di Alessandro Mortarino.
Lo scorso venerdì Rifondazione Comunista mi ha chiesto di animare un dibattito all'interno della sua Festa Rossa 2013 per ragionare di futuro, partendo dai due caposaldi suggeriti dal titolo proposto dagli organizzatori, che riprendiamo anche nella titolazione del nostro articolo. A discuterne il segretario nazionale del PRC Paolo Ferrero e il sottoscritto, nei panni di "pungolatore": una delle voci dei Movimenti - locali e nazionali - a stimolare la conoscenza delle nuove campagne di un partito ora non più rappresentato nel Parlamento. Ne è uscito un vivace confronto tra posizioni molto simili e anche discretamente divergenti ...
Chi era presente è in grado di commentare la portata del dialogo e gli obiettivi messi a fuoco.
Io vorrei limitarmi a raccontare la sensazione finale, assolutamente personale, che mi ha pervaso. E che sintetizzerei così: conosco migliaia di persone che ritengono sia ora di cambiare - davvero - il modello di società in cui vivere i prossimi nostri decenni; non sono però affatto certo che la politica (e la sinistra ...) sia pronta a mettere in discussione il modello di modernità attuale, ma solo a modificarne le distorsioni più evidenti.
Lo dico perchè le proposte illustrate da Ferrero parlano di un futuro in cui il lavoro e la piena occupazione siano al centro della scena decisionale e dunque grande priorità va data al lavoro "utile", cioè sostenibile, tanto da rendere urgente un cambio epocale di visione che stimoli la riconversione in senso assolutamente ecologico dell'economia e del sistema. E porti con sè la redistribuzione delle ricchezze e il finanziamento della spesa sociale.
Non conosco ancora il testo completo di quella proposta di legge popolare che il PRC si appresta a sottoporre alla sottoscrizione dei cittadini italiani, ma i "titoli" elencati da Ferrero sono tutti di indubbia condivisione.
Per parte mia ho, però, voluto sottolineare un punto che ritengo essenziale: occorre avere oggi la capacità e il coraggio di proporre un nuovo modello di società (cioè delineare utopie, consci che le utopie possono restare tali o trasformarsi in concretezze ...).
Basandoci su alcuni capisaldi.
1. Garantire la piena occupazione non deve significare offrire un lavoro a tutti, ma favorire una vita dignitosa a tutti, cioè il benessere (da non confondere con il "benavere"). Dunque non "un lavoro per tutti" ma "un reddito per tutti": e il reddito potrebbe/dovrebbe essere indipendente dal lavoro; ad esempio, potrebbe scaturire dalla semplice cittadinanza o dall'esercizio di attività (assistenziali, culturali, ambientali ecc.) non esclusivamente inquadrate nella casistica del lavoro che produce reddito. Oggi le Troike ci dicono che "di lavoro non ce n'è" ... io credo che di lavoro (utile) ce ne sia fin troppo, solo che questo lavoro utile non produce (oggi) reddito. E senza reddito una famiglia non campa. Dunque oltre al reddito per tutti occorrono anche i "diritti basilari" per tutti (una casa, l'istruzione, la sanità, i beni comuni ...).
2. Il nostro "nuovo mondo possibile" deve derivare dalla piena assunzione del fatto che la nostra società dei consumi è arrivata al capolinea e che il nostro pianeta non ce la fa più a riprodurre il suo stesso ecosistema (non lo dico io ma centinaia di fonti scientifiche e il recente Earth Overshoot Day, che ha indicato il 20 agosto scorso come data del "non ritorno": il mondo, in quel giorno, ha esaurito la propria capacità annuale di rigenerare le sue primarie fonti di vita, con più di quattro mesi di anticipo dalla scadenza solare del 31 dicembre; siamo in debito naturale con noi stessi e con le esigue forze delle generazioni future). Dunque questo modello va radicalmente cambiato, pena la scomparsa progressiva di uomo e natura. Ogni scelta politica deve partire da questo dato di fatto.
L'esistenza di tante "fabbriche della morte" (a Taranto come a Priolo, a Marghera come a Casale Monferrato) che però garantiscono occupazione e reddito popolare, non può più essere accettata ma anzi considerata ecocidio.
3. Il cambiamento non può limitarsi ad una nuova politica (nazionale, continentale, internazionale) ma deve poggiare anche sul pilastro del cambiamento individuale: ognuno di noi deve decretare la fine del consumismo nelle proprie scelte di vita e di acquisto quotidiane, e così riorientare il "mercato".
Ferrero ha sostenuto che, in fondo, l'odierna automobile alimentata da combustibili fossili (in via di esaurimento) e fonte di danni ambientali è però anche un "oggetto" di libertà (Enzo Ferrari dixit): non possiamo farne a meno.
Così come non possiamo "costringerci" alla rinuncia di sognare champagne e ostriche quando uno dei vizi capitali dell'uomo solletica i nostri istinti.
L'idea non solletica affatto me: non sarei per una "rifondazione consumista" ...
Insomma, gli elementi per estendere il dibattito spero ci siano. E sono lieto che i Movimenti (pur nelle loro umane limitatezze) continuino a sollecitare alla Politica una via maestra di grande spessore: è ora di proporre un "altro" modello di società.
La "gente" lo chiede, basta ascoltarla. E la "gente" significa anche "elettori" ...
La Politica lo comprenderà (prima o poi) ?
O i Partiti intendono continuare a riverniciare una casa dalle crepe sempre più ampie, anzichè intervenire sulle cause che generano quelle crepe ?
Le pratiche di "altra economia" che si moltiplicano in Italia come in Europa e in tutto il mondo sono esperienze da studiare e, magari, copiare.
Vogliamo continuare a curare una malattia oppure vogliamo debellare le cause che infettano e debilitano il nostro corpo ?