Italia e Romania: una lunga storia in comune

di Luminita Anghel, mediatrice interculturale.
ImageUna vera psicosi nazionale e una isteria anti-romeni è scattata in Italia. A causa di istigazioni all’odio e violenza lanciate pesantemente dalla stampa italiana, si sono già verificati atti di aggressione, che confermano il fatto che gli italiani fanno una dura campagna verso i romeni. Per questo motivo ho deciso di parlare del dramma dei romeni che si trovano in Italia, ma anche delle relazioni culturali che ci legano da tanto tempo …

Dal 7 al 15 marzo scorsi, presso il Refettorio del Seminario di Asti, è stata presentata la mostra “Miserere”, 58 tavole incise di Georges Rouault, dedicate alla sofferenza dell’umanità e al dramma della guerra. La mostra, portata ad Asti da Assisi da don Francesco Quagliotto, sacerdote che si occupa da anni dei migranti presenti nella nostra città, è stata analizzata in particolare sotto l’aspetto della sofferenza di chi deve lasciare la propria terra e ciò che ama per cercare altrove una migliore prospettiva di vita. A lato della mostra si sono avuti anche due incontri tenuti da Luminita Anghel, mediatrice interculturale, in lingua romena e da Eduard Soppi, pittore e restauratore, in lingua albanese. In entrambe le occasioni si è avuta una traduzione simultanea dei testi. Presentiamo qui di seguito quello di Luminita Anghel che sottolinea una lunga storia di scambi culturali e lavorativi reciproci tra Romania ed Italia, spesso sconosciuta o volutamente misconosciuta.

Oggi i romeni occupano in Italia il primo posto tra le comunità di immigrati. All’inizio del 2008 ne risultavano circa un milione di regolari, secondo le stime della Caritas. Si tratta di una comunità onesta, diffusa nel territorio, che lavora soprattutto in edilizia, assistenza familiare, alberghi e ristoranti, agricoltura, che è al primo posto per le morti bianche, che paga le tasse e lavora sodo con stipendi dimezzati. Ma i giornali di questi aspetti non scrivono niente e, trascurando la molteplicità dei temi, vogliono vedere il “discorso romeni” soltanto sulle pagine della cronaca nera; ma le radici dell’immigrazione romena si trovano nella storia. 

Lo studio approfondito delle relazioni italo-romene inizia a godere di un’importante bibliografia. La presentazione schematica dello specifico culturale italo-romeno, con radici che partono dal Medio Evo, rappresenta un’importante prospettiva nella ricostruzione attuale di un’immagine comune. Mi sono soffermata su alcuni fatti storici in grado di testimoniare il contributo culturale portato sia dai romeni che dagli italiani, evidenziando che le idee e la cultura portano sempre l’armonia e la bellezza tra i popoli.

Una caratteristica degli scambi culturali italo-romeni è la comune base di ideali, che emerge soprattutto durante il periodo delle rivoluzioni del 1848, ma anche dopo, quando si svilupparono molte amicizie tre la personalità culturali italiane e romene, accumulando un vero capitale di solidarietà. Questa rete d’amicizia e di simpatia esistente tra romeni e italiani, ha generato azioni importanti, esempi di solidarietà, ambiti larghi di ricerca per quanto riguarda la parte latina della loro cultura e gli aspetti comuni della storia. Tutto ciò ha toccato un apice negli anni tra le due guerre mondiali, periodo particolarmente importante in questa evoluzione culturale.

Una retrospettiva degli aspetti culturali importanti, non fa che creare un avvicinamento e una conoscenza necessaria, della quale avremo gran bisogno nel futuro. L’appello a queste radici culturali comuni rappresenta la base per le future ricerche, una conoscenza durevole dell’identità altrui e alla fine, uno specchio nel quale ci possiamo guardare con serenità. Ultimamente si parla molto dell’Unione Europea, una struttura basata quasi unicamente sugli aspetti economici e politici, trascurando i legami spirituali, di cultura e civiltà dei popoli europei.

