di Sergio Motolese.
Tra i tanti pensieri perniciosi che si sono fatti strada in questi mesi sino a radicarsi, il più importante, che possiamo definire “pensiero capitale”, poiché da esso altri ne sono discesi a cascata, è quello che ognuno di noi è un untore che infetta e fa ammalare gli altri, persino se non presenta alcun sintomo...
Questo pensiero è continuamente veicolato, in modo esplicito o implicito, dalle più alte cariche dello Stato, oltre che dai medici di apparato delle innumerevoli task force.
A partire da questo assunto, si ritiene di poter giustificare ogni divieto, ogni restrizione alla libertà di movimento, e ogni obbligo, ogni imposizione sul proprio corpo.
Dalla metà del XIX secolo si confrontano due scuole di pensiero differenti riguardo l'origine delle malattie infettive.
La prima, che risulterà poi vincente, era sostenuta da Louis Pasteur, il quale vedeva nel germe, che poteva essere osservato al microscopio, l'unica causa della malattia.
L'altra era proposta soprattutto da Antoine Bèchamp e Claude Bernard, i quali volgevano l'attenzione più al “terreno” nel quale il germe trovava un ambiente favorevole, visto che neppure nelle più tremende pestilenze l'infezione colpiva tutte le persone. Questo in estrema sintesi.
Oggi, la medicina ufficiale, di Stato, o meglio i suoi rappresentanti istituzionali (forse) controllati e foraggiati dalle aziende farmaceutiche, non solo non attribuiscono alcun valore ad altri orientamenti alla salute, anche se praticati da parecchi medici, ma li denigrano e attaccano con la complicità dell'informazione dominante. Si preferisce, in ossequio al pensiero darwinistico, la lotta per la sopravvivenza, la distruzione del killer che ammala.
Ma cosa si intende per “terreno”?
La spiegazione più semplice ci riporta, per analogia, a un campo coltivato, a un orto. Se riesco ad ottenere un terreno vitale ricco di humus, e lo curo con attenzione, cresceranno piante sane che posso irrorare con i tanti prodotti naturali non di sintesi.
Se il terreno è squilibrato e poco vitale, avrò piante deboli, attaccate da insetti, parassiti e funghi, e dovrò usare prodotti chimici che avvelenano l'ambiente, il terreno di cui esso è parte, la pianta stessa e infine l'essere umano.
Ora, l'uomo è certo più complesso di una pianta ma ha anch'egli il suo “terreno”, con miliardi di microorganismi che possiamo tenere o meno in equilibrio con i nostri comportamenti. Molti medici e naturopati si occupano di mantenerlo con interventi più personalizzati, anziché protocolli generali.
Questa influenza da coronavirus, particolarmente severa e anche più pericolosa delle altre per persone con terreno compromesso, avrebbe richiesto, e richiede ancora, informazioni utili a prevenire, anche con rimedi semplici e poco costosi, l'insorgenza di complicanze, anziché l'imposizione di assurde restrizioni e quarantene, in base a tamponi inaffidabili, a persone senza alcun sintomo. Si continua invece a diffondere paura, la quale indebolisce il sistema immunitario, cardine del terreno.
Per trasformare un pensiero malato occorre inserirne uno sano, ribadendo con fermezza che nessuno ha il potere di ammalare chicchessia, tanto meno senza sintomi.
Il termine “influenza” (genio della lingua!) ci comunica che, come possiamo essere, oppure no, influenzati da un pensiero o un comportamento altrui, così possiamo esserlo, oppure no, da una malattia altrui. Ma gli unici responsabili della nostra salute siamo noi.
Chiunque abbia superato una grave malattia conosce bene l'importanza terapeutica della vicinanza affettiva e fisica accanto al letto.
D'accordo, nessuno di noi è Francesco d'Assisi che abbracciava e baciava i lebbrosi costretti in perenne e definitiva quarantena, ma è nostro diritto pretendere la libertà in tutte le scelte che ci riguardano, anche quelle per noi rischiose.
Ognuno di noi può guarire gli altri, in quanto è parte di un unico organismo: l'umanità.
Se un pensiero malato sedimenta e incancrenisce diventa menzogna, e occorre allora... smascherarla.