di Daniela Grassi.
Si sa, tutti lo dicono: le donne hanno la lingua lunga, tre donne fanno un mercato e così via.
Si, è vero: quasi tutte le donne quando si ritrovano riempiono gli ambienti di un immediato chiacchiericcio, spesso eccessivo. Tanto è vero che io stessa, che sono donna, fin dall’infanzia da questo chiacchiericcio, fatto di parole, di risa, di voci acute che si alzano troppo, sono stata infastidita e spesso me ne sono allontanata ...
Eppure, crescendo e vivendo, mi sono accorta come dietro quell’accavallarsi di voci che in certi momenti può parere fatuo e stridente, si nasconda un segreto che ognuna di noi porta ormai quasi nel suo genoma e che si chiama Silenzio.
Il più delle volte, purtroppo, non si tratta di un silenzio ricercato, quello in cui la mente e l’anima si espandono ed abbracciano il suono dell’Universo.
Si tratta del silenzio imposto da millenni di storia al maschile, un silenzio pesante e violento che ha annullato per secoli la presenza femminile al di fuori della sfera domestica e famigliare, che ha relegato in stanze chiuse la dimensione del femminile, dichiarata inferiore e temuta al tempo stesso.
Si traversano secoli d’arte, architettura, pittura, musica, letteratura, senza quasi incontrare il nome di una donna; si risale fino a ieri la storia dell’economia, del commercio, della scienza e della donna non c’è traccia. Tutta una parte dell’umanità, quella che ha generato l’umanità, tace all’interno della storia e anche se di recente, almeno qui in occidente, le cose sono in parte cambiate, spesso fermandosi ad ascoltare, si sente a tutt’oggi, come una pietra sul cuore, l’enorme peso di quel soffocante ed imposto silenzio.
Lo si sente dentro a noi stesse, che ancora troppe volte fatichiamo ad affermare i nostri diritti, ad essere semplicemente “persone”, nell’ambito sociale, lavorativo e famigliare, e lo si sente provenire, come un grido senza voce, ma altissimo dalle tante donne che accanto a noi, nelle nostre città, oppure lontanissime nello spazio e nell’impossibilità di essere aiutate, continuano a subire la prepotenza di tradizioni ataviche che tengono l’umanità legata alla catena delle sue radici più primitive. Dietro il fitto chiacchierare di noi tutte ci sono le prigioni e i bavagli dei corpi, delle menti e delle anime di quante, a tutt’oggi, non possono essere se stesse.
Il silenzio che stringe ancora troppe donne, fatto di violenza, di disprezzo, di pregiudizio e di finto e untuoso senso di protezione, è in assoluto uno dei peggiori delitti contro l’umanità e trova spesso la nostra società apparentemente evoluta, complice e a sua volta silenziosa.
Tutto ciò rende migliaia di donne, e di riflesso i loro figli, le più povere tra i poveri, le più profughe tra i profughi, le più calpestate tra i calpestati, le più fragili tra i fragili, le più paria tra i paria.
Senza le loro voci, senza le loro risa, soprattutto senza la loro speranza per se stesse e per i propri figli, non può esserci 8 Marzo festoso, né speranza vera per il mondo stesso.
Perché, al di là di ogni luogo comune, le donne, con le loro parole e le loro invisibili e puntuali azioni quotidiane sostengono il mondo, da sempre, nei momenti più delicati, dalla nascita alla morte: ninnananne, canti, parole d’amore, preghiere, favole, ricette di cucina, formule magiche, ricordi di famiglia, rimproveri e consolazione sono i sassolini bianchi sparsi senza sosta e senza rassegnazione da tutte loro lungo i sentieri del mondo.
E la Terra, come essere spirituale, guardata dall’alto, risplende di quei sassolini, mille volte più che delle luci di tutte le metropoli.