Stop al consumo di territorio, Asti, 7 Febbraio 2009.
Finalmente qualche voce fuori dal coro, che parla in una sala gremitissima ! La stessa voce, con altri volti, che ho ascoltato in più occasioni, io stesso protagonista, in auditori molto più ristretti e senza il “saper fare”, ecco la differenza, raccontato dal sindaco di Cassinetta di Lugagnano, fin nei dettagli di un esercizio straordinario di democrazia partecipata ...
Mi è tornata alla mente una argomentatissima analisi del PIL (Prodotto Interno Lordo) come misura di uno sviluppo economico ormai senza crescita e la proposta del BEN (Benessere Economico Netto) che avrebbe misurato la crescita/decrescita su altri indicatori, vale a dire, l'assetto idrogeologico, la diffusione della cultura, lo stato di salute della popolazione, i legami sociali, il risparmio di energia, le attività economiche “autocentrate” (filiere corte e valorizzazione delle risorse del territorio), ecc. Era il 73, questo indirizzo teorico veniva suggerito ai militanti astigiani di DP, di cui facevo parte, da un gruppo di giovani economisti dell'università di Pavia (uno di questi, Fumagalli).
Mi sono ricordato che ad Asti, tra il 75 e il 78, abbiamo avuto un assessore all'urbanistica, Giorgio Platone, che esigeva rigorose analisi e previsioni prima di lottizzare un solo metro quadrato di territorio. Già allora intendeva fare una scelta simile a quella fatta dal sindaco di Cassinetta di Lugagnano. Non ha avuto vita facile. Osteggiato fin dentro il suo partito (il Pci), bocciato da una sorta di giudizio popolare “quello non fa muovere nemmeno un mattone”, ha poi dovuto assistere agli scempi della cosiddetta “urbanistica contrattata”, con la lobby dei costruttori come protagonista. A quel punto, e li siamo rimasti, i mattoni hanno cominciato addirittura a volare da una zona all'altra del territorio cittadino, in metri cubi regalati o a compenso di oneri di urbanizzazione non riscossi, oppure riscossi per finanziare il bilancio corrente del Comune.
Mi sono ricordato che negli alti e bassi del movimento astigiano, in tempi abbastanza recenti (da Porto Alegre a Genova), sono circolate molte delle suggestioni che l'altra sera hanno animato gli interventi. Anche in questa città una minoranza di cittadini ha tentato di fermare, senza riuscirvi, il carrarmato della lobby dei costruttori (imprenditoria, finanza, proprietà delle aree e corporazioni delle professioni). Voci ed azioni che hanno incontrato la sordità e l'indifferenza di partiti ed istituzioni.
Non avendo dunque l'animo del neofita, nell'aderire all'appello del nuovo movimento (sono convinto di essere stato in città uno dei primi frequentatori del sito web di Eddyburg, animatore l'architetto Salzano), mi sono chiesto cosa mai ci facevano in sala sperimentati amministratori astigiani che nell'ultimo decennio non hanno mai battuto ciglio su una pratica urbanistica ormai privata di interessi pubblici e contrattata negli uffici degli assessorati. Gli stessi che negli ultimi tempi hanno confermato, in sontuosi convegni pubblici (dove la parola d'ordine era “se lottizzi tu allora per ragioni di equità lottizzo anch'io”), il peggio dell'urbanistica astigiana. Ecomostri come “il borgo”, la “tangenziale” in progetto, l'annunciato “termovalorizzatore”; una forsennata attività immobiliare che continua, PECLI dopo PECLI (Piano Esecutivo Convenzionato di Libera Iniziativa), ad accrescere la “capacità insediativa” del nostro PRG, sono esiti che non si dovrebbero perdonare a nessuno, a meno che non si voglia assolvere l'ingordigia di rendita di chi ha già messo “le mani sulla città” e ancora ce le tiene.
Ma c'è un aspetto di questa vicenda, che l'assemblea di sabato ha lasciato in ombra, pur essendo in rapporto organico (il mercato) con tutto il resto. Alla consegna del territorio cittadino alla lobby dei costruttori si è accompagnata un'altra consegna: quella del bisogno abitativo al mercato immobiliare e delle locazioni (azzeramento della Gescal, abolizione dell'equo canone, cartolarizzazione del patrimonio abitativo degli enti).
Il risultato ha reso lo scenario discusso sabato ancora più complicato. Non ci sono solo manufatti incongruenti rispetto ad un gusto del paesaggio, ad un interesse naturalistico, ad una attività economica ordinata alle risorse del territorio. Nello scenario c'è una parte di popolazione non trascurabile, quella con redditi modesti o intermittenti, che subisce i rigori di insostenibili condizioni abitative (alloggi impropri, sovraffollamenti, coabitazioni), spesso anche il dramma dello sfratto, e insieme, subisce l'impossibilità di accedere a migliaia di alloggi privati sfitti, oppure l'attesa infinita di una casa popolare.
Nel nostro Paese, il più cementificato d'Europa, ci sono 600.000 famiglie che aspettano una casa popolare. Le graduatorie, con un tasso medio nazionale di assegnazione del 7 %, sono inesauribili. Nomisma (istituto privato di ricerca economica a livello europeo a cui si rivolgono gli enti pubblici) giudica che si debba disporre di un milione di case, popolari o con canone calmierato come quelle, per rispondere al bisogno abitativo insoddisfatto. Nella nostra città si aprirà il prossimo bando per case popolari senza disporre di nuovi alloggi fino al 2011.
Questo aspetto, della vicenda più complessa che il movimento “Stop al consumo di territorio” si prepara ad affrontare anche nella nostra città e provincia, non può essere messo sotto traccia. I sentimenti di ripulsa che suscitano le offese al paesaggio e all'ambiente naturale non possono essere disgiunti dal sentimento di giustizia che suscita la negazione di un bisogno primario come l'abitare. Diversamente si fa dell'estetismo a favore dei ceti medio-alti, si conferma l'economia e la razionalità che sabato sono stati messi giustamente in discussione. Non ci sarebbe niente di nuovo. Anche i cittadini ricchi che adesso abitano l'ex carcere di via Testa, ristrutturato in dimora di lusso con vincoli delle belle arti e vista totale sulle colline, sono contenti, possono dire del loro manufatto che è stato oggetto di un esemplare recupero edilizio.
Nell'esperienza del sindaco di Cassinetta di Lugagnano c'è, decisivo, l'esercizio della democrazia partecipata, vale a dire, le decisioni importanti prese fuori dalle stanze degli assessorati, in luoghi pubblici dove sia possibile per tutti i cittadini l'esame, il giudizio, la scelta.
Sono convinto che solo attraverso questo esercizio sia possibile affrontare, in città di dimensioni come la nostra, l'ordine dei problemi discusso sabato sera. Non c'è nulla di scontato, sarà difficilissimo fermare, come si è detto, la marcia del carrarmato della lobby dei costruttori. Sarà difficilissimo imporre una sosta nelle attività immobiliari per sapere quel che c'è di costruito sul territorio e l'uso che se ne fa.
In mezzo, per dare efficacia all'azione del nuovo movimento, c'è qualcosa che l'assemblea di sabato sera ha solo annunciato: una assunzione di responsabilità individuale, un mettersi in gioco di persona, fuori dai particolarismi e dalle esauste rappresentanze e deleghe istituzionali.
Sono ottimista: se sarà, sarà una vera azione eversiva.