di Gianfranco Monaca.
Le immagini del giornalista e del suo carnefice hanno emozionato tutti. Sono state considerate psicologicamente dannose e intollerabili dalla maggior parte dei reponsabili dei media e perciò sono rimaste sul network per poche ore, poi sono state oscurate, almeno per la parte più sconvolgente. Da circa duemila anni, invece, la spettacolarizzazione della morte cruenta per prolungata tortura di un innocente (con relativi carnefici di contorno) è stata considerata un “arredo sacro” e addirittura la sua ostentazione è stata resa obbligatoria per legge (in alcune società ierocratiche, compresa la nostra) persino nelle scuole dell'infanzia oltre che nei locali pubblici ...
La cosa merita una riflessione: o la crocifissione di Gesù (con tutto il suo orribile contesto storico) grazie a una didattica completamente controproducente è diventata una burla da baraccone che non impressiona nessuno, visto che alla sua descrizione tutti si sono assuefatti come alla pubblicità del dentifricio, e in tal caso dovremmo rivedere il nostro atteggiamento in merito; o siamo diventati incapaci di leggere la realtà quotidiana in chiave evangelica, per cui siamo incapaci di vedere nelle immagini del web (e in queste specialmente) la ripetizione della Crocifissione che ci accompagna lungo i secoli (Blaise Pascal se n'era già accorto nel suo secolo sanguinoso) e allora faremmo bene a prendere più seriamente il Vangelo, compreso il “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”, prima di moltiplicare gli armamenti e le missioni “umanitarie”.
Specialmente quando in contesto liturgico recitiamo a cuor leggero le terribili parole “Per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa”, dopo un esame di coscienza fin troppo approssimativo.
Si fa presto a parlare.