Dalla democrazia alla protezione dei poteri economici forti

Imagedi Gian Michele Accomasso.

Lo Stato ai tempi della globalizzazione.

Uno Stato sempre più succube dei poteri economici più forti i cui cittadini sono ridotti al ruolo di consumatori sempre meno solidali e costretti a trovare soluzioni individuali a problemi creati socialmente.

C'era una volta lo Stato democratico che svolgeva un ruolo di mediazione tra gli interessi contrapposti e cercava di tutelare le componenti più deboli della società (1).

C'era una volta lo Stato democratico che controllava la ricchezza che si produceva sul proprio territorio: faceva le leggi in modo autonomo e le amministrava, batteva moneta e riscuoteva le tasse (2) ...

C'era una volta lo Stato democratico che deteneva il monopolio della violenza: proteggeva legalmente i propri cittadini, perseguiva i criminali e comminava loro le pene adeguate, contrastava le organizzazioni illegali, in particolare le mafie, che cercavano di sostituirsi allo Stato in alcune parti del territorio, fornendo protezione privata (2).

Oggi, nel mondo globalizzato, questo Stato democratico non esiste più.

Lo Stato democratico è succube dei poteri economici privati che destinano la loro ricchezza ai paesi, solitamente ricchi, dove è garantita la maggiore redditività (bassi prelievi fiscali, riservatezza bancaria, tassazione ridotta) e concentrano l'attività produttiva in quei paesi, solitamente poveri, che garantiscono la maggiore flessibilità della prestazione lavorativa (bassi salari, restrizioni al diritto di sciopero e alla libertà sindacale) e un uso più libero delle risorse (assenza di normative antinquinamento (2) e a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori).

Di conseguenza lo Stato democratico non ambisce più a curare gli interessi generali delle comunità che vengono a trovarsi sotto la sua protezione (2), ma a curare gli interessi della sua componente economicamente e politicamente più forte in modo da canalizzare nel proprio territorio la ricchezza o le attività produttive dei grandi poteri economici privati.

Il 51% e anche più, della ricchezza mondiale è nelle mani delle grandi corporations, e a condurre l'economia non sono più gli Stati: gli Stati non contano più niente (3).

Ai tempi della globalizzazione non è più lo Stato che decide come tassare la ricchezza prodotta sul suo territorio, ma la ricchezza a scegliere dove essere tassata (2). Nel mondo odierno, infatti, circolano più soldi in quattro giorni sui mercati finanziari che in un anno nell'economia reale, come dire che oltre il 90% degli scambi valutari è pura speculazione (4). Si pensi, inoltre, che in uno Stato come la California, che, se fosse uno Stato indipendente sarebbe l'ottava potenza economica del mondo, il crollo delle entrate fiscali ha determinato una crisi fiscale dello Stato, con un deficit di bilancio di 40 miliardi di dollari, impossibile da ripianare visto che nessun politico osa proporre di aumentare qualche tassa. (5) Infatti l'indebitamento dello Stato democratico contribuisce a sua volta ad arricchire i grandi gruppi finanziari: per esempio, quest'anno il debito pubblico italiano produrrà una rendita finanziaria di quasi 80 miliardi di euro, il 70% andrà all'estero e l'80% finirà a istituzioni finanziarie. sempre quest'anno gli USA pagheranno 413 miliardi e l'Inghilterra 55 (6).

