Comune-info e Ascanio Celestini.
Negli ultimi giorni prima la Caritas poi l’Istat hanno diffuso due inquietanti e molto dettagliati rapporti sulla povertà in Italia. Nel 2022 più di 250mila persone si sono rivolte ai Centri di ascolto e ai servizi Caritas (+12,5% rispetto al 2021), un terzo delle quali è seguito da almeno cinque anni e una persona su quattro non ha compiuto diciotto anni...
La povertà in Italia secondo i dati della rete Caritas (qui il testo completo) spiega come aumentano in modo evidente sia le diseguaglianze generazionali che quelle territoriali. Il rapporto annuale Istat invece ricorda, tra le altre cose, che sono 1,4 milioni i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze che crescono in contesti di povertà assoluta, mentre il numero di giovani tra i 18 e 34 anni che non studia né lavora (Neet) nel 2022 è arrivato a 1,7 milioni (in Europa solo la Romania ha un dato peggiore). Il Rapporto Istat conferma anche il calo delle retribuzioni in Italia, con un differenziale enorme rispetto alla media Ue.
Un buon modo per analizzare quei dati sulla crescita della povertà resta un testo scritto diversi anni fa da Ascanio Celestini. A suo modo, è anche una breve e preziosa lezione di storia.
[redazione di Comune].
La libertà dei poveri (Ascanio Celestini)
I poveri erano così tanto poveri
che presero la loro fame
e la misero in bottiglia e se la andarono a vendere.
Se la comprarono i ricchi,
i ricchi che nella vita avevano mangiato di tutto,
dal caviale ripieno all’ossobuco di culo di cane allo spiedo.
Però la fame dei poveri in bocca non l’avevano assaggiata mai,
così i ricchi se la comprarono.
La pagarono bene e i poveri furono contenti
e per un po’… per un po’ tirarono avanti.
Poi i poveri tornarono ad essere poveri,
così allora i poveri presero la loro sete
e la misero in bottiglia e se la andarono a vendere.
Se la comprarono i ricchi,
i ricchi che nella vita avevano bevuto di tutto,
avevano bevuto dal Brunello al Tavernello,
però la sete dei poveri in bocca non gli era passata mai.
Così allora i ricchi se la comprarono e la pagarono bene
e i poveri ne furono felici.
Per un po’ tirarono avanti.
Ma poi i poveri tornarono ad essere poveri, più poveri di prima.
Così allora i poveri presero la loro rabbia,
che i poveri di rabbia ce ne avevano assai, ce ne avevano.
Allora i poveri presero la loro rabbia
la misero in bottiglia e se la andarono a vendere.
Se la comprarono i ricchi.
I ricchi che… sì, pure i ricchi un po’ nella vita erano stati arrabbiati,
mica no!
Ma erano piccole cose, conflitti generazionali,
roba da ormoni, rodimenti di culo, insomma.
Ma la rabbia, proprio la rabbia dei poveri
i ricchi non l’avevano provata mai.
Così allora se la comprarono e la pagarono anche bene.
I poveri furono felici e per un po’ tirarono avanti.
Ma poi i poveri tornarono ad essere poveri.
Allora i poveri si vendettero tutto,
la coscienza di classe, la violenza, l’insubordinazione,
la cultura, la musica, le parole,
la letteratura, la memoria,
tutto si vendettero i poveri, tutto.
E i ricchi accumulavano.
Nelle loro cantine i ricchi
ormai avevano migliaia, milioni di bottiglie
e accanto ai baroli muffiti, muffati, passiti, moscati
ci stavano bottiglie e in quelle bottiglie
ci stava tutta la cultura dei poveri, ci stava la rabbia dei poveri
dai sanculotti fino ai braccianti di Di Vittorio nel foggiano,
fino ai nuovi braccianti, i pummarò nell’Agropontino
piuttosto che i braccianti rumeni,
quelli che vanno a lavorare e a morire nei cantieri
per dieci euro al giorno.
In quelle bottiglie, in mezzo alle altre bottiglie,
nella cantina dei ricchi,
ci stavano bottiglie piene dell’orgoglio dei poveri,
dell’orgoglio dell’aristocrazia operaia
che aveva fermato i tedeschi nel ’42, nel ’43, nel ’44 e nel ’45,
l’aristocrazia operaia che aveva conquistato lo Statuto dei Lavoratori
nel 1970, il superamento del cottimo,
fino all’orgoglio dei lavoratori precari,
che erano precari, però pure loro l’orgoglio ce l’avevano.
In quelle bottiglie c’era di tutto,
c’era lo stupore, la meraviglia dei poveri,
degli zapatisti che proprio in questi giorni,
a marzo, però di sette anni fa,
entrarono chi a cavallo, chi col somaro,
la maggior parte a piedi a Città del Messico.
In quelle bottiglie c’era tutta la cultura dei poveri,
tutto dei poveri.
I poveri tutto si erano venduti.
E alla fine i poveri diventarono così tanto poveri
che presero pure la loro povertà,
la misero in bottiglia e se la vendettero.
La comprarono i ricchi.
I ricchi che nella vita tutto erano stati, fuorché poveri.
E adesso volevano essere così tanto ricchi
da possedere pure la miseria dei miseri.
Allora quando i poveri diventarono così tanto poveri
da non possedere più nemmeno la loro povertà,
i poveri si armarono e non di coltello e forchetta
bensì di fucili e pistole,
perché la rivoluzione non è un pranzo di gala,
la rivoluzione è un atto di violenza.
Allora i poveri armati andarono fino al palazzo
arrivarono al palazzo e lì c’era il podestà
affacciato al balcone, alla finestra,
il podestà serio che li guardava.
I poveri erano armati ma rimasero fermi, immobili.
Non fecero niente.
Perché senza la rabbia, senza la fame,
senza la sete, senza l’orgoglio,
senza la coscienza di classe non si fa la rivoluzione.
Così allora il podestà scese in cantina
e tra le tante bottiglie che aveva comprato dai poveri
ne prese una, una soltanto,
era la libertà, quella loro, dei poveri,
che si era comprato tanto tempo prima.
La prese e la riconsegnò ai poveri.
E i poveri stapparono la bottiglia.
E adesso con quella libertà
i poveri potevano farci un partito, per dire.
Potevano farci un circolo,
potevano farci una bandiera,
un inno, una canzonetta.
Però ci fecero poco e niente,
perché la libertà da sola non serve a niente.
Così allora il podestà si cercò nelle tasche
e trovò un pacchetto di caramelle alla menta.
Lo prese e regalò quelle caramelle ai poveri
e i poveri da quel giorno tornarono ad essere liberi,
liberi di succhiare mentine.
Tratto da: https://comune-info.net/la-liberta-dei-nuovi-poveri