di Samuele Gullino.
Leggendo il vostro articolo "Gli Alpini, Asti, il Parco Rio Crosio ..." ho avuto un sussulto. Era già da un po' di tempo che rimuginavo sulla mancanza di una efficace protesta sulla festa degli Alpini ad Asti, prima dell'evento ma anche dopo.
Asti, come tante altre città italiane, ha ospitato per due giorni i bagordi di una parata di ex-naia ormai, purtroppo, entrata a far parte del novero dei costumi e della nostra tradizione, una fra le tante figure al pari di Pulcinella e Arlecchino. Festeggiati, attesi, benvoluti per i loro corteoni sorridenti e avvinazzati, che devono risistemare le penne nere alla bell'e meglio ogni qualvolta ingollano l'ultimo goccio del bicchiere ...
E il sorriso materno della vecchia massaia nel vedere ogni sorta di bivacco, con alpini stravaccati intenti a sorseggiar bevandame e tagliar salame gracchiando canti malinconici di tempi di guerra mai conosciuti, sembra, in qualche modo, una tenerezza dovuta, un rispetto sun-patico patrio. Dev'essere così, altrimenti non si spiegherebbe come la stessa persona, nel vedere lo stesso bivaccare, d'autore però diverso (che so, giovanotti, migranti, senzatetto, gruppi di amici), li apostrofa con attributi tuttaltro che patrii.
Tralasciando, però, il mio giudizio sulle folle (?) che si spintonano per andare a vedere divise di guerra, canti di morte, gare di ciucche, inni ai caduti nelle missioni di pace, e chiarendo che non mi fa nè caldo nè freddo vedere vescovi che benedicono manipoli di deficienti e amministratori che fanno a gara per mostrarsi in una delle poche vestigia del cupo passato accettate dalla popolazione, vorrei spendere due parole di critica sul fatto che l'autore/autrice dell'articolo succitato abbia pubblicato tali affermazioni su un sito curato dal gruppo P.E.A.C.E..
Lungi da me l'acclamar censura o l'investire di qualche responsabilità il gruppo redazionale, ma chiedo come l'autore possa non aver collegato l'Associazione Nazionale Alpini alla guerra in Afghanistan, ovvero alla presenza di quelle Penne Nere che ad Asti "hanno saputo diffondere" "allegria e canzoni", e che nei territori attorno a Kabul sanno invece diffondere morte e oppressione.
Chiaramente ho ben compreso il senso dell'articolo, che aveva tutt'altro obbiettivo che quello di accreditare un gruppo militare, ma l'autore ha (a mio parere) veramente oltrepassato il limite.
"Siamo pronti e in prima fila. Pronti anche ad aiutarvi - fisicamente - ad usare cazzuole o pennellesse per ristrutturare quei locali che vi meritate e che non potete permettervi di ricavare dal verde prato di un parco pubblico".
Ebbene, io non sono pronto ad aiutare proprio nessun alpino. Ritengo che l'A.N.A., ad Asti, non meriti proprio nulla. Ho scritto, infatti, fra i commenti "che se la vadano a costruire a Kabul, la sede dell'A.N.A. !" ed è proprio questo, quello che penso.
Se c'è un posto dove gli alpini si sono meritati, o meglio, guadagnati il diritto ad uno spazio e proprio li, nei territori conquistati.
Se lo sono guadagnati a forza di caduti, di proiettili, di bombe, di vittime civili, di mine antiuomo, di "annichiliscilo" e di omaggi presidenziali alle bare.
Qui ad Asti no, qui l'unica cosa che si meritano è lo sdegno.