro di sabato 24 novembre - ha voluto usare un approccio fisico capace di raccontare in modo crudo la realtà dei fatti, l'odore delle persone in balia del mare, la disperazione dei volti, i corpi ustionati dal mix di acqua salata, urina, sudore e carburante ...
Alessandro ha iniziato il suo esperimento coinvolgendo 12 persone del pubblico, alcuni giovani studenti del laboratorio Caffelatte dell’istituto Castigliano e altrettanti adulti. A terra ha disegnato, con una cima della stessa Acquarius, i confini di uno spazio di un metro quadro e invitato i 12 a prendere posto all'interno di quell'angusto perimetro.
E' quello lo spazio "vitale" deciso da chi organizza i viaggi estremi per chi fugge dalla Libia: in ogni metro quadro (cioè 1 metro per 1 metro ...) devono starci 12 persone e ogni gommone finisce per contenere 150 persone. Alessandro dirà che quando i soccorritori raggiungono un gommone in avaria e vi contano meno di 150 persone, hanno certezza che la differenza numerica equivale ad altrettanti morti in mare.
Ragazzi e adulti iniziano ad entrare nel metro quadro a loro disposizione ma non è facile e dopo i primi lo spazio non pare potere contenere tutti. Sembra un gioco e, soprattutto i più giovani, sorridono ripetendo i loro goffi movimenti.
Alessandro cambia timbro vocale: non è un gioco ma la tragica riproposizione di una litania salmodiata da carnefici senza scrupolo.
Avanti. Avanti.
Per stare in 12 in un metro quadro non ci sono grandi alchimie: i più piccoli e deboli al centro, i più forti all'esterno. Tutti in piedi, tenendosi l'un l'altro come una catena umana disperata.
Avanti. Avanti. Ora il tono è duro e quasi violento. Non è più un gioco e una, due, tre persone escono dallo spazio: morti. In mare.
Siamo in mare, mare aperto. Onde, alte.
Alessandro spinge alle spalle qualcuno e tutto il restante gruppo di naufraghi della civiltà barcolla, beccheggia, rischia di cadere. Al centro una giovane si accascia e la catena umana si stringe ancora di più. Qualche palpebra inizia a sbattere: non è pianto ma è un'emozione forte.
Più dritta al cuore di tante altre parole.
Il senso del dramma (di persone, di un continente) è ora molto chiaro.
A noi il compito di raccontarlo a chiunque, ogni giorno, in ogni angolo del "nostro" mondo per tentare di scalfire, superare, annientare gli slogan che forniscono gli alibi per decisioni politiche sbagliate.
Ora l'Aquarius è sotto sequestro, incolpata di traffico illecito di rifiuti infettivi: il vestiario delle persone soccorse in mare (rifiuti pericolosi ...) smaltiti in maniera indifferenziata nei porti italiani. E' anche priva di una bandiera perchè Panama ha cancellato dai suoi registri - su pressioni dell'Italia - la nave divenuta ora "pirata".
E' uno dei tasselli della strategia del nostro Paese, dettata dal ministro Salvini. Aiutiamoli a casa loro. Cioè lasciamoli morire.
Il nostro Paese lo ha deciso.
Lo storico camerunese Achille Mbembe dice: «Il compito della frontiera è essere attraversata. E' a questo che servono le frontiere. Non esiste frontiera concepibile al di fuori di questo principio, la legge della permeabilità»...