di Daniele Poto*.
Gli ingaggi dei tesserati in serie A risentono dell’effetto Covid molto meno di quanto accade nella società. Come dire che l’universo del football si rivela ancora una volta un mondo a parte, con le sue anomalie e le sue pretese di diversità. Come quella di riscattare una capienza degli stadi superiore alle attuali norme governative e di evadere dai temi stringenti della crisi...
Se la forbice di decremento del PIL è stimata, per l’Italia, nell’arco 12-18 per cento, gli ingaggi del massimo campionato sono calati del solo cinque per cento e con andamento irregolare presso le varie squadre. Inutile dirlo la graduatoria degli ingaggi è capeggiata dalla Juventus con 236 milioni di euro, mentre il fanalino di coda è lo Spezia con 22. La disparità degli emolumenti nei contratti è omologa alle ambizioni di classifica: lo Spezia, che stanzia per questa voce circa un undicesimo della Juve, è il principale candidato alla retrocessione anche se è di fresca promozione. Per quanto riguarda i singoli, evidentemente Cristiano Ronaldo tira la fila, mentre gli ultimi, a distanza infinita, per lo più giovani atti a completare la rosa, sbarcano il lunario con 10.000 euro lordi a stagione.
Tra le squadre relativamente virtuose, che si sono liberate di contratti pesanti, si segnalano il Milan (-25 milioni) e la Roma (-13) mentre Lazio, Inter e Atalanta hanno corroborato crescenti ambizioni con un appesantimento del monte ingaggi. Il totale complessivo in serie A ammonta a circa 1,3 miliardi. Nella squadra virtuale top per ingaggi sette giocatori su 11 sono juventini. L’evidente anomalia del sistema è che gli stipendi (aggiungiamo quelli degli allenatori: le pretese di Conte hanno fatto scuola e hanno decretato un innalzamento complessivo della categoria) incidono per l’80 per cento sulle entrate dei singoli club. E oltre il 50% in A e il 54% in B sulla voce costi. Senza alcun segno di autocritica, di ravvedimento e ridimensionamento. Riflessione che sicuramente sfugge a un giocatore come Ibrahimovic ma anche alla grande maggioranza di presidenti sempre sull’orlo del KO e dell’eterno lamento.
Dato che i ricavi per biglietti e abbonamenti determineranno, in questa stagione, una cifra assolutamente risibile, la chiave per uscire dall’angolo in cui il coronavirus ha messo il calcio è una svolta qualitativa ulteriore per i contratti con i broadcaster televisivi. Un gioco al rialzo che ha le caratteristiche di una bolla. E come tutte le bolle risente di una permeabilità stringente. La RAI si è sottratta in partenza dall’asta, tenendosi fuori da questa spirale di gioco al rialzo ma producendo un evidente vulnus per gli abbonati, che avrebbero il buon diritto di poter godere della visione dello sport più popolare del Paese. Rimangono in lizza due cordate. La prima offre 1,6 miliardi, la seconda 400 con una proposta di riacquisto dopo sei anni. Il terreno è scivoloso perché non si sa se il torneo 2020-2021 potrà essere disputato con regolarità, vista la minaccia continua di rinuncia delle squadre, con il contraddittorio ricorso ai 3-0 a tavolino, a cominciare dalla partita fantasma Juventus-Napoli (https://volerelaluna.it/commenti/2020/10/08/juventus-napoli-la-partita-fantasma-e-il-silenzio-dei-calciatori/).
Il dato è che ogni società perde mediamente 1,6 milioni all’anno. E questo trend dura da almeno sette anni, acuito evidentemente dal galleggiamento negli otto mesi di pandemia. Ma il calcio è un sistema che non si auto-emenda da sé, meno che mai in un contesto di conflittualità tra il Ministero dello Sport e la Federazione.
Dunque un calcio sempre più ricco, nei suoi protagonisti, per un mondo sempre più povero. Quasi una metafora del mondo di fuori. Quello dei Delvecchio e dei Benetton e l’altro, poco rappresentato, dei sei milioni di poveri. Nonostante il reddito di cittadinanza!
*tratto da https://volerelaluna.it/societa/2020/10/15/il-mondo-e-piu-povero-ma-il-calcio-non-lo-sa/