Questi legami di cultura e civiltà, specialmente latini, hanno unito nei secoli i popoli neolatini dell'Europa, tra i quali si sono sempre collocati i romeni, ma anche tutta l'Europa.
La cultura italiana entrò in Romania nel corso del Medio Evo attraverso varie forme. Un punto di riferimento furono i rapporti avuti da Stefano il Grande, Principe della Moldavia (1457-1504) con la Repubblica di Venezia e il Papa Sisto IV. Durante la preparazione della difesa militare contro i turchi, il doge veneziano Andrea Vendramin mandò ambasciatori in Moldavia. L’importanza di questa missione fu nel fatto che per la prima volta si era stato instaurato un rapporto diretto tra la potente Repubblica di Venezia e la Moldavia. Viaggiando in Transilvania,  Moldavia e Valacchia, Francesco delle Vale scrive, nel 1532:  “La lingua loro è poco diversa dalla nostra Italiana”.

Il periodo moderno ha intensificato questo aspetto delle connessioni culturali e degli ideali comuni fra romeni e italiani. Nei decenni seguenti all’anno 1848, si è potuto osservare l’avvicinamento tra l’opinione pubblica romena e quella italiana. Era dovuto al fatto che entrambe erano coinvolte sentimentalmente nella lotta per l’unità nazionale e si sentivano così spinte a simpatizzare tra loro e sostenersi. Ha avuto un contributo anche l’influenza del romanticismo, in un ambiente spirituale nel quale si è sviluppata l’idea di parentela e solidarietà di stirpe latina. Nella gran parte degli intellettuali romeni prese radici un culto per l’Italia, la terra dei romani, da dove arrivarono al Danubio soldati e colonialisti di Traiano, gli avi dei romeni. E gli italiani scoprivano con soddisfazione questo partner del Basso Danubio, disposto ad ampliare le relazioni politiche con lo scopo della realizzazione dell’ideale comune di unità nazionale.

Dopo la sconfitta delle rivoluzioni del 1848 si verificò un lungo esilio per i rivoluzionari di diverse nazionalità. I rivoluzionari romeni a Parigi, furono attratti dalla personalità di Giuseppe Mazzini, che propose una Sacra Alleanza ai popoli confederanti contro l’alleanza delle monarchie assolutistiche.
L'influenza del pensiero mazziniano sui rivoluzionari romeni è riscontrabile nel dibattito che seguì dopo il fallimento delle rivoluzioni del 1848/1849, quando la classe politica e la parte più evoluta del popolo romeno, fecero sì che la proposta di Mazzini di una democrazia Europea e i suoi progetti federalisti, figurassero al primo posto nei progetti delle società segrete romene nate ad imitazione della Giovane Italia.

Gheorghe Asachi è tra i primi poeti romeni che collaborò ad un giornale italiano, il Giornale del Campidoglio (Roma, 26 dicembre 1811), con il curioso sonetto “In occasione del volo aerostatico dell’illustre Donna, la signora Blanchard”. Ricordiamo anche Ion Heliade Radulescu uomo politico, letterato, militante per l'unità nazionale, che ha dedicato due pubblicazioni apparse nel 1841 al problema della lingua romena: “Breve grammatica della lingua romeno-italiana” e “Parallelismo fra la lingua romena e italiana”. Molte sono le testimonianze, più o meno letterarie, degli intensi rapporti tra la Romania e l’Italia, rapporti che vanno intensificandosi continuamente anche perché i romeni resteranno sempre affascinati dall'Italia come fonte delle loro antiche origini e come depositaria di un patrimonio storico e culturale non soltanto da vedere e ammirare, ma da seguire quale modello.

All’inizio del XX secolo e principalmente nel periodo interbellico, le relazioni tra la Romania e l’Italia dal punto di vista culturale sono state potenziate anche per via istituzionale. Il periodo che va dagli anni ‘20 fino alla metà degli anni ‘40 si definisce per la cultura romena un’epoca di straordinaria effervescenza, che ha dato note personalità in tutti i campi. I grandi passi compiuti a livello sociale, culturale e soprattutto politico, dalla Piccola Unione del 1859 alla proclamazione del Regno di Romania nel 1880, culmina nel 1919 con il compimento del massimo “desideratum” nazionale, l’Unione di tutti i romeni in un unico stato sovrano, la “Grande Romania”. Per la prima volta nella sua storia, lo spazio romeno si trova a doversi confrontare da pari a pari con l’Occidente e con i valori da esso proposti.