Ne consegue un potere politico che ha perso i suoi caratteri progettuali e trova sempre più legittimazione nell'intreccio con gli interessi economici. Una politica dunque da un lato sempre meno autonoma e quindi sempre meno capace di autonoma elaborazione e, dall'altro che, perdendo il proprio ruolo di rappresentanza ha visto sgretolarsi la propria credibilità presso la società (1). Come dice Robert Reich del suo libro Supercapitalismo "è stata sostituita la tutela dei diritti dei cittadini con la tutela dei consumatori". Ormai lo scopo è quello di creare sempre più benefici per i consumatori a scapito dei tradizionali diritti al posto di lavoro, alla sicurezza sul lavoro, alla pensione (3). I cittadini sono spinti a trasformarsi in lavoratori disposti a sacrificare ciò che resta dello loro vita all'impresa competitiva - o alla competizione d'impresa - , in consumatori spinti da desideri e bisogni espandibili all'infinito, in cittadini che accettino in pieno e senza riserve - all'insegna del "non esiste alternativa" - l'ultima edizione della "correttezza politica" che li incita a chiudersi e a chiudere gli occhi alla generosità e a essere indifferenti al benessere comune a meno che non serva a esaltare il loro ego ... (7). Ogni individuo è invitato, sospinto e trascinato a cercare e trovare soluzioni individuali a problemi creati socialmente e ad applicare tali soluzioni a livello individuale, utilizzando capacità e risorse individuali. Questa ideologia proclama che è inutile (anzi controproducente) essere solidali, unire le forze e subordinare le azioni individuali a una "causa comune". Esse si prende gioco del principio della responsabilità collettiva per il benessere dei suoi membri, addossando ad esso la colpa di un debilitante "Stato-balia" e ammonendo a non curarsi degli altri perché ciò porta a una odiosa e detestabile "dipendenza" (8).

Da ciò deriva un progressivo deterioramento della democrazia e della partecipazione dei cittadini alla vita sociale.

Lo Stato democratico globalizzato si avvicina sempre di più al modello mafioso che, in alcune zone del mondo, sostituendosi allo Stato, assicura protezione in parti più o meno estese del territorio statale: una protezione non nell'interesse generale, ma nell'interesse della mafia stessa e dei poteri economici più forti (2).

Per porre rimedio a questa situazione è necessario avviarsi verso un percorso che stabilisca nuovi rapporti tra la politica e la società. Una strada difficile e probabilmente non breve da percorrere, ma obbligata. Ripartire da un'idea di interesse generale, costruire intorno ad essa un progetto, recuperare alla politica quel ruolo di ponte tra la società e gli interessi economici che aveva in un passato non lontano, vuol dire infatti non solo preservare l'ambiente democratico ma anche, come ci ha insegnato molta buona teoria del passato, porre le basi per una nuova fase di sviluppo economico (1). Inoltre occorre ripensare la spesa pubblica, radicalmente, e a come rovesciare l'andamento che vede la rendita finanziaria assorbire una quota crescente della ricchezza (6).

Insomma, in un mondo globalizzato come quello attuale, occorrerebbe una rivoluzione di tipo mondiale, organizzata dalle Nazioni Unite, in cui si ridefiniscano i veri diritti, i principi per una vita diversa da quella voluta dal potere economico e quindi una vita orientata dalla politica e non dall'economia (3).

 

Note:

(1)"La parabola dell'interesse generale" dal sito www.sbilanciamoci.info

 

(2)"Nell'economa globalizzata - Il modello mafioso" di Luigi Cavallaro - la rivista del manifesto n. 23 del dicembre 2001.

 

(3)"Crescita impossibile e fine del progresso" intervista di Carla Ravaioli a Guido Rossi - il manifesto del 31 ottobre 2010, pag. 7.

 

(4)"Contro le speculazioni. La tassa sulla finanza arriva in parlamento" di Andrea Baranes dal sito www.sblanciamoci.info

 

(5)"California: Silicon Valley e Holliwood, dove si fabbrica la cultura mondiale" di Marco d'Eramo - il manifesto del 31 ottobre 2010, pag. 3.

 

(6)"Finanza e debito, politiche virtuose cercasi" di Claudio Mezzanzanica - il manifesto del 31 ottobre 2010, pag. 8.

 

(7) "L'arte della vita" di Zigmunt Bauman - editori Laterza - 2009 - pag. 65.

 

(8) "L'arte della vita" di Zigmunt Bauman - editori Laterza - 2009 - pag. 113, 114.

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