di Domenico Massano.
Le recenti notizie della crisi di diverse RSA e case di riposo nell'astigiano (come sull'intero territorio nazionale), e delle difficili situazioni in cui rischiano di precipitare ulteriormente le persone anziane che vi sono ospitate e le loro famiglie (oltre al personale che vi lavora), dovrebbe far riflettere sulle evidenti criticità e sulla necessità di un superamento di questo tipo di istituzioni che, nel corso della pandemia, si sono rivelate essere uno dei principali centri di propagazione del contagio, di isolamento e, spesso, di morte...
Già lo scorso anno, di fronte a quanto si stava verificando nelle RSA, il Garante nazionale per le persone private della libertà e diverse reti e realtà per la difesa dei diritti, come la FISH, avevano posto chiaramente la questione: “è ora di mettere in discussione un intero sistema di strutture segreganti […] non sono solo le lacune o gli errori di profilassi ad avere causato il disastro, ma la stessa logica di coabitazione, di aggregazione forzata, che troppo spesso contraddistinguono queste strutture e questi modelli”.
Sempre lo scorso anno nel rapporto del Governo “Iniziative per il rilancio. Italia 2020-2022”, si riportava che: “La pandemia ha mostrato che occorre adottare un approccio basato sulla domiciliarità dell’assistenza, per mantenere i legami territoriali e proteggere maggiormente le persone e le comunità […] il rafforzamento dei servizi territoriali, la costruzione di un’alternativa al ricovero in RSA e RSD tramite progetti terapeutico-riabilitativi individualizzati e di vita indipendente”.
Recentemente a margine della presentazione della Carta dei diritti degli anziani al Governo, Monsignor Paglia, il presidente della Commissione per la riforma dell'assistenza per gli anziani istituita presso il Ministero della Salute, ha dichiarato che “la pandemia ha svelato in modo impietoso quanto era già chiaro prima a chi si interessava degli anziani: viviamo in un sistema totalmente sbilanciato verso le cure residenziali, case di riposo e Rsa, basti pensare che Regioni e cittadini spendono annualmente 12 miliardi per le sole Rsa, mentre per la ADI (Assistenza Domiciliare integrata) si stima non si arrivi ai 2 miliardi”. Questo “monopolio residenziale” (spesso in grandi ed impersonali strutture a testimonianza della latenza di una cultura istituzionale), è frutto non solo dell’insufficiente offerta di servizi di assistenza domiciliare sanitaria e integrata, ma anche del fatto che se la persona “sceglie di rimanere presso la propria dimora tutte le spese sanitarie devono essere sostenute dallo stesso o dalla sua famiglia”, senza contare che i carichi di cura ricadono quasi esclusivamente sulle donne, spesso con ripercussioni negative sul piano sociale, familiare e lavorativo.
Anche il PNRR, pur con tutti i limiti di tale documento, pone tra le priorità trasversali il sostegno agli anziani non autosufficienti e introduce diverse misure sia riguardo “al rafforzamento dei servizi sociali territoriali finalizzato alla prevenzione dell’istituzionalizzazione” (Missione 5), sia attraverso il “potenziamento dell’assistenza sanitaria, soprattutto radicata sul territorio” (Missione 6). Nella Missione 5, in particolare, è previsto un fondo per la riconversione delle RSA e delle case di riposo per gli anziani in gruppi di appartamenti autonomi, “con l’obiettivo di assicurare la massima autonomia e indipendenza delle persone anziane, in un contesto nel quale viene garantita una esplicita presa in carico da parte dei servizi sociali e vengono assicurati i relativi sostegni”. Tale intervento è strettamente integrato con i progetti proposti nel capitolo sanitario del Piano (Missione 6), in particolare con la riforma definita “Casa come primo luogo di cura”, che ha come obiettivo di “rafforzare i servizi sanitari di prossimità e domiciliari al fine di garantire un’assistenza sanitaria più vicina ai soggetti più fragili, come gli anziani non autosufficienti, riducendo così la necessità di istituzionalizzarli, ma garantendogli tutte le cure necessarie in un contesto autonomo e socialmente adeguato”.
Sembra doversi rilevare una sempre più diffusa e trasversale consapevolezza, che sino ad oggi era stata minoritaria, della necessità di un significativo cambio di prospettiva nella garanzia delle cure, dell’assistenza e della possibilità di scelta per le persone anziane che, però, dovrà essere sostanziata nella concretezza dei fatti, nell’impegno economico e negli investimenti che verranno effettuati delle istituzioni pubbliche.
Sarebbe opportuna, quindi, l’apertura di un confronto pubblico e la definizione di iniziative politico-amministrative, a partire dalle diverse realtà locali, finalizzate da una parte, anche attraverso la riconversione di RSA e Case di riposo, ad un riequilibrio e superamento dell’attuale “monopolio residenziale” nella risposta ai bisogni delle persone anziane non autosufficienti, e dall’altra, anche attraverso la riallocazione di parte delle attuali risorse ed un uso adeguato dei fondi specifici stanziati in tal senso, all’implementazione e all’avvio di servizi e progetti tali da assicurare le risorse e gli interventi socio-sanitari necessari (con la creazione di nuove opportunità lavorative), per garantire la possibilità di scelta e la massima autonomia ed indipendenza possibili per le persone anziane nei propri contesti familiari e/o comunitari di vita.