Nel periodo fra le due guerre c’erano cattedre di lingua romena a Milano, Venezia, Padova e Roma. All’insegnamento della lingua romena in Italia, Mario Ruffini dedica uno studio. Nell’ epoca interbellica, altri strumenti ausiliari della politica culturale italiana, sono stati gli accordi bilaterali di cooperazione culturale, le missioni archeologiche, i viaggi di propaganda, i letterati di lingua italiana, le associazioni culturali, i giornali, gli scambi di conferenze ecc.
Dopo l'ultima guerra mondiale, i rapporti culturali con l'Italia e con l’Europa Occidentale, libera e democratica, si sono interrotti per quasi cinque decenni. Il periodo comunista fu determinante nel modificare drasticamente l’intera situazione. A causa di questa politica culturale, durante gli anni ’70 e ’80 del XX secolo sì e sviluppata una cultura ufficiale di tipo nazionale-comunista.
Finalmente, nel 1989 dopo il crollo della dittatura comunista, è stato riscoperto il senso della libertà anche nell’ambito della cultura e si è ristabilito il dialogo interculturale. La politica urbanistica del dittatore Ceausescu, il periodo difficile della transizione post-comunista, la crisi economica ecc., tutto questo ha influenzato i movimenti migratori dei romeni.

Nella prima fase, all’inizio degli anni Novanta, si sono sviluppate maggiormente le migrazioni informali o circolari, spesso di breve durata. In seguito, l’immigrazione è diventata più consistente tanto che, all’inizio del 2006 nell’UE c’erano più di un milione di emigrati romeni, con i maggiori insediamenti in Spagna e in Italia. Nel 2007 questi due Paesi sono rimasti le mete preferite di questa comunità e il numero dei cittadini romeni soggiornanti all’estero è salito a circa due milioni.
Purtroppo di solito si parla di romeni solo in casi di criminalità, dimenticando il loro contributo al sistema produttivo italiano. È noto che ormai sono gli immigrati a coprire i due terzi del fabbisogno di nuova forza lavoro e i romeni stanno in prima fila: ogni 6 nuovi assunti stranieri 1 è romeno, e secondo varie stime, i romeni garantiscono l’1,2% del PIL italiano.

Ma i romeni sono discriminati in Italia? Pare non ci siano dubbi. Tuttavia, in caso sorgessero, l’indagine dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), li fuga. Questo ufficio, in collaborazione con l’omologo romeno (CNCD) e le associazioni romene, ha tracciato un quadro delle più ricorrenti situazioni di discriminazione e di disparità che caratterizzano i romeni. Eccone alcune: diffusione di un’informazione tendenziosa sui fatti nei quali sono coinvolti; mancanza di informazione, di assistenza legale e di formazione a beneficio dei romeni che arrivano in Italia; sfruttamento sul luogo di lavoro, specialmente nel settore edile; primato dei romeni negli infortuni mortali e molestie sessuali subite dalle donne durante l’espletamento del loro lavoro; atteggiamenti spesso intimidatori nei loro confronti in nome della sicurezza pubblica; riscontro di difficoltà burocratiche e di atteggiamenti ostili tra gli operatori pubblici con conseguente ostacolo ai romeni nella fruizione dei servizi sociali, ecc.

La retribuzione loro corrisposta è leggermente inferiore a quella media percepita dalla totalità degli immigrati (10.042 euro nel 2004, secondo l’INPS): le donne percepiscono il 40% in meno rispetto agli uomini. Contrariamente a quanto spesso si pensa, la vita quotidiana dei romeni non è  “facile” e numerosi sono gli aspetti problematici. Questo trattamento differenziato, unito ad atteggiamenti di ostilità (si pensi alle difficoltà che si incontrano per ottenere una casa in affitto con regolare contratto), può portare i romeni a chiudersi nell’ambito delle reti familiari o dei connazionali. Per giunta, molto spesso si tratta di famiglie smembrate, e quindi in maggiore situazione di disagio. Secondo un’indagine della Fondazione Soros sarebbero ben 170.000 i bambini romeni che hanno almeno un genitore all’estero: si tratta, in un caso su due, del padre, in un caso su tre della madre e in un caso su cinque di entrambi i genitori. Migliaia di madri sottratte alle loro famiglie, figli affidati ai nonni, altri ragazzi messi in orfanotrofi. Sono costi umani non trascurabili che gli immigrati e tutta la società romena pagano.
Secondo gli ultimi sondaggi  le opinioni che gli italiani danno dei romeni sono contradditorie: da una parte sono più soddisfacenti e anche più vicine alla verità degli aspetti che abbiamo preso in considerazione: affidabili, seri, bravi, lavoratori, istruiti,con molto rispetto verso le persone anziane. Dall’altra parte sono considerati delinquenti, ubriaconi, maleducati, rumorosi e invidiosi.

La stessa situazione si verifica da parte dei romeni verso gli italiani. Molti vedono gli italiani come persone oneste, che amano la famiglia, buoni lavoratori e con sani principi. Altri li considerano sfruttatori, razzisti, furbi, imbroglioni, falsi e freddi.  Ricordo che gli ultimi avvenimenti di cronaca hanno peggiorato l’esistenza della maggior parte delle persone oneste che si trovano in Italia, persone che hanno perso lavoro, casa e che sono anche aggredite verbalmente e fisicamente. Persone che non sono per niente d’accordo con gli atti di violenza compiuti da loro connazionali, ma che purtroppo per colpa loro pagano un prezzo altissimo. Questi immigrati in misura ricorrente si sono sentiti discriminati, senza che l’entrata nell’Unione Europea abbia potuto migliorare sensibilmente la situazione. Eppure la stragrande maggioranza ha amici italiani, più di quanto avvenga con i connazionali, e tende all’insediamento stabile tramite i ricongiungimenti familiari. L’esperienza italiana ? Un voto di sufficienza, anche se si desidera una migliore integrazione. Perciò è tempo che anche gli italiani si sforzino di capire che senza i romeni l’Italia starebbe peggio e che la realtà è migliore rispetto a quello che si legge nella cronaca nera.

Nel futuro l’Italia senz’altro continuerà ad essere un grande paese di immigrazione, ma tutto lascia intendere che anche la Romania subirà una profonda trasformazione in tal senso. Già nel passato la Romania è stata un paese di immigrazione. Tra la fine dell’800 e la seconda guerra mondiale vi si trasferirono 130.000 italiani, in varie ondate per lo più a carattere temporaneo: molti di questi lavoratori venivano chiamati le “rondini” (in friulano “golondrinas”) perché, per evitare le pause morte, facevano la spola seguendo l’avvicendarsi delle stagioni e così potevano curare anche le proprie terre e mantenere i legami con la famiglia. Oltre che di friulani (in prevalenza), si trattava anche di veneti e di trentini. Erano lavoratori della pietra o del legno (segherie), tagliaboschi, piccoli impresari edili (Baumeister), agricoltori, muratori, scalpellini, tagliapietre e minatori. Nel complesso, gli italiani diedero un grande contributo all’industrializzazione della “grande Romania” ed erano così apprezzati da ottenere salari più vantaggiosi e da riuscire a mettere da parte risparmi consistenti. Oggi in Romania esistono più di 20.000 imprese italiane che utilizzano la manodopera a più buon mercato.

L’Italia e la Romania sono, già attualmente e ancor di più in prospettiva, due paesi meno distanti di quanto si creda, tanto più che una significativa presenza lavorativa romena è insediata in Italia e una significativa presenza imprenditoriale italiana opera in Romania. La reciproca integrazione sta nella logica dei fatti, solo che bisogna rendersi conto che essa non si raggiunge per decreto legge. La collettività romena in Italia non nega i suoi aspetti problematici, ma è tempo di considerarla nella sua sostanza più valida, e cioè di sostegno al nostro sviluppo e di legame tra i due paesi.